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Sabato, 11 Maggio 2013 00:00

Rugbyland, se lo sport può migliorare un Paese

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Intervista a Andrea Ragona, autore di “Rugbyland, viaggio attraverso l’Italia del rugby”, edizioni BeccoGiallo 2013)
La presentazione del libro si terrà il 28 maggio a Firenze, in fondo la locandina con tutte le informazione

Parlare di fumetto, vorrebbe dire sminuire Rugbyland. È un percorso per il Paese, attraverso i racconti dei protagonisti di diverse associazioni sportive che hanno segnato il territorio e la storia di una realtà in continua ascesa. 

I disegni di Gabriele Gamberini si inseriscono con continuità tra le testimonianze di realtà provinciali e città metropolitane, così come fanno le figure mitologiche di stampo omerico e le canzoni italiane che completano un mescolarsi armonico di testi, sapori, suoni e segni grafici. È un libro fatto per far capire cos’è il Rugby a chi non ci ha mai giocato, capace di spiegare un dato essenziale: si può iniziare anche a 30 anni, il senso di questo sport si vive soprattutto fuori da quello che viene ripreso dalle telecamere.

1) Partiamo dallo smontare uno dei luoghi comuni più diffusi e sbagliati che circola attorno a questo sport. In una delle domande che si fanno col test di Minnesota, anche agli aspiranti membri delle forze armate, si legge: “pratichi sport violenti, come il rugby”? Nel vostro libro si legge invece di una filosofia di vita che è fatta “di valori importanti come il rispetto, il sostegno, l’unità e la disciplina” (“non quella puramente militare, ma quella più sana”). 

Non sapevo di questa domanda del test di Minnesota. Devo però dire che rende bene l'idea di quelli che pensano in molti del rugby e cioè che sia uno sport per gente grossa che ha voglia di darsele. Per fortuna però stanno recentemente emergendo anche gli altri aspetti caratteristici del rugby, ovvero i valori universalmente positivi (sportività, amicizia, rispetto...) che sono parte integrante di questo sport. E che bisgona difendere quotidianamente. Il rugby, certo pur con qualche eccezione, vive di questi valori: e senza di essi non potrebbe avere il successo che ha avuto e sta avendo nel mondo. 

2) C’è molta politica in Rugbyland. Non quella della cronaca quotidiana, o dei protagonisti mediatici.C’è il ruolo dello sport all’interno della società, del processo di costruzione dei valori che tengono insieme un paese. Per riprendere due frasi: “il problema dell’Italia è che manca del tutto una cultura sportiva” è scritto nel vostro libro, mentre Lo Cicero in una delle sue ultime interviste spiegava come questo sport possa avere un ruolo nel migliorare l’Italia.

Più che di politica direi che il libro si occupa tanto di socialità e di uno strumento attraverso il quale questa si può sviluppare, ovvero lo sport. Ci sono molti confronti con il calcio: ma questo non vuole essere un paragone con questo sport. Più che altro questa relazione è spinta dal fatto che in Italia il calcio diventa metro di giudizio non solo nei confronti degli altri sport, ma in generale con qualsiasi fenomeno sociale. Il confronto fra rugby e calcio diventa quindi quasi naturale: da uno parte lo sport che vive di immagine, dall'altro lo sport che vive di contenuti. Per questo il rugby può e deve essere veicolo di cultura sportiva. Non può scimiottare il calcio, ma deve crescere nel solco della sua tradizione.

3) Un tema che segna tutti i capitoli e di cui si discute con frequenza tra tifosi e ex giocatori è quello della professionalizzazione del rugby. Nell’intervista già citata di Lo Cicero, c’era una luce di rammarico da parte del pilone mentre si lamentava di un terzo tempo più impostato da parte degli sponsor della nazionale. Con la nascita del mondiale di rugby, i tornei si sono fatti più ufficiali, più commerciali e al contempo più di massa. Però non sembra uno sport destinato a seguire le dinamiche del calcio italiano, o almeno questa è la sensazione di ottimismo che lascia Rugbyland... 

Esattamente. Da una parte è evidente che se lo sport si professionalizza, verrà meno un po' di spirito genuino che ha sempre animato il rugby. È anche vero però che ormai nessuno crede più a una professionalizzazione estrema del rugby: tutti sono consci che non ci sono sufficienti soldi per permettere un grande numero di giocatori pagati. Esiste uno spazio per un paio di squadre d'elite, completamente professionalizzate, uno per il semiprofessionismo e infine una vasta area dove vige iò dilettantismo. Che non è per forza un male, anzi: quando una piramide cresce lo può fare in altezza, ma se vuole essere stabile deve allargare anche la sua base.

4) Un capitolo importante lo avete dedicato al rugby femminile. Chiudi quella parte scrivendo che le donne hanno un messaggio da veicolare, una peculiarità in più rispetto a quello maschile...

Si, questo è quanto mi è stato suggerito in uno degli incontri che ho avuto con la manager della nazionale femminile. Le donne devono trovare il loro modo di interpretare il rugby, giocare un rugby che più si addice alla loro sensibilità e natura.

Dal punto di vista tecnico posso dire che siamo abitati a vedere in tv partite molto muscolari, con impatti roboanti e scontri massici. Il rugby femminile è bello da vedere perchè oltra a una fisicità, che comunque c'è, si può meglio apprezzare il gioco veloce e gli aspetti tecnici.

5) Come Il Becco vi abbiamo invitato per la presentazione di Rugbyland in quel di Firenze. Di città o paesi toscani però non c’è traccia, se non un accenno alla rossa Toscana e all’esperienza importante dei Cavalieri di Prato. Il vino e il cibo delle nostre parti non vi hanno affascinato?

Ovviamente nessuno al mondo può dirsi non affascinato da vino e cibo toscano. Più che altro il mondo del rugby italiano è in rapida crescita e qualche luogo geografico ha avuto meno spazio di altri, perchè parlare diffusamente di tutto sarebbe stato impossibile. Volevo però dire che a fine del libro a spiegare le regole del gioco ai meno esperti, c'è un capitolo scritto dal mediano di mischia della nazionale italiana, quel toscanaccio di Edoardo Ugo Gori!

Immagine tratta da Rugbyland

Ultima modifica il Domenica, 28 Gennaio 2018 15:37
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it

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