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Venerdì, 17 Novembre 2017 00:00

Cambiamento climatico: una emergenza che stiamo sottovalutando

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Cambiamento climatico: una emergenza che stiamo sottovalutando climate.nasa.gov

Il cambiamento climatico non è solo uno dei tanti argomenti politici, scientifici e socio-economici di cui dovremmo preoccuparci nei prossimi anni. No: il cambiamento climatico è il solo argomento a cui pensare! Dovrebbe tenerci svegli ogni notte e impegnare ogni nostra energia durante il giorno; invece la pochezza con cui tutti stiamo affrontando il problema e la non decisione con cui ci approcciamo alla questione sono sconcertanti, per non dire imbarazzanti.

 

Facciamo un salto indietro. La Terra si è formata 46 miliardi di anni fa, quando una massa incandescente staccatasi dal Sole si è raffreddata, solidificandosi gradualmente in superficie. Rapportare la storia della nostra presenza sul pianeta alla storia della Terra è impietoso: in una scala temporale più alla nostra portata, immaginando che la Terra si sia formata una cinquantina di anni fa, l’uomo sarebbe salito sul palcoscenico solamente quattro anni fa. I problemi, quelli veramente importanti, causati dall’uomo iniziano però solo “un minuto fa”, con lo scoppio della rivoluzione industriale. In questo ipotetico minuto, durato in realtà circa 250 anni, l’uomo ha mandato letteralmente in fumo il 50% delle risorse verdi della Terra. Già da questi dati dovrebbe essere chiaro quanto profondamente insostenibile sia la maniera in cui stiamo vivendo!

A questo dobbiamo aggiungere un aspetto che noi, abituati a dare sempre per scontate molte cose, tendiamo a non considerare con la dovuta importanza: la delicatezza dei parametri entro cui può esistere la vita. La Terra ospita la vita perché si trova a una distanza ottimale dalla propria stella, condizione che ha consentito la formazione di un’atmosfera adatta alla vita, una gravità di un certo tipo e via così discorrendo. Tutte queste condizioni, essenziali per la vita, non sono state raggiunte, nei 46 miliardi di anni, attraverso un’evoluzione lineare, ma al contrario attraverso un susseguirsi di estinzioni, catastrofi e evoluzioni divergenti. Praticamente un processo di trial and error.

Tutto questo per sottolineare che quando parliamo di un cambiamento climatico che potrebbe cancellare l’uomo dalla faccia della Terra (o causare una drastica riduzione della popolazione mondiale) non stiamo ipotizzando eventi impossibili, ma anzi mettiamo sul tavolo opzioni ampiamente possibili già verificatesi nel corso della storia (come nel caso dei dinosauri).
L’uomo, con lo stile di vita che conduce da dopo la rivoluzione industriale, sta solo accelerando questo processo. Abbiamo basato la nostra idea di economia e di benessere sulla produzione senza fine, e questa sull’utilizzo di combustibili fossili con l’emissione di CO2, senza preoccuparci di come smaltire questo eccesso di anidride carbonica. Anzi, abbiamo pensato bene di peggiorare la situazione tagliando, appunto, il 50% della superficie verde mondiale ed eliminando così la metà degli alberi della Terra. Piante che respirano al contrario di come facciamo noi, assorbendo CO2 ed emettendo ossigeno. Intelligente, no? Mentre aumentavano a sproposito, senza freni, le industrie e l’utilizzo di carbone e petrolio, tagliavamo foreste intere, privandoci dei polmoni per poter almeno provare a sopravvivere! Un po’ come un fumatore incallito che aumenta il consumo di sigarette e decide anche di farsi asportare un polmone senza motivo! Lo fareste? Non credo proprio. Eppure, come umanità, è proprio ciò che stiamo facendo!

Analizzando più nel dettaglio l’andamento delle emissioni di anidride carbonica e del riscaldamento globale, si può notare1 come in realtà la grande impennata sia avvenuta negli ultimi cinquant’anni, dopo la Seconda Guerra Mondiale, e stia raggiungendo anno dopo anno sempre nuovi record negativi.

Eppure c’è chi nega l’evidenza. Le obiezioni più comuni alla teoria del cambiamento climatico sono di due tipi: scientifiche e socio-economiche. In entrambi i casi tali negazionismi si riducono a speculazioni senza uno straccio di prova scientifica a supporto.

Dal punto di vista scientifico infatti è stato provato da moltissimi lavori2 come la correlazione tra emissioni di CO2 e aumento della temperatura globale sia reale, tangibile e, soprattutto, molto pericolosa. Essa provoca gravi cambiamenti climatici, spostando climi tropicali in aree non abituate a certi fenomeni, allargando i fronti di desertificazione e causando lo scioglimento dei ghiacci perenni in grandi quantità. In fondo, quando parlando di riscaldamento globale pensiamo agli enormi blocchi di ghiaccio che si staccano in Groenlandia, no? Peccato non sia solo quello!

Andiamo in Africa, ad esempio: la parte sub-sahariana del continente è da sempre stata una zona molto fertile, non è un caso se qua è nata la vita umana. Ma il deserto è lì alle porte e, con l’aumentare delle temperature, avanza sempre più minaccioso: ruba terreni ai poverissimi agricoltori africani, dissecca le fonti e spinge intere popolazioni a combattere nuove guerre per un fazzoletto di terra o una fonte d’acqua pulita. Da queste guerre e da queste situazioni nascono le migrazioni, nascono le tragedie del mare, nascono i populismi e tutto ciò che avvelena la nostra politica europea e occidentale. Ma tutto andrebbe riportato lì dove sta il problema! Oppure, prendiamo ad esempio i tanti eventi meteorologici violenti e improvvisi che sconvolgono, ormai troppo spesso, le coste americane, caraibiche ed europee. La frequenza di uragani, tornado, tempeste tropicali e trombe d’aria è in costante aumento nelle stesse zone che erano considerate sicure fino a qualche decennio fa. Lo stesso accade con l’incidenza degli incendi, delle siccità estive e delle gelate invernali che distruggono i raccolti. Mettete in fila nella vostra mente tutti questi eventi e pensate a quanto sono aumentati negli ultimi anni: avrete una percezione a spanne di cosa sia il riscaldamento globale.

Eppure la politica mondiale non prende una posizione netta, per una serie di motivi. Prima di tutto, nessuno vuol fare il primo passo indietro, nessuno vuol levare il piede dall’acceleratore, proprio come nella famosa scena di Gioventù Bruciata in cui le auto corrono verso il burrone a tutto gas e nessuno vuol frenare prima dell’altro. Nessuno stato vuole staccarsi dall’economia dei combustibili fossili e così si cerca solo una mediazione che produca il minor danno possibile per tutti, senza però incidere veramente su ciò che è importante. 
La famosa Conferenza di Parigi del 2015 (COP21) ha stabilito degli obiettivi per frenare il riscaldamento globale; ma questi target, considerati mirabolanti e fantastici, erano stati bollati come scenari apocalittici e catastrofici nella conferenza di Kyoto del 1992. Come possono gli stessi obiettivi prima essere così drammatici e poi essere il meglio cui il pianeta possa ambire? È evidente che la trattativa politica ha pesato molto più delle considerazioni scientifiche spicciole e che gli schei hanno sempre il loro peso e il loro fascino. Anche di fronte a possibili scenari sconvolgenti. Senza dilungarmi oltre, sottolineo come sia poco credibile pensare di arrestare un trend così drammaticamente funesto cercando solo di mantenere il riscaldamento entro i 2°C da oggi al 2050. Poi? E poi perché 2°C? Stiamo cercando di invertire una tendenza? Bene, senza dubbio, anche se forse sarà poco e sarà tardi.

Cosa fare, dunque? A livello individuale, dobbiamo essere chiari, qualsiasi cosa si possa fare non può avere nessun impatto reale, anche se ci consente di avere qualche peso in meno sulla coscienza. Prendere i mezzi pubblici al posto dell’auto, mangiare meno carne o installare pannelli fotovoltaici sono senza dubbio ottime azioni, ma non possono cambiare il trend mondiale delle emissioni di CO2 finché la Cina, l’India e (thanks Donald) gli USA non abbandoneranno del tutto la loro politica economica basata sui combustibile fossili. (Si noti che la Cina lo sta facendo perché ha fiutato il business del prossimo millennio!) Dovremmo agire a livello collettivo, diffondendo la concezione di un Mondo che non si farebbe problemi a spazzarci via se continuassimo a trattarlo così male, smettendo di pensare a una Terra a nostra completa e totale disposizione ora e in eterno. Iniziamo a far capire, nelle case, nei bar, nelle scuole e nei posti di lavoro, che se non cambiamo il nostro approccio ambientale, l’apocalisse è già pronta a travolgerci. Non ci sono mezze misure in questa sfida.

A livello nazionale e globale, invece, dovremmo spingere su due fronti: prima di tutto, smetterla con il tentennamento tra combustibili fossili ed energie rinnovabili – la scelta non può che essere una! In secondo luogo, smetterla di considerare la lotta al riscaldamento globale un parametro variabile nel contesto economico: risparmiare oggi su questo fronte non vuol dire avere un margine di profitto maggiore, dato che questo eventuale profitto potrebbe non concretizzarsi mai un domani o essere spazzato via da disastri naturali e catastrofi climatiche.

Come avevo scritto nel mio primo contributo il rapporto tra scienza e politica non può essere completamente democratico e dialettico, ma dovrebbe (specialmente in casi come questo) essere gerarchico: una verità scientificamente dimostrata deve produrre una risposta politica, sociale ed economica all’altezza. Questi sono i casi in cui l’utilizzo del motto TINA (there is no alternative) è appropriato, perché l’alternativa è un pianeta Terra senza uomo o sconvolto da cambiamenti così grandi che non possiamo neanche immaginare.
Lo ripeto: finiranno sott’acqua città come Venezia o Amsterdam, saranno allagati interi paesi e nazioni, i deserti avanzeranno e fenomeni meteorologici estremi si moltiplicheranno, e questo è solo quello che ad oggi possiamo prevedere. Pensate che questo sia eccessivo? Be’, non lo è. Prima lo capiamo, prima agiremo di conseguenza.


1 https://www.focus.it/ambiente/ecologia/il-cambiamento-climatico-in-6-grafici
2 https://www.nature.com/nclimate/research/?perpage=50

Immagine tratta da: www.climate.nasa.gov

 

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 16 Novembre 2017 22:51
Samuele Staderini

Sono nato nel 1984 vicino Firenze e ci sono cresciuto fino alla laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 2009. Dopo il dottorato in Chimica, tra Ferrara e Montpellier, ho iniziato a lavorare al CNR di Firenze come assegnista di ricerca (logicamente precario). Oltre che di chimica e scienza, mi occupo di politica (sono consigliere comunale a Rignano sull'Arno), di musica e di sport. E si, amo Bertrand Russell!

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