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Mercoledì, 15 Novembre 2017 00:00

Sette note in rosso

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Sette note in rosso

Fra tutte le arti, la musica, è quella che occupa un maggior spazio nostra vita. C’è sempre una canzone, un brano strumentale, una voce stonata che canticchia per gioia o rabbia, sotto la doccia o per strada. Un mondo senza suoni, canzoni, musica, è pressoché impossibile solo immaginarlo, figuriamoci sopportarlo! Per questo penso sia fondamentale porsi il seguente quesito: la musica può spiegare la Storia? Può, attraverso il suo linguaggio, far chiarezza su parti poco conosciute, taciute, rendere onore ai dimenticati? E se questo fosse possibile, in che modo potremmo pensare che abbia la stessa validità di una lunga ricerca da parte degli storici di professione?

La domanda richiede anche un’accurata analisi sul confronto/scontro tra Storia e controstoria, come avviene tra informazione e controinformazione. Tipico della nostra società totalmente sfiduciata nei confronti del sapere e delle parole “Ufficiali”, per cui vi deve essere qualcosa dietro, un evento nascosto, un fatto storico volutamente dimenticato.

A tutto questo aggiungiamo anche un ulteriore e importante fatto: noi italiani non siamo capaci di saper affrontare la nostra storia. Come se avessimo una sorta di complesso di inferiorità nei confronti delle storie altrui, nate da rivoluzioni e unità di popolo, a nostro avviso mancanti nella nostra.

Eppure se una nazione è riuscita, con due cavalli e quattro pistoleri, a creare un Mito e una Leggenda, non comprendo come la nostra Storia, così piena di slanci, pathos, epica, possa essere del tutto travisata e ridimensionata, in modo trasversale, dai suoi cittadini.

Non sono molte le riflessioni che l’arte popolare del cinema o della musica dedica al nostro Risorgimento. Pochi esempi non sempre degni di essere rammentati.

Il concept album degli Stormy SixL’unità, è uno dei rari casi in cui la Storia è protagonista assoluta in un contesto di musica leggera.

Distribuito dalla Ariston, questo lavoro nasce con la nobile e giusta pretesa di dare al popolo il giusto spazio all’interno della Storia. Come fanno notare gli stessi musicisti, nelle note di presentazione del lavoro in questione, le masse spesso hanno il compito di applaudire le gesta di alcuni eroi, grandi pensatori e uomini delle classi dominanti; di rado si avverte la presenza della gente. Come se questa unità fosse stata subita dalla maggioranza delle persone, perché indegne di partecipare o comprendere fino in fondo l’importanza di una terra e popolo uniti. Per questo il lato A si occupa di rendere giustizia a tutti coloro i quali si son ritrovati circondati da bersaglieri, comandati col pugno di ferro da parte di altri italiani, i quali però parlano dialetti diversi, generando incomprensione linguistica e quindi sociale, con le masse di contadini e operai meridionali, usando la guerra ai briganti come esecuzioni di massa, vedi anche il caso citato nel bellissimo film di Vancini, Bronte.

Certo una materia così importante merita un maggior approfondimento, rispetto a una manciata di canzoni, però è interessante per molti altri risvolti, non tanto canori, quanto politici. 

Primo fra tutti: la sinistra, in particolare i comunisti, hanno cercato di smitizzare le parole vuote e retoriche dei rappresentanti dello stato borghese e capitalista, affrontando il tema del brigantaggio, attraverso un discorso azzardato, ma forte, sulla lotta di classe. Chi erano codesti briganti? Come spesso capita si eccede: da una parte eroi del popolo, dall’altra solo canaglie. Io penso che la verità, come quasi sempre, stia nel mezzo. In particolare sono convinto che una cattiva amministrazione del problema meridionale, post unità d’Italia, sia alla base di tutti i problemi sorti in seguito. Non credo che le storie dei neo borbonici siano da tener in considerazione alcuna. Vedo semmai un disperdere l’originale discorso di classe in una sorta di “come erano belli i nostri tempi”, ma attenzione a sottovalutare il peso che scelte inopportune da parte dei soldati del “nord” e della sua classe politica, impegnata a far la Storia forse con troppa fretta, hanno avuto sulla vita del popolo in meridione.

Nei primissimi anni '70, la band milanese degli Stormy Six, dedica a questa storia minuta, fatta da pezzenti e perdenti, quattro brani che mettono in luce i difetti dell’impresa di Garibaldi e soci. Garibaldi, Tre fratelli contadini di Venosa, Pontelandolfo, Sciopero: sono quattro narrazioni a ritmo di country rock, dixie, folk, come colonna sonora per la disillusione delle masse contadine, degli operai, della povera gente, convinte di essere state liberate da un regime opprimente e finite per esser "occupate" da presunti fratelli, da altri italiani.

Tempo dopo questo episodio tragico della nostra storia verrà ricordato da un grande intellettuale, Angelo Del Boca, nel suo libro Italiani, brava gente?, opera che, oltre a occuparsi del nostro nefasto colonialismo, dedica un lungo capitolo alla difficile unità e creazione del popolo italiano. Si parla di esecuzioni di massa, di campi di concentramento, di un uso brutale della forza contro gli abitanti locali. Detto questo, rimpiangere gli occupanti stranieri, perché si immagina una presunta ricchezza e benessere, non è da prender in considerazione alcuna. La storia della nostra Unità è ricca anche di episodi e personaggi memorabili e per bene. Lo stesso Garibaldi nelle sue memorie lascia intendere di alcune amarezze che hanno di fatto in parte inficiato il suo lavoro. Non dimentichiamo l’ardore e la pulizia d’animo con cui molti giovani hanno combattuto per una terra libera, un popolo unito. Il fatto che l’esercito sotto guida dei Savoia abbia sparato anche contro Garibaldi, la dice lunga. 

Questa contraddizione tra il Garibaldi (personaggio-simbolo quasi ingenuo) protagonista della canzone degli Stormy Six e quello preso come simbolo di liberazione dalle truppe comuniste per la lotta di liberazione dal nazi-fascismo, penso sia indice di quanto, ancora oggi, per noi sia troppo complesso saper dar un giudizio sereno e pacato sulla nostra storia.

Per cui da una parte abbiamo quel bellissimo western risorgimentale che è Il brigante di Tacca del Lupo, che narra le  vicende di un brigante ricercato dall’esercito e di come, a combattersi, da una parte e dall’altra, siano poveri contadini e proletari, manovrati da interessi politici più alti di loro. Questo è il primo film in cui il tema del brigantaggio viene affrontato e mostrato dall’inizio fino alla fine: ha sollevato polemiche il finale, un vero inno all’unità del popolo e della nazione. Rimane, però un episodio, come il disco degli Stormy Six, dove l’arte popolare prende il coraggio di parlare e svelare certe storie imbarazzanti per i potenti e per quelli che usano la retorica delle parole per ingannare le persone. Azzardiamo un filo comune tra questi cantori di imprese eroiche e la propaganda fasciste dell’Impero. Nondimeno altri titoli, come Noi Credevamo di Mario Martone, cercano di trovare il giusto equilibrio. Vero che l’unità è stata pagata duramente da parte delle masse meridionali, ma alla base c’era passione, rivoluzione, vite completamente date per questo scopo politico e sociale. Come la Resistenza, tutto questo sacrificio ha premiato la parte conservatrice e reazionaria del paese, disperdendo la grande forza innovatrice e progressista, ma questo non vuol  dire criticare né la nostra unità e nascita di una nazione, tanto meno quella pagina gloriosa che è la Resistenza.

Ritornando al disco, i musicisti rendono omaggio ai briganti. Il punto su cui basare queste considerazioni più o meno storiche, è appunto la lotta di classe. Ecco, oggi, anche all’interno di coloro i quali vorrebbero, nei loro sogni di gloria, unire e ricreare  la sinistra, se non il comunismo, manca proprio una visione classista della storia, dell’esistenza umana. Piegati su un pensiero maturato dalle classi dominanti, che donano ai ribelli avanzi di non violenza, pacifismo, sterile e vuota democrazia di diritti civili, senza tener in considerazioni quelli sociali.

Perché la questione meridionale, da sempre, non è tanto quella della lotta alla mafia, ma quella negata e soppressa della lotta di classe e alla povertà. Le terre ai contadini e non ai latifondisti, arrivati indenni dai Borbone ai giorni “nostri”. Del lavoro garantito, non legato al caporalato, al nero, all’umiliazione del proletario. Tutto questo è il lascito di un’occupazione militare spacciata per liberazione dal vecchio regime. Ci sono molti documenti in merito (io ho citato Dal Boca, che non mi pare uno sprovveduto) che andrebbero studiati. Evitando, assolutamente, le pagliacciate neoborboniche o i libri-sensazionalistici sul tema. Tuttavia, Pontelandolfo e Sciopero, forse le due canzoni migliori del concept album Unità, raccontano fatti veri.

Il primo brano riguarda la sommossa popolare, una delle tante, contro quelli che venivano considerati come occupanti. Ora certe sommosse erano anche guidate da ex appartenenti al vecchio regime, avevano una base reazionaria e per nulla interessata al bene del popolo, ma solo tentativo disperato di riprendere lustro e potere. Questo sia chiaro a quei compagni tanto lucidi nel trovare contraddizioni all’interno delle primavere arabe, quanto ciechi e sordi di fronte a nostalgie di comodo e manipolazione della nostra storia. Tutto questo però non cancella l’errore di strategia e relazione tra uomini che condividono una terra, ma occupati da paesi diversi, con diversi metodi di amministrazione ed esecuzione del vivere comune, dialetti che sono vere e proprie lingue a dividere le persone. 

Nondimeno il disco denuncia non tanto i cattivi forestieri, esecutori di certi atti orribili, ma sopratutto il “gattopardismo” dei locali. Passati senza troppi danni dalla corte borbonica a quella dei Savoia. Mezzi uomini subdoli, in netto scontro con gli operai che a Portici, poco dopo l’Unità, pretendono orari di lavoro meno massacranti e una paga migliore. Il direttore farà credere ai bersaglieri che la sua fabbrica sia occupata da briganti. Causando la morte di cinque onesti operai.

Proprio questo brano fa da filo conduttore col lato B, dell’opera. Si cambia secolo e ci ritroviamo negli anni tra il '68/'72. Come se il Risorgimento tradito fosse risorto in quegli anni di lotta, contestazioni, scontri.  Non sottovaluterei nemmeno il richiamo alla Resistenza, anche essa - come è pensiero comune non so quanto vero -  tradita e sacrificata, il richiamo è quello del Garibaldi simbolo delle lotte partigiane

Per quanto, a mio avviso, oltre dieci anni di fuoco sui contadini e operai, da Portella della Ginestra ai fatti di Reggio Emilia, mi fanno pensare che proprio lo sciopero di Portici, finito nel sangue, sia il vero filo conduttore di codesta opera.

Questo lato abbandona pretese storiche, analisi più legate alla cronaca, per un tuffo nelle speranze e delusioni del periodo. Dai, possiamo dire un semi instant record

Si apre con la lunga suite folk-prog di Suite per F e F nel quale si narra la presa di coscienza di migliaia di ragazzi borghesi durante gli anni tumultuosi delle rivolte studentesche e operaie. Canzone profondamente biografica, ha un linguaggio che va dal brano-volantino, alla Pino Masi, a certe raffinatezze esistenziali. Questa speranza e illusione però si macchia del sangue di un compagno ucciso durante una manifestazione, marchio di fabbrica delle nostre forze dell’ordine dai tempi di Scelba fino a Genova: Manifestazione è un blues carico di rabbia e tristezza. L’evento politico, anche qui, non è al centro del brano, ma viene vissuto direttamente e in prima persona. Sono le parole di un compagno travolto dalla repressione statale


Repressione è civiltà
, queste sono le parole d’ordine tanto del commissario della Digos in Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto quanto della polizia e carabinieri nei secoli dei secoli.

L'lp si conclude su una nota di rancore, livore, rabbia, sussurrata e per questo ancora più pesante: Fratello è atto di violenza e rottura con quella sinistra pacifista ad oltranza, hippy, fricchettona. In molti ci  vedono un attacco diretto a Claudio Rocchi, di cui consiglio i dischi, proprio perché esponente di quel tipo di gente.

Il lavoro forse cova pretese fin troppo alte e non facili da gestire in un solo disco. La Storia è un fiume in piena che travolge gli eventi e i fatti, già nel momento che si manifesta in un dato contesto sociale e politico, difficile cogliere a pieno la Verità dei Fatti. Piuttosto ci sono tanti avvenimenti, contraddizioni, errori e soluzioni, che ci possono dar un’idea, giusta e precisa di cosa successe.

Tempo  fa ebbi modo di leggere un ottimo libro di Aldo Giannuli: L’Uso Pubblico della Storia. Ho intenzione di rileggerlo, insieme ad altre due sue opere, perché il tema di come viene trattata la Storia dai media e anche, in un certo senso, da alcuni studiosi mi pare mai ben centrato

Sfiorato, strumentalizzato, manipolizzato, ma non analizzato come si deve.

A volte si è contro per partito preso, perché si pensa che la Storia abbia una sua classe di provenienza o che certe classi abbiano “sempre riscritto” gli eventi per crearsi una gloria su misura. Non lo so, non ho idea.

Noto, malinconicamente, che anche a sinistra però si tende frettolosamente a condannare e prendere le distanze sulla storia del comunismo, spessissimo in mala fede (sennò come facciamo ad avere un assessore o come facciamo a rispondere agli attacchi della borghesia, che ci chiede conto dei morti sotto Stalin?).

Eh, guardate, potremmo cominciare con l’ascolto di quel capolavoro che è Stalingrado, brano di apertura di un capolavoro della storia del progressive-jazz italiano: Un Biglietto del Treno

Poi potremmo rammentare, ai democratici liberali, che né Stalin né noi siamo stati così bravi da gettare nelle braccia della morte, per meri interessi economici di pochi privilegiati, milioni di giovani vite nelle due guerre mondiali, oltre ad altre in giro per il mondo. Senza contare quelli del colonialismo, imperialismo e così via. Noi comunisti, a confronto, siamo dilettanti. Ovviamente questo è troppo, per molti deboli, quindi preferiamo cancellare una parte fondamentale della nostra storia,

Ritornando alla bellissima canzone degli Stormy Six, ancora un nuovo concept album legato a fatti storici. Questa volta però, per fortuna, non si tenta di descrivere periodi storici lontani tra di loro, cercando forzatamente qualcosa che li possa unire. Si parla di quel periodo tra '43-'45 che segna la fine del regime fascista ormai in mano ai nazisti, e il riscatto umano, politico, della nazione attraverso la resistenza, ma anche il sarcasmo nei confronti dei nuovi “occupanti” o padroni, cioè: gli americani. Quelli di San Lorenzo, la scuola elementare di Via Gorla, eppure di fatto liberatori del paese. 

Non ho voglia di cimentarmi nella lunga e noiosa discussione tanto cara ai rossobruni sul fatto che i partigiani vendettero la patria agli americani. Una teoria simile fa capire quanto questi ridicoli fascisti travestiti male siano indegni di esser considerati compagni. Detto questo, non possiamo negare che la libertà ritrovata è stata pagata carissima da noi italiani.  Il peso di quella liberazione, della sottomissione alla potenza mondiale americana ha un ruolo fondamentale anche nelle cosiddette stragi di stato e colpi di stato abortiti all’ultimo momento. Questa parte della storia non va mai dimenticata quando si affronta il tema del dopo guerra e della Resistenza.

Temi che non hanno un grosso riscontro tra le masse, strumentalizzate dall’ideologia del momento, tempi in cui anche i libelli più sciocchi e insensati trovano spazio e attenzione, pur che si parli male dei partigiani.

In questa ottica, un lavoro come Un Biglietto del Tram ha ancora un senso profondo e valido. Per due motivi:

1) la musica popolare o d’autore può occuparsi di Storia e far da mezzo per la conoscenza di fatti dimenticati del passato o eventi forti del presente

2) la musica è spesso un evento di massa, collettivo, proprio come la Storia che per realizzarsi ha bisogno di tanti individui ed elementi.

Questa comunanza fa sì che L’Unità e Un biglietto del Tram abbiano un peso non minore rispetto ad altri modi di occuparsi di storia e politica

L’arte, a ben vedere, è sempre un atto di presa di posizione e per questo politico.


Immagine di copertina liberamente ripresa da www.youtube.com

Ultima modifica il Domenica, 28 Gennaio 2018 22:53
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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