Tommaso Alvisi

Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

2001 Odissea nello spazio compie cinquant'anni 

"Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato del film. Io ho tentato di rappresentare un'esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare con il suo contenuto emotivo direttamente nell'inconscio" (Stanley Kubrick). Cinquanta anni fa usciva nei cinema di tutto il mondo un film che cambiò la storia del cinema in maniera repentina: sto parlando di "2001 Odissea nello Spazio" di Stanley Kubrick. Un film entrato nell'immaginario collettivo tracciando una sorta di mappa per l'essere umano. Mai nessuna opera cinematografica è stata così densa di argomenti, significati, simboli nascosti come questa.

Quarant'anni con il Boss in The darkness on the edge of town

Un disco che scende a patti con la disperazione, persone che cercano di aggrapparsi alla propria dignità in mezzo a un uragano. Parla di gente che tenta di liberarsi. Darkness on the edge of town sostanzialmente dice "Arrivi dove vuoi andare e torni indietro e ritorno di nuovo, perché è solo l'inizio... Ci arrivi... sei tutto contento... e d'un tratto senti un senso di terrore che sovrasta tutto quello che fai" (Bruce Springsteen)

Lunedì, 28 Maggio 2018 00:00

La Disney annienta anche Han Solo

Il fascismo e il maschilismo della Disney annientano anche Han Solo

Il successo del primo spin off della saga di Star Wars ha fatto montare la testa alla Disney. Questa seconda "origin story" è veramente un netto passo indietro. Rogue One non era un capolavoro, ma aveva un asso nella manica. Sostanzialmente diceva, in tempi di ego smisurato, che i noi sono più importanti dell'Io. Un messaggio importante soprattutto per le nuove generazioni. La Disney però ha rivisto la sua posizione ed ecco spiegato uno dei momenti più bassi di tutta la saga. Anche il boxoffice sta decretando il rallentamento della saga di Star Wars, dopo l'ottima ripartenza dell'Episodio VII e di Rogue One. Al momento Solo ha incassato meno della metà del primo spin-off. Eppure il personaggio "inventato" da Harrison Ford è sicuramente tra i più importanti e carismatici del mondo fantasy di George Lucas. Il film doveva essere fatto meglio, ma la serializzazione imposta dalla Casa di Topolino sta spostando i fan dalla platea cinematografica a consumatori/idrovore di seriali (pseudo)televisivi. Il che non è propriamente la stessa cosa, anche se (soprattutto) i più giovani credono che lo sia.


Chiariamo subito un discorso. Non mancavano gli ingredienti necessari per la riuscita della storia (il Millennium Falcon, Chewbecca, Lando), ma il risultato finale risulta vuoto, privo di ogni intuizione, di qualche lampo creativo, di epicità e magia, di spade laser, di ironia e di carattere. Il perché era facilmente intuibile. Partiamo dall'inizio. A metà giugno del 2017 i registi di Lego Movie, Lord e Miller, sono stati licenziati per attriti con la Lucas Film. Le riprese erano quasi ultimate. La notizia fu accolta con esito favorevole da tutta la troupe. In realtà la Disney faceva trapelare questo per non dire la verità che poi è venuta fuori: noi mettiamo i soldi, chi si prende licenze creative non è ben accetto. Arrivederci e grazie. L'appiattimento è servito per l'ennesima volta. Quel che conta è il botteghino, la storia non incanta e le oltre due ore di durata non scorrono particolarmente fluide.

Oltre a Lord e Miller, infatti fu allontanato il montatore Chris Dickens. Al suo posto Pietro Scalia, collaboratore di lunga data di Ridley Scott. Al protagonista Alden Ehrenreich fu affiancato un acting coach perché la produzione non era convinta della bontà della sua interpretazione (e ne avevano ben d'onde). A dirigere i lavori è stato ingaggiato l'esperto e neoclassico Ron Howard, l'ex Richie di Happy Days. Il regista premio Oscar è passato al Lato Oscuro e ha fatto il suo lavoro per la major, sopprimendo di fatto ogni tipo di critica. La libertà è stata cancellata e il lavoro è stato fatto in fretta e furia per arrivare in tempo all'anteprima del Festival di Cannes, dove il film è stato presentato fuori concorso.

Hanno pagato un sacco di gente in più rispetto al budget originale, finendo per arrivare a 250 milioni di dollari complessivi (considerate che nessuno fra Rogue One, Episodio VII e VIII superava i 220 milioni di budget). Tutto questo nel film è pienamente visibile: il senso di incompiutezza è palese, i rimaneggiamenti di sceneggiatura con colpi di scena facilmente intuibili, la storia d'amore è debole e senza sussulti, il totale annientamento di ogni forma di ironia, la differenza tra la prima e la seconda ora del film, la commistione dei toni, lo scarso appeal dei personaggi, la recitazione piatta, monocorde e banale con colpi di scena telefonati. Non manca l'avventura, ma manca il divertimento, l'epica, l'ironia, il carisma di Harrison Ford. Il film poi è insopportabilmente maschilista (i personaggi femminili sono veramente tagliati con l'accetta) e anche abbastanza fascista.

Ma veniamo alla storia. Questo film, cronologicamente, viene dopo la criticatissima trilogia degli anni 2000. Per intendersi dopo l'Episodio III, 11 anni prima di Una nuova speranza (il film capostipite della saga di George Lucas del 1977). La prima ora non è affatto male. Il film sembra arrembante e con picchi di cinema che vanno dall'azione di Ritorno al futuro e Mad Max Fury Road alla guerra di trincea di Orizzonti di gloria, passando per elementi cardine del cinema western avventuroso. Purtroppo la seconda ora cola a picco e rivela che le premesse erano mera illusione. Tanto tempo fa in una galassia lontana, l'oppressione era tangibile, nuove oscure forze volevano controllare la Repubblica. I sindacati si sono venduti ai padroni diventando loro alleati.

Il giovane Han (Alden Ehrenreich, il cowboy di Ave Cesare dei Coen) è un eroe springsteeniano alla Born to run che vuole sfuggire da una città di corrotti e perdenti per fuggire via con l'amata Qi'ra (Emilia Clarke del Trono di Spade).

Durante la fuga qualcosa va storto. I due sono separati. Han si arruola nell'esercito (in questa fase ci sono forti richiami alla guerra di trincea di Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick), diventa pilota. Ma il suo cuore batte per Qi'ra. Sogna di tornare a prendersela a ogni costo. Qualche anno dopo i due si rincontreranno, ma le condizioni sono cambiate. Il cognome del giovane Han deriva dal fatto che quando viene registrato da un burocrate in divisa, è catalogato come Solo perché lui non sa chi sono i suoi genitori. Durante questa avventura conoscerà il fedele wookie Chewbecca (Jonas Suotamo), il mentore Beckett (un Woody Harrelson compassato e sottotono) e il Millennium Falcon che è proprietà del giocatore d'azzardo Lando Calrissian (Donald Glover).

Han ha carattere, è uno tosto, al resto ci pensano le situazioni che lo fanno diventare per sempre un contrabbandiere. Ecco spiegato, in estrema sintesi, il carattere guascone, imbroglione del personaggio creato da quella faccia da schiaffi di Harrison Ford. Purtroppo al giovane Alden Ehrenreich (che non cerca fortunatamente l'imitazione dell'originale) mancano totalmente l'ironia, il carisma e il senso per la trasgressione. Fortunatamente ci sono delle scene d'azione e l'amicizia con il fido Chewbecca che valgono il prezzo del biglietto. Soprattutto l'inseguimento sul treno che sembra un po' un western vecchia maniera unito a sprazzi avventurosi/giallisti stile Indiana Jones, Snowpiercer e Assassinio sull'Orient Express. La fotografia di Bradford Young (Arrival) regge bene puntando soprattutto sul dominio del blu e del giallo ocra.

I problemi iniziano a manifestarsi dopo l'intervallo. La storia latita e si sgrana, la recitazione peggiora (gli attori giovani hanno scarsa esperienza teatrale e vengono quasi tutti dalle serie Tv con scarsa gavetta cinematografica), i colpi di scena sono dannatamente prevedibili, le battute sono da seconda elementare (senza offendere i bambini). Tutto sembra tagliato con l'accetta. Woody Harrelson e il villain Paul Bettany sono ai minimi sindacali, Alden Ehrenreich ha un'unica espressione con gli occhi appena aperti e non entusiasma mai, Donald Glover è piuttosto pomposo e arrogante. Ma le cose più tristi vengono dai personaggi femminili. Sia il settimo sia l'ottavo episodio della saga puntavano giustamente sulla consistenza di Daisy Ridley. Qui invece c'è un netto passo del gambero: la storia d'amore tra Qi'ra e Han è quasi ridicola, Emilia Clarke sembra uscita da Fantaghirò 4 più che dal Trono di Spade, il droide femminista è quasi irritante perché serve solo a creare l'effetto "zuccherino". Il maschilismo è tangibile e le donne si devono adeguare (notare il finale in cui si rivela il misterioso padrone di Qi'ra).

Il film non funziona affatto come dovrebbe, caro Ron Howard. Non è tutta colpa tua, in ogni caso. Agli amanti della celebre saga di Star Wars, dico una cosa. Ritengo che la Disney stia prendendo una cattiva strada che presto porterà i più a non credere più nella magia di film come quelli di George Lucas (la prossima tappa sarà l'Episodio IX che uscirà il 20 dicembre 2019, diretto da J.J. Abrams). Ai fan dico come Beckett quando ammonisce Han: «Parti dal principio che (prima o poi) ti tradiranno, così non rimarrai mai deluso.»


Solo: a Star Wars story **1/2 (USA 2018) 

Genere: Western / Fantasy / Azione

Regia: Ron HOWARD

Sceneggiatura: Laurence e Jon KASDAN 
Fotografia: Bradford YOUNG

Cast: Alden EHRENREICH, Woody HARRELSON, Paul BETTANY, Emilia CLARKE, Joonas SUOTAMO, Donald GLOVER

Durata: 2h e 15 minuti

Produzione: Lucas Film, Walt Disney

Distribuzione: Walt Disney Pictures

Uscita: 23 Maggio 2018

FORMATI: 2D e 3D

Trailer https://www.youtube.com/watch?v=eum93mpzpE0

La frase cult: «Parti dal principio che ti tradiranno e non rimarrai mai deluso».


 

TOP

- Le scene d'azione che rimandano ad antichi esempi di cinema con canoni western

- L'assalto al treno è grande cinema

- L'amicizia tra Solo e Chewbecca funziona

- La prima ora offre qualche momento alto

- Gli omaggi al cinema d'azione (Indiana Jones, Ritorno al futuro, Mad Max Fury Road) e al cinema dei vecchi tempi (Orizzonti di gloria)

- L'entrata in scena del Millennium Falcon

FLOP

- Il livello medio della recitazione è pessimo. I veterani Bettany e Harrelson sono ai minimi sindacali, i giovani interpreti non hanno la gavetta necessaria per il cinema

- L'intervento fascista e maschilista della Disney (vedi licenziamento di Miller e Lord) sulla direzione della storia

- I problemi produttivi che hanno costretto Ron Howard a un vero tour de force

- I personaggi femminili sono ridicoli perché è un film maschilista

- La seconda parte rovina quanto di buono è stato fatto nella prima

- Mancano totalmente ironia, epica, divertimento e il carisma di Harrison Ford. Gli ingredienti tipici della saga ci sarebbero

- Le continue rimaneggiature della sceneggiatura sono palesi e lasciano diversi dubbi

- I colpi di scena sono facilmente intuibili


 Immagine di copertina ripresa liberamente da lecco4children.it, locandina liberamente ripresa da it.ign.com, immagine nel corpo del testo liberamente ripresa da www.denofgeek.com.

Dissidenti, poveri, donne ed emarginati protagonisti al 71° Festival di Cannes
Speciale dalla 71° edizione del Festival del Cinema di Cannes

Dopo una 70° edizione non memorabile (vedi qui), a Cannes si sono fatti delle domande. Il vento del cambiamento è iniziato a soffiare. Alla berlina sono andati i film americani (ad eccezione del nuovo film di Spike Lee e lo spin off di Star Wars, "Solo"), le pellicole Netflix che rifiutano il passaggio dalla sala cinematografica, le anteprime stampa per evitare gli odiosi commenti sui social degli haters, i selfie sul red carpet. "La storia del cinema e di internet sono due cose diverse" - ha tuonato il direttore artistico della manifestazione, Thierry Fremaux.

A Cannes Garrone mostra l'incapacità italiana di vedere oltre le apparenze

Nel 2008 "Gomorra" consacrò ufficialmente l'entrata di Matteo Garrone tra i registi di punta del nostro cinema. Anche uno specialista come Martin Scorsese osannò pubblicamente il giovane regista italiano. Da lì in poi sono arrivati gli ottimi Reality, Il racconto dei racconti e adesso Dogman. Al Festival di Cannes è ormai ospite fisso. Insieme a Sorrentino e Moretti. è uno degli autori più amati in Francia, tanto che la casa transalpina Le Pacte cofinanzia le sue opere (insieme a Rai Cinema e l'Archimede Film dello stesso Garrone). Bisogna dire però che sei anni prima di Gomorra, uscì un film visto da pochi di cui bisogna tener conto, L'imbalsamatore (trovate il trailer qui). Un noir italiano fuori dal comune che parla

LORO 2 è un invito a non far parte della "feccia che risale il pozzo"

Nel 2008 al cinema Matteo Garrone (con Gomorra) e Paolo Sorrentino (con Il Divo) si contendevano il dominio del boxoffice italiano. Vinse il primo che doppiò il rivale a livello di incassi (10 milioni di euro contro 4.6), forte del successo del bestseller di Roberto Saviano da cui è tratto. Il cinema italiano sembrava in ripresa, ma era solo una coincidenza. Nel 2015 la sfida proseguì al Festival di Cannes (c'era anche Nanni Moretti con Mia madre) con Il racconto dei racconti e La giovinezza, ma rimasero a bocca asciutta. È ancora tempo di sfide tra due degli autori di punta del nostro cinema. La prossima settimana vi recensirò Dogman di Matteo Garrone che sarà in concorso al Festival di Cannes.

La fantasia torna al potere nel film più politico di Wes Anderson

2009. Wes Anderson fece il suo primo film di animazione in stop motion con il direttore della fotografia Tristan Oliver.

Lui, loro e gli italiani: la somma inconscia del berlusconismo secondo Sorrentino

2008. Passò da Cannes e poi in sala un film italiano destinato a diventare uno dei migliori film di Paolo Sorrentino (insieme a Le conseguenze dell'amore). Sto parlando de Il divo. Al centro del film c'era Toni Servillo con il suo Giulio Andreotti. In quell'opera c'era una piccola scena che era il fulcro della pellicola.

Sabato, 21 Aprile 2018 00:00

Il pericoloso gioco di Molly Bloom

Aaron Sorkin, la Red Headed Woman Jessica Chastain e il pericoloso gioco di Molly Bloom

2010. Usciva nelle sale di tutto il mondo il film The Social Network di David Fincher. Un'opera significativa che, secondo me, rappresenta in maniera totale i problemi della società contemporanea (specialmente le giovani generazioni). Insieme a Her, Into the Wild e Mystic River lo considero tra le opere manifesto degli anni 2000.

Il sogno italiano di (Io sono) tempesta si chiama berlusconismo

Ricordate il film Suburra di Stefano Sollima? Il politico, interpretato da Pierfrancesco Favino, rincorreva l'auto con a bordo il Presidente del Consiglio dimissionario.

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