L’involucro vuoto degli anni ottanta: il ritorno dei Tame Impala con Currents

Nell’epoca del continuo riciclaggio e del perenne ripescaggio, la tendenza postmoderna al pastiche, al mettere insieme influenze e stili diversi nella speranza di ricavarne qualcosa di originale e diverso è ormai la triste normalità. Il fatto che il rock stia attraversando uno dei momenti più neri della sua storia rappresenta oramai un giudizio storico sempre più condiviso, nonostante le tante buone (ma raramente eccellenti) prove e uscite discografiche degli ultimi quindici anni. I voti esageratamente alti (da parte di alcune delle principali riviste musicali come Pitchfork, NME, Drawned in Sound) con cui è stato accolto l’ultimo disco degli australiani Tame Impala, l’attesissimo Currents, uscito a luglio di quest’anno, sembrano confermare la tendenza della critica internazionale ad aggrapparsi alle poche novità interessanti e a conferire a queste ultime improbabili poteri taumaturgici in grado di generare una qualche forma di nuova catarsi rock.

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Estetica dei ricordi annebbiati: documentario sugli Slowdive
Recensione del documentario sull’influente gruppo inglese

C’è stata una breve ma intensa stagione musicale nel Regno Unito, schiacciata fra i fasti della new wave degli anni ottanta e la patina del brit-pop della decade successiva, a lungo rimasta piuttosto nell’ombra ma che nel tempo è stata profondamente recuperata e rivalutata: si tratta del movimento shoegaze, un genere interessato a mescolare il candore etereo del dream pop con il rumorismo riverberato della psichedelia.

Una delle più importanti magazine musicali, Pitchfork, ha da poco realizzato un interessante documentario (disponibile qua) lungo poco meno di un’ora su uno dei protagonisti di questa oscura ma eccitante scena musicale, ovvero gli Slowdive, formati a Reading nel 1989 dall’incontro artistico e sentimentale fra Rachel Goswell e Neil Halstead.
Un montaggio eccellente, unito alle lunghe interviste originali ai membri della band, al loro produttore e all’ingegnere del suono, contribuiscono a definire un documentario pregevole che rende giustizia a una delle più sottovalutate band inglesi degli anni novanta, a lungo assurdamente marginalizzata anche dalla critica alternativa della terra d’Albione.

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Questa è la volta che volerai via con me: il ritorno di Vasco a Firenze

Era il 1992 e il titolo era un passaggio della canzone "Lo show", singolo di apertura dell'album "Gli spari sopra". Sì perché quando si tratta di Vasco Rossi non si può dire che è solo un concerto. È una pioggia di emozioni.
Dopo una lunga attesa, Vasco Rossi è tornato ad esibirsi allo stadio Artemio Franchi di Firenze. Il "Live Kom 015",dopo il debutto di Bari,è arrivato nel capoluogo toscano per due imperdibili date. Io vi racconterò la prima, quella di venerdì 12 giugno.

Sono le 21.15 circa. La gente non ne può più. L'attesa si fa snervante. Tutti invocano l'entrata in scena di Vasco. Pochi minuti dopo si sentono le nota di "Zoya" di Dmitrij Šostakovič. Ed ecco entrare la band: il tastierista Alberto Rocchetti, la carismatica corista Claudia Moroni, il bassista Claudio Golinelli ("Il gallo"), il corista Frank Nemola, il sassofonista Andrea Innesto (detto Cucchia), il chitarrista americano Stef Burns e le due new entry Vince Pastano alla chitarra (che sostituisce Maurizio Solieri) e l'ex Evanescence Will Hunt alla batteria. Dopo poco entra Vasco. Boato.

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Thee Oh Sees: Il ritorno dei filologi del garage rock lisergico
Recensione dell’ultimo lavoro “Mutilator Defeated at Last”

Alla fine si ritorna sempre là. Alla seconda metà degli anni sessanta e a ciò che quegli anni hanno significato per la storia della musica. Si ritorna a un periodo in cui la controcultura aveva per un breve periodo trasformato il rock nella più credibile espressione del malcontento generazionale e del desiderio di trasformazione radicale.
Sappiamo tutti come andò a finire: la rivoluzione verrà ricondotta all’interno dei sicuri binari dell’establishment, la contestazione messa a tacere, la controcultura ridotta a una moda passeggera. Eppure si fa fatica a trovare ancora oggi un musicista che non sia stato direttamente o indirettamente influenzato da quanto è stato scritto e cantato durante quegli anni di fibrillazione e di eccitante creatività. C’è chi poi di quel periodo ne fa un vero e proprio culto.

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Giovedì, 30 Aprile 2015 11:29

Ricordando Lester Bangs

Ricordando Lester Bangs
33 anni esatti dalla scomparsa del grande critico musicale californiano

Non mi chiedete perché guardi a gruppi rock come possibili modelli per una società migliore. Penso che sia solo per il fatto di aver intravisto qualcosa di bello in un momento di illuminazione e probabilmente l’ho confuso per una profezia che ha da sempre cercato la sua realizzazione.

1973. Lester Bangs, reo di mostrarsi “irrispettoso nei confronti dei musicisti”, viene licenziato dalla rivista Rolling Stone, dopo una recensione particolarmente negativa nei confronti dei Canned Heat. Inizia un periodo particolarmente complesso per il giovane critico musicale californiano. Il suo giornalismo militante, volto a promuovere la musica come strumento di lotta e cambiamento del sistema entra in contrasto con la realtà sociale e artistica dell’epoca: la grande stagione psichedelica è al collasso, la cultura hippie in declino, i grandi gruppi venerati da Bangs come Velvet UndergroundVan MorrisonCaptain Beefheart sembrano aver già espresso il meglio di loro stessi mentre all’orizzonte una nuova generazione di musicisti si crogiola nella restaurazione fatta di fronzoli e barocchismi progressive.

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Live report del concerto del gruppo bergamasco a Firenze

Nel panorama della musica indie italiana, pochissimi gruppi possono vantare una carriera brillante e coerente quanto quella dei Verdena. Emersi, giovanissimi, dall’underground lombardo con un paio di inni adolescenziali di scuola grunge contenuti sul già interessate omonimo album di esordio del 1999, il trio bergamasco ha poi intrapreso un sentiero di crescita musicale coraggioso e complesso iniziato con Solo un Grande Sasso (2001, Blackout) e culminato con l’ambiziosissimo e decisamente riuscito doppio Wow (2011, Universal) e con il nuovo Endkadenz Vol. 1 (2015, Universal).

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Martedì, 06 Gennaio 2015 00:00

Pino Daniele, cuore mediterraneo

Questa riportata sopra è la copertina di Scio' doppio LP dal vivo che documenta i concerti della tournée di Musicante, a mio avviso il più bell'album di Pino Daniele, contenente il capolavoro Lazzari felici e la sorprendente Keep on movin’.
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Lunedì, 22 Dicembre 2014 00:00

I Migliori Dischi di un 2014 agli sgoccioli

I migliori 20 album internazionali e le migliori 6 uscite discografiche nel panorama italiano

Cosa resta di questo 2014 musicale? Come da diversi anni a questa parte, non si può non constatare una postmoderna tendenza al patchwork, al mettere insieme generi diversi per cercare di vedere se causalmente ne esca fuori qualcosa di originale. L’innovazione fin dagli anni zero, procede a ritmi estremamente blandi, ma indubbiamente ci sono vari dischi che creano una tendenza, diventano punti di riferimento importanti, indicano –anche se non intraprendono - una strada nuova da seguire.

Ogni classifica è molto soggettiva, ma la convergenza della critica musicale verso certi lavori, mette in evidenza, a parare di chi scrive, due tendenze. La prima è la proliferazione di una forma di cantautorato iper- espressionista sempre più aperto a ogni forma di contaminazione stilistica e deviazione sintetica ma sempre ancorato al pop. Emergono complessi affreschi multi cromatici dal capolavoro (forse l’unico dell’anno) di St. Vincent, ma anche dal “queer-pop” di Perfume Genius, dall’indie-mainstream di Lana de Rey o dal trip hop in salsa r’n’b di FKA Twigs, tanto per citare solo alcune uscite del 2014. La seconda tendenza è un rafforzamento significativo del revival psichedelico degli anni sessanta: gli esordienti Temples recuperano Beatles e Pink Floyd in un disco freschissimo e magnetico, gli Svedesi Goat ne ampliano il campo applicativo mescolando sapientemente la psichedelia con la world Music Orientale e Subsahariana, mentre anche nei lavori ipercitazionisti e multi dimensionali di Horrors e The War on Drugs, la psichedelia trova un posto di primo piano.

In uno scacchiere in cui - nonostante le nuove tecnologie - la capacità di aprire nuove strade musicali è ancora a quasi totale appannaggio di un pugno di zone Geografiche (Usa e Canada, Isole Britanniche, Scandinavia), l’Italia mostra un certo ritardo rispetto alle novità e alle tendenze in atto. Nuovi stili arrivano da noi in grande ritardo precludendo quasi totalmente alle band nostrane la possibilità di contribuire alla rifinitura dei nuovi linguaggi sonori internazionali. Esiste comunque una vivace scena indie e una generazione di “neo cantautorato” piuttosto valido.

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