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Lunedì, 17 Febbraio 2014 00:00

Sperimentazione animale, fuori dalle strumentalizzazioni

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Articolo di Arturo Cavari e Silvia D'Amato Avanzi

Ieri è uscito un articolo che riporta posizioni diverse, lo trovate qui.

Negli ultimi mesi il tema della sperimentazione animale è arrivato all'attenzione dei mass media a causa di fatti eclatanti, causati soprattutto dall'estremizzazione progressiva delle posizioni e delle azioni degli animalisti. Vengono affissi manifesti con nomi, indirizzi e numeri di telefono di ricercatori a Milano, quasi ci si trovasse in un ghetto della Germania nazista; politici ignoranti in cerca del supporto delle organizzazioni animaliste si fanno promotori di emendamenti alla legge europea in materia di sperimentazione animale, minacciando di uccidere la ricerca italiana e causando una multa di 150.000 euro al giorno al governo italiano per mancato recepimento della norma.

È ormai chiaro che coloro che vogliono vietare la sperimentazione animale non possono più essere ignorati (magari con una battutina e un mal riposto senso di superiorità) ma è necessario che la politica si muova per arginare questo movimento che sta assumendo anche caratteri violenti. In particolare è la sinistra, che in molte occasioni si è dimostrata sorda a questi problemi, a doversi muovere e a trovare soluzioni che non solo permettano di portare avanti la ricerca scientifica, ma anche di separarla dagli interessi del capitale.

In questo articolo i due autori tenteranno di sfatare alcuni miti e di fare chiarezza su temi che troppo spesso vengono strumentalizzati.

Nella sperimentazione di farmaci, il test su animali è solo uno dei passaggi all'interno di un iter che prevede prima l'utilizzo di tessuti in vitro – operando così una prima selezione, in modo da ridurre al minimo strettamente necessario i test su animali ed escludere gran parte dei rischi per loro – e poi il passaggio su volontari umani. Come si vedrà più dettagliatamente, ancora in molti casi lo step animale è irrinunciabile. Altre forme comuni di sperimentazione animale mirano ad un avanzamento delle conoscenze fisiologiche animali che non potrebbe essere perseguito diversamente.

Si chiama vivisezione?

Uno dei primi scogli del dibattito è quasi sempre quello della terminologia, che sfocia generalmente in uno scontro di scansioni e fotografie di pagine di dizionario. I contrari alla sperimentazione animale tendono ad insistere che si parla ancora di “vivisezione” in generale per tutte le forme di sperimentazione che comportino pratiche invasive su animali vivi; questa impostazione ha però due errori. Il primo è che l’attuale genericità del significato di “vivisezione” è dovuta al frequente uso che ne viene fatto dagli animalari; e non vice versa. Il secondo è che non tutte le forme di sperimentazione comportano tagli o qualsivoglia pratica invasiva: dall’applicare tracciatori (non molesti e completamente removibili) al piumaggio dei piccioni per studiare i meccanismi di orientamento all’osservare un topo in un labirinto, si tratta senz’altro di sperimentazione animale - ma chi parlerebbe di vivisezione?

Resta indubbio che l’insistenza sulla parola “vivisezione” approfitti dell’immaginario di sofferenza e di ingiustificata crudeltà associato a questa parola. Per questo, e per riferirci più opportunamente in generale a tutta la varietà di pratiche sperimentali che coinvolgono animali, in questo articolo useremo piuttosto l’espressione “sperimentazione animale”.

Scimmie, cani e gatti massacrati

Tutte le immagini usate dalla propaganda animalista raffigurano sempre cani, gatti o primati aperti da sadici uomini in camice bianco… peccato che tutte quelle immagini siano estremamente datate e che gli animali fossero già morti (si tratta infatti di immagini di necroscopie, cioè sezionamento di un animale già morto); oppure si tratta di becere decontestualizzazioni – spesso sono fotografie di interventi chirurgici su animali, svolti nell’interesse dell’animale stesso (l’esempio più frequente è la sterilizzazione di un gatto). Ma non è questo l'unico modo in cui queste foto sono false: infatti oltre l’80% degli animali coinvolti nella sperimentazione di farmaci è costituito da invertebrati (per qualche ragione, mai contemplati nei servizi fotografici delle eroiche “liberazioni” di animali da laboratorio); gli altri sono quasi tutti piccoli roditori (per la stragrande maggioranza ratti albini).

Test su altre specie sono generalmente volti allo studio delle specie stesse, che sono anche le prime beneficiarie di una nostra maggiore conoscenza della loro natura. Chiaro che campagne come Stop Vivisection fanno più presa accostando le vittime della sperimentazione agli animali domestici cui il pubblico è affezionato; non è però interesse degli scriventi stabilire una gerarchia tra animali più o meno simpatici, ci limitiamo ad evidenziare che la scelta delle specie coinvolte risponde a precise esigenze di ricerca. Ad esempio l'impiego di ratti nei test dei farmaci ha delle precise motivazioni: i ratti sono filogeneticamente molto vicini all'uomo (in pratica sono nostri parenti stretti), quindi i risultati ottenuti su di essi sono significativi anche per la nostra specie; inoltre hanno un ciclo vitale molto breve e i ricercatori sono quindi in grado di analizzare con facilità gli effetti di sostanze nell'arco di tutta la vita del ratto e nelle generazioni successive. La predilezione per linee pure, omozigoti per caratteri recessivi (come ad esempio l’albinismo), permette di distinguere con maggior precisione l’effetto di sostanze testate da altre caratteristiche dell’animale e rende replicabile l’eperimento; dall’altro lato, tuttavia, implica che questi animali, sempre vissuti in cattività in condizioni controllate, sono strettamente dipendenti da determinate cure umane e non potrebbero sopravvivere al di fuori dei laboratori. Per gli animalari, naturalmente, tutte le forme di vita sono uguali e parificate agli umani. Cioè, tutte le forme di vita animali. Cioè, tutti gli animali sufficientemente carini – gli autori si domandano: quando verrà fondato il fronte di liberazione delle Drosophila (moscerini dell’aceto)?

I laboratori lager

Gli autori ci tengono a sottolineare che un esperimento può dare risultati giovibili solo se praticato in stretta osservanza di condizioni rigorose e ripetibili; inoltre è necessario limitare al minimo e controllare tutti i fattori, diversi dal test stesso, che potrebbero influire sul risultato. Gli animali sono quindi allevati in condizioni rigorose, a temperatura e umidità ottimali per la loro specie, mai sottoposti a stress, e vengono nutriti adeguatamente. Sicuramente le condizioni di allevamento e di laboratorio sono molto migliori di quelle in cui vengono tenuti gli animali “liberati” da militanti animalari – è particolarmente noto il caso delle gabbie ammassate in un bagno e mai pulite. Di conseguenza, la descrizione a tinte forti di laboratori sporchi e degradati è sostanzialmente incredibile. A chi sta per ribattere “Greenhill”, ricordiamo che in tutti i settori e tutte le professioni esistono casi di delinquenza, da combattere in quanto tale; e un allevamento di beagle (linee pure, sì, ma carissime – già questo dovrebbe far sentire puzza di losco) da laboratorio in quello stato era controproducente anche per la stessa sperimentazione cui i cani erano destinati. Un maggiore controllo sulle condizioni di allevamento degli animali da laboratorio è un auspicio condiviso; cominciamo però a parlare di gestione pubblica, visto che al momento gli allevamenti sono tutti privati.

Ma le tecniche alternative!

Curioso rilevare che gli alfieri delle tecniche alternative tendono a sostenere che gli animali (organismi viventi completi) sono devianti nella sperimentazione di farmaci perché troppo diversi dagli umani e, contemporaneamente, che un modello informatico o un tessuto sintetico coltivato in vitro siano perfettamente adeguati. La sostituzione della sperimentazione animale con altre tecniche avviene già ogni qual volta possibile (per obbligo di legge e anche per maggior convenienza economica); modelli informatici sono già efficacemente utilizzati per prevedere le reazioni allergiche, mentre i tessuti in vitro permettono di studiare egregiamente reazioni di interesse microscopico. Queste tecniche sono tuttavia ancora lontane dall’avanzamento che vorremmo: è di recente completamento una straordinaria simulazione digitale che modellizza accuratamente il sistema di locomozione di un nematode (verme cilindrico) per qualche minuto. Solo il sistema di locomozione. Per un paio di minuti. Lo sviluppo è durato tre anni, con 216 ore di elaborazione necessarie per ogni secondo. Allo stesso modo, è impensabile valutare a partire da un frammento di tessuto la risposta sistemica di un intero organismo - ci vorrebbero conoscenze di biochimica ben lontane dalle attuali e comunque non raggiungibili senza ulteriore sperimentazione.

Perché non sperimentate sui delinquenti?

Dopo aver affermato che gli animali sono troppo dissimili dagli umani per fornirci dati utili, tra molti animalari è in voga proporre la sperimentazione su delinquenti colpevoli di vari crimini (in testa ci sono stupratori e pedofili), etnie considerate intrinsecamente criminali (tipicamente rom), oppure direttamente i figli dei ricercatori. Sorvolando sul fatto che l'idea è di per sé inaccettabile (fu accettata e messa in pratica, per capirci, da Mengele – il regime nazista poté così compiere grandi progressi nella ricerca facendo completamente a meno della sperimentazione animale), sarebbe in ogni caso impraticabile per le caratteristiche richieste alle specie su cui sperimentare: il ciclo vitale e l'alternanza generazionale degli umani sono troppo lunghi, ed è impensabile sia l'allevamento in condizioni rigidamente controllate sia la selezione di linee pure… Dalla privazione della libertà personale all'eugenetica, si porrebbero questioni etiche che travalicano decisamente quelle della sperimentazione animale. Questo riguarda il passaggio nel trial che attualmente coinvolge, ove necessario, specie animali; sia comunque chiaro che il passaggio successivo è spesso di sperimentazione su umani volontari, i cui rischi sono contenuti proprio dalla selettività degli step precedenti del trial.

Siete pagati dalle lobby farmaceutiche!

Magari… Gli animi complottisti che vedono ricercatori e divulgatori come burattini di chi sa quali multinazionali farmaceutiche hanno un'idea piuttosto candida della situazione della ricerca in Italia. La maggior parte della ricerca farmaceutica è sì portata avanti da privati che producono farmaci (i quali però sono anche i primi interessati affinché la ricerca sia efficace e valida nei risultati); ma ciò accade anche perché fare ricerca, in ambiti che coinvolgano animali o meno, è quasi impossibile all'interno dell'università pubblica.

Non esiste la censura sui "metodi alternativi". Esiste il definanziamento della ricerca in genere. Esiste la precarizzazione della figura del ricercatore universitario. Esistono i dottorati senza borsa. Maggior controllo e maggiore diffusione dei risultati si avrebbero ripubblicizzando la ricerca, investendovi seriamente – di questo i ricercatori parlano; gli animalari, mai.

Ultima modifica il Lunedì, 17 Febbraio 2014 10:35
Beccai

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