Del caso Aquarius e di riflessioni scombinate connesse

So che è stato detto e scritto tutto con voci molto più autorevoli e preparate delle mie rispetto alla vicenda dell’Aquarius, e che è augurabile che tanto si continui a dire e a scrivere a proposito di questo fatto, ma quel che è accaduto non può lasciarmi inerte, anche a costo di scrivere delle immense banalità o a fare dei ridondanti e altisonanti discorsi retorici. Il rifiuto da parte del ministro degli interni e del ministro delle infrastrutture Toninelli insieme al placido/ tacito silenzio assenso del presidente del Consiglio Conte, di far attraccare la nave di soccorso Aquarius con a bordo 629 persone, tra donne, uomini e bambini, è di una gravità allucinante.

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False notizie, libertà di informazione ed elezioni

Tra le domande del sondaggio Facebook in cui può capitare una persona iscritta al social network, in questi giorni, c'è anche quella legata a quanto si ritiene affidabile la qualità delle informazioni che vi si trovano

Mark Zuckerberg si affida (almeno nelle dichiarazioni) agli utenti per avviare un meccanismo di selezione delle fonti web per le notizie, dopo aver già dato priorità alle relazioni familiari e amicali. Il grande clamore suscitato da queste scelte contribuisce a percepire Facebook come il principale luogo in cui il cittadino occidentale mediamente forma le proprie opinioni. Così non è, nonostante Ministero dell'Interno e Polizia di stato abbiano contribuito a questa idea diffusa nell'opinione pubblica. A poche settimane dal voto è stato presentato un sistema che permetterà la segnalazione di false notizie sul web alle forze dell'ordine.

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Il Partito Radicale e il suo ruolo nella politica italiana

Nato nel 1956 da una scissione interna al Partito Liberale Italiano, il Partito Radicale si è assiduamente impegnato nella promozione e nella lotta per affermare i diritti civili e politici in una Italia percepita come tradizionalista, conservatrice ed eccessivamente legata all'influenza della Chiesa Cattolica e alla sua gerarchia clericale. Unendo a una concezione liberale e liberista una forte propensione libertaria e antiautoritaria, i Radicali, nei loro oltre sessanta anni di attività, pur non godendo di una grande forza elettorale, hanno però molto spesso avuto un certo peso e una discreta attenzione mediatica quando si è trattato di combattere le loro numerose battaglie politiche che hanno spaziato dall'aborto, al divorzio, all'eutanasia, all'antiproibizionismo, alle libertà sessuali, al problema del sovraffollamento delle carceri, senza rinunciare a impegnarsi entro una più ampia dimensione internazionale.

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Profughi, migranti economici, rifugiati e seconde generazioni: la confusione del discorso razzista e il ritorno del razzismo esplicito

C’erano una volta i Napoletani, i Terroni, i Marocchini gli Albanesi e i Rumeni. Ora “il nemico” non ha più una nazionalità, ma uno status politico-giuridico: i “profughi”.

Cambia il tempo, cambiano le politiche internazionali e i capri espiatori, ma il discorso rimane lo stesso: chi non fa parte del “nostro gruppo” di appartenenza (che varia di volta in volta - Città, Provincia, Regione, Nazione, Continente, Occidente ecc.) è pericoloso e minaccia il nostro quieto vivere, e per questo va escluso dal nostro sistema.

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Martedì, 26 Dicembre 2017 00:00

Sull'affossamento dello ius soli

Sull'affossamento dello ius soli

Sabato 23 dicembre il Senato ha registrato la mancanza del numero legale sullo ius soli e si è aggiornato al 9 gennaio. Se, come probabile, il Presidente della Repubblica scioglierà le Camere entro la fine dell’anno, la proposta di legge non sarà mai dibattuta a Palazzo Madama e per una riforma del diritto di cittadinanza si dovrà attendere eventualmente la prossima legislatura. Le assenze massive dei partiti di destra (M5s, Lega, Forza Italia) e quelle sparse nel centrosinistra (Pd, A1-Mdp) hanno riacceso la polemica già attizzata tre settimane fa dalla tarda calendarizzazione del provvedimento.


Niccolò Bassanello

Incredibile il livello di vigliaccheria che caratterizza il dibattito politico italiano, specchio fedele di un Paese in cui minoranze di invasati (nel silenzio e grazie al menefreghismo della maggioranza) si sentono in diritto di alzare barricate per impedire a qualche sparuta famiglia straniera di entrare in casa o di fruire di servizi pubblici. Sulla pelle di esseri umani reali le istituzioni rappresentative della repubblica si sono coperte di ignominia ancora una volta, tra mandatari del potere sovrano del popolo che disertano le aule per affossare la blandissima legge che avrebbe conferito la cittadinanza ad un pugno di persone nate e cresciute in Italia e rappresentanti del potere popolare che gongolano sulla stampa del danno arrecato all'iter della legge con migliaia di emendamenti "fuffa".

Meglio stendere poi un velo pietoso sui peggiori "partiti" - se si può abusare di un termine nobile usandolo per designare l'attuale magma informe - della storia unitaria, a sinistra ridotti a simulacri pseudo-liberaldemocratici a corto di idee e di forza politica, assolutamente incapaci di assolvere alla funzione che spetterebbe loro da costituzione, e a destra (m5s compreso) più vicini alle consorterie della destra eversiva sudamericana che al conservatorismo europeo. La costituzione, il parlamento e la democrazia trasformate in un teatrino da libera repubblica di Bananas.

Una reazione di civiltà minimamente progressista non può e non deve partire dall'accettazione, nemmeno tattica, del presente. Non ci possono essere compromessi, costasse pure un decennio di traversata del deserto. L'idea di trovare scorciatoie populistiche per le stanze del potere (ma poi, per fare cosa?), è una pia illusione. È invece necessario e irrinunciabile ricostruire dal nulla spazi in cui la solidarietà umana, i legami costruiti dalla partecipazione ad un progetto emancipatorio ed il valore nobile della politica possano esistere e dare un volto al socialismo del nostro secolo. Tutto il resto è abbandonarsi al male.


Alex Marsaglia

E così mentre il premier non eletto annuncia da una portaerei militare il rilancio delle missioni militari all'estero a scopo umanitario, con la costruzione di ponti umanitari addirittura dal Niger, si scatenano gli alti lai di chi lamenta l'affossamento dello ius soli come gesto di inciviltàLa costruzione di mercati sulle migrazioni globali invece resta un gesto di umanitarismo da preservare e rafforzare, secondo molti.

In realtà, ad aver determinato l'affossamento dello ius soli è un puro calcolo utilitaristico da parte di chi ha incrementato l'integrazione forzata in questi anni. Infatti, una legge che allarga la platea dei nuovi cittadini, favorendo l'integrazione, concedendo la cittadinanza ai nuovi nati sul suolo italiano, andava a destrutturare tutta l'architettura che fino ad oggi ha portato a costruire profitti sulle vite di chi è in fuga dal proprio paese e cerca un rifugio altrove.

Insomma a determinare l'impossibilità degli stranieri nati in Italia di acquisire la cittadinanza alla nascita è un calcolo rivolto a preservare gli interessi di chi ha speculato sull'integrazione forzata. Il vero paradosso è che una forza come il PD considerata pro-immigrati dall'opinione pubblica abbia preferito mantenere norme sulla cittadinanza basate sullo ius sanguinis, pur di preservare e garantire rendite determinate dall'afflusso di chi cerca di accedere ad uno status tanto agognato. La difficoltà di accesso alla cittadinanza resta quindi un criterio da preservare per non erodere le quote di interessi costruite in questi anni, nonostante i bei discorsi dei liberali sull'eguaglianza di diritto per tutti alla nascita.


Dmitrij Palagi

Antonio Socci sostiene che Papa Francesco è ossessionato dai migranti. Tralasciando i dibattiti surreali all'interno del mondo cattolico, non si può ignorare come l'odio per chi si occupa dei "diversi" abbia un radicamento, almeno apparentemente, più forte che in passato.

Si tende a confondere i piani da ormai un decennio a questa parte. Quello umanitario, spazzato via nel senso comune dall'eccesso di "politicamente corretto" in tempi di crisi economica, riesce a essere con fatica recuperato in chiave ironica e dissacrante, a esempio, dallo spot dei The Jackal per ActionAid (vedi qui), ma si ferma alla comunicazione dei buoni sentimenti per il volontariato. Esiste poi il livello politico, che dovrebbe fondarsi su lettura della società e dei processi produttivi/economici. Da tempo però l'analisi della sinistra di classe (ma anche di quella di governo) si è abbandonato alle parole da vuote trasmissioni televisive in prima serata.

Lo Ius Soli era diventato merce di scambio tra Renzi e Pisapia, poi magari avrebbe convinto la Boldrini a non candidarsi con Grasso. Adesso ci si concentra di nuovo sul Movimento 5 Stelle, che avrebbe fatto mancare i numeri per l'approvazione di una legge, accusata dai suoi detrattori di giungere in momento meramente elettorale.

Ci sono due battaglie da condurre: una culturale, che riguarda il disarmo della guerra tra poveri fomentata dal sistema di informazione (dove il pietismo non fa che aizzare chi vive in difficoltà contro il proprio vicino, perché i buoni sentimenti e l'educazione sono ormai associati all'idea di lusso), l'altra politica, che sia capace di riaffrontare i problemi reali del sistema economico e sociale.

Lo Ius Soli rischia di essere un tema da "chiacchiere e distintivo" per l'imminente campagna elettorale, sulla pelle di esseri umani. Magari riflettere anche sul diritto di voto di chi paga le passe in questo Paese potrebbe innervosire, ma sarebbe funzionale a una corretta discussione.


Jacopo Vannucchi

L’ora sembra dunque scaduta per lo ius soli in questa XVII legislatura, a meno di un colpo di scena che prorogando a metà gennaio lo scioglimento delle Camere consenta un’approvazione lampo – del tutto improbabile visto il costo politico che comporterebbe elettoralmente per il centrosinistra e vista anche la volontà di Mattarella di andare alle elezioni con Gentiloni non sfiduciato.

Questa legislatura è stata in realtà ricca di buoni esiti nel campo dei diritti civili: divorzio breve, introduzione del reato di tortura, “dopo di noi”, unioni civili, testamento biologico. Il fatto che lo ius soli sia rimasto vittima illustre di un fuoco di fila, mentre sugli altri temi non vi sia stata una opposizione sostanziale se non da parte di frange integraliste, è indice dell’importanza che le pulsioni egoiste hanno nella società italiana: da un lato si vogliono estendere i confini della libertà per chi ne gode, dall’altro si vuole recintare la platea di questi soggetti. Non sono mancati ovviamente i falsi di propaganda come ad esempio la “cittadinanza automatica” evocata immediatamente da Giorgia Meloni a mezzo Facebook.

Un altro dato su cui riflettere è il crescente declino della presa ideologica della Chiesa cattolica: la quale, pur essendo lontani i tempi delle crociate del cardinale Ruini, ha promosso con forza l’approvazione dello ius soli mentre non ha certo appoggiato le unioni civili o il biotestamento. Non sono certo casuali le parole rese dal papa nell’omelia della notte di Natale, in cui ha indicato Gesù come «Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza»: un riferimento non soltanto alla situazione italiana ma anche alla politica xenofoba dei Paesi cattolici dell’Est Europa, ai quali ha rinfacciato anche lo «spalancate le porte a Cristo!» con cui nella Messa di insediamento al soglio Giovanni Paolo II chiamava all’attacco al blocco comunista.

Infine merita attenzione l’opinione popolare sul tema. In primo luogo è da evidenziare che, ferme restando le convinzioni personali in materia di cittadinanza, sbalordisce il toccare con mano come molte persone siano realmente convinte della propaganda fascista secondo cui con lo ius soli si dà la cittadinanza a chiunque metta piede sul territorio italiano. Chi ha una conoscenza minima, che solitamente ci veniva insegnata a geografia in prima media, sa che anche la forma più radicale di ius soli riguarda semmai i nuovi nati e non gli immigranti. In secondo luogo, lo ius soli è impopolare anche presso gli elettori di sinistra: è sufficiente frequentare i luoghi di ritrovo e gli esercizi di una qualsiasi periferia “rossa” per averne la prova. L’avvertimento di Alfano (considerare i costi politici dell’approvare o non approvare la riforma) è, più che ignavia, una lezione di realismo pur se cinico.


Alessandro Zabban

Il crollo della socialdemocrazia in quasi tutti i Paesi occidentali ha portato all'emergere di una serie di partiti di centrosinistra quasi tutti caratterizzati da una politica economica e sociale del tutto in sintonia con le logiche neoliberiste: si vuole gestire e rafforzare l'economia di mercato piuttosto che contrastarne le distorsioni. L'unica differenza con la destra è spesso costituita da una maggiore attenzione ai diritti civili, secondo la strada indicata e intrapresa da Blair.

Il PD si è dimostrato per lo più in sintonia con questo modello e in effetti Renzi e Gentiloni verranno ricordati per l'approvazione di riforme inequivocabilmente neoliberiste come il Jobs Act e La Buona Scuola e per alcune conquiste di civiltà importanti come le unioni civili e il reato di tortura. In questo contesto il fallimento nell'approvazione dello Ius Soli resta una macchia indelebile di questa legislatura che ha messo tutta la sua forza riformista e ha puntato tutto ciò che resta della sua identità di sinistra su questi aspetti politico-sociali. La defezione anche di parlamentari del Pd e le discussioni surreali nella "società civile" (ormai ridotta a talk show patinati e teatrali e a sfoghi social), dimostra, al di là di tutto, che, anche in quella che dovrebbe essere la sinistra, c'è una diffusa attrazione nei confronti della retorica sempre più aggressiva dei vari Salvini e Meloni. La disorganizzazione patologica della sinistra di classe rafforza l'amara convinzione che di Ius Soli non ne sentiremo parlare più per molti anni e che ci attendono tempi molto bui.


 Immagine liberamente tratta da www.fanpage.it

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A casa loro: le tante realtà del continente africano

I recenti appuntamenti elettorali europei hanno visto come denominatore comune la retorica intorno all’immigrazione. Un fattore a vantaggio delle forze nazionaliste, che mobilitano la rabbia e il senso di impotenza dell’elettorato contro i numerosi rifugiati che arrivano ogni giorno nel continente. Le gravi conseguenze delle politiche neoliberiste di quest’ultimo decennio hanno concesso il campo a queste pericolose derive fasciste e nazionaliste, che hanno spostato pericolosamente a destra l’asse anche dei partiti del PPE.

Il Premio Nobel sudafricano Desmond Tutu, simbolo della lotta antiapartheid insieme a Mandela, lo scorso giugno in un momento di boom degli sbarchi, ha sollevato un interrogativo importante: "Per una volta, almeno per una volta mi auguro e prego perché i cittadini europei, e i loro governanti, non si chiedano dove vogliano andare gli esseri umani che bussano alle porte, troppo spesso sbarrate, dei ricchi Paesi occidentali. Io spero e prego che almeno una volta ci si chieda da cosa fuggono, e perché, e per responsabilità di chi, i loro Paesi si siano trasformati in un inferno in terra". In questo senso, è utile andare oltre alle degradanti discussioni dei talk show e alle imbarazzanti dichiarazioni dei nostri politicanti e, forse troppo brevemente, tentare di inquadrare la reale situazione di un continente immenso come quello africano. È utile ricordare a noi stessi, contrariamente a quanto riportato dai media, che solamente un terzo dell’immigrazione africana varca il Mediterraneo e i suoi confini continentali. Due terzi della totale immigrazione dell’Africa è interna, come si può vedere analizzando i dati della World Bank del 2016. Negli ultimi anni, si è anche registrato un alto numero di migranti che ritornano nei loro paesi origine, anche dai paesi ad alto reddito dell’area OCSE.

Oltre all’immigrazione, l’altra ottica dalla quale viene osservato il continente africano è quello del cosiddetto “afropessimismo”. Ovvero la costante e immediata associazione dell’Africa a tragedie come la fame, le carestie, le epidemie, le guerre ecc. Sicuramente sono alcuni dei problemi che ancora oggi frenano il grande continente, ma non possono essere i punti di partenza per una visione oggettiva della grande realtà africana. Dalla nascita degli stati nazionali africani, soprattutto nell’Africa subsahariana, la timida crescita economica del continente si è bruscamente frenata tra il 1970 e la fine degli anni Ottanta. Condizionata da una serie di fattori quali le forti oscillazioni del prezzo del petrolio, fattori economici riguardanti i tassi di interesse sui debiti pubblici, il forte protezionismo dei paesi dell’Africa settentrionale, mala gestione economica, fattori geopolitici che causano conflitti ecc. Vi è stata una ripresa economica generale del continente a partire dalla metà degli anni Novanta, ma che non è stata omogenea in tutte le regioni. Una crescita determinata da alcuni fattori: forte domanda internazionale di materie prime (petrolio, metalli, gas ecc), calo dell’inflazione, progressi democratici e politici, nuova classe dirigente, timida diffusione della tecnologia ecc. Il problema delle risorse è determinante per capire lo sviluppo del continente: paesi ricchi di risorse e materie prime non hanno avviato una crescita economica sostenibile e non hanno portato a una riduzione della povertà. Paesi come Angola, Camerun, Nigeria e Gabon sono al fanalino di coda del continente negli indicatori internazionali sulla povertà e sulle aspettative di vita, per differenti fattori, eppure sono i maggiori detentori delle risorse petrolifere del continente, i cui i governi nazionali ricevono ingenti guadagni dalla vendita di petrolio. Nonostante la democrazia, e questo è un dato positivo, stia diventando il sistema di governo di riferimento del continente africano (anche nell’Africa subsahariana) la corruzione è uno dei maggiori freni alle politiche di sviluppo.

È migliorato l’indicatore che rileva il grado di qualità della democrazia, essendo aumentati in molti paesi africani gli organi di controllo sulle operazioni di voto e l’accesso della popolazione ai mezzi di informazione. Generando anche un aumento delle proteste democratiche nel continente, come nelle ultime elezioni in Ghana. È anche interessante mettere in relazione lo sfruttamento delle risorse naturali con il fenomeno dell’urbanizzazione, in forte crescita da alcuni anni a questa parte. Normalmente segnale positivo di crescita economica e sociale nei paesi in via di sviluppo, in Africa molte città non sono il luogo dove si produce la ricchezza ma dove viene consumata. È una urbanizzazione completamente diversa ad esempio da quella asiatica, dove grazie ai servizi e alle attività produttive quali il settore manifatturiero sono un luogo dove la ricchezza viene prodotta. Oltretutto questa urbanizzazione in forte crescita non è accompagnata ovunque da politiche di sviluppo sostenibili nelle risorse vitali quale acqua e la terra coltivabile, priva di qualsiasi strategia di pianificazione.

Nonostante la possibilità di avere una popolazione giovane che può comunque beneficiare dei miglioramenti nelle condizioni di vita e dalla riduzione in molte aree del tasso di mortalità, una delle più grandi incertezze del continente è legata alla sua demografia. Meno del 20% delle donne africane hanno accesso a mezzi di contraccezione, il processo di riduzione della fertilità incontrollata è lento, manca una efficace educazione sessuale e nonostante l’aumento dell’età delle donne in cui generano figli il numero di nascite per famiglia rimane alto e stabile. L’Economist nel 2011 ha parlato di un possibile disastro maltusiano del continente africano. Gli ultimi dieci anni hanno inoltre evidenziato un aumento dei conflitti, sia statali che regionali, dopo una riduzione che aveva favorito elementi di crescita economica dalla fine degli anni Novanta. Esempio lampante di questo fattore sono il Mali e lo Zimbawe, considerati poco tempo fa due degli stati africani che avrebbero trainato la crescita del continente (con indicatori classici come il PIL elevati prima delle guerre che li stanno distruggendo).

Non ci sono però solamente questi elementi negativi, nonostante sia disomogenea però il continente, soprattutto i paesi subsahariani, sono andati incontro a uno sviluppo sociale e politico importante. Che hanno favorito in molti paesi la crescita di una classe media, con un ricambio generazionale anche alla guida di molti paesi, una crescita della consapevolezza politica e l’accesso al dibattito democratico. Elementi confermati dai maggiori investitori internazionali nel continente africano, quali Russia, Cina, Brasile e India. L’Italia è uno dei maggiori paesi europei che investe in Africa, soprattutto nelle materie prime.

Per superare la demagogia sull’immigrazione, è necessario partire da una profonda analisi dei fattori cambiamento e sviluppo nel continente africano e accompagnare gli investimenti e le opportunità economiche con una crescita sostenibile. L’Europa non può continuare a ignorare il dinamismo e le problematiche di un continente come l’Africa a cui è storicamente legata. È un elemento cruciale e fondamentale per risolvere la tragedia quotidiana dei morti nel Mediterraneo, la tratta degli scafisti e i tanti problemi legati al rapporto tra continente europeo e continente africano. La forte crescita economica che molti paesi africani stanno sperimentando, non accompagnata da una redistribuzione della ricchezza e da miglioramenti delle condizioni di vita, è un problema che può essere affrontato. In un momento storico in cui le economie avanzate sono in recessione o in stagnazione economica, l’Africa è la nuova frontiera degli investimenti e alcune economie hanno i tassi di crescita più elevati al mondo. È importante investire e lavorare in Africa per una crescita sostenibile, favorendo un aumento delle qualità delle politiche pubbliche dei governi accompagnato da una lotta alla corruzione. Per fare ciò è necessario uno scambio dinamico e forte tra i due continenti, che non si limita allo slogan “aiutiamoli a casa loro” ma un programma di aiuti internazionali e di scambi funzionale al progresso dei paesi africani e a una politica sostenibile di sfruttamento delle risorse e materie prime. Soprattutto favorendo la formazione di una nuova classe dirigente, in una popolazione molto giovane come quella del continente africano. La crescita e lo sviluppo del continente africano sono un’opportunità non solo europea, ma per il futuro globale. Ad oggi l’Europa, pur essendo uno dei più grandi donatori in termini di ONG e aiuti internazionali, insieme ad accordi economici con molti paesi africani, non sembra essere in grado di elaborare una politica capace di interpretarne ed aiutarne lo sviluppo. Generalizzando nella macchina di propaganda politica europea le complessità e le differenze di un enorme continente a cui siamo strettamente legati dalla storia, a cominciare da quella scia di sangue che si perde nelle acque del Mediterraneo.

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Martedì, 15 Agosto 2017 00:00

Sul dibattito riguardo le ONG

Sul dibattito riguardo le ONG

La questione migratoria in Italia continua a essere al centro di vivaci dibattiti politici. In particolare, negli ultimi mesi si è accesa una vigorosa polemica sul ruolo delle organizzazioni non governative che partecipano alle operazioni di salvataggio in mare dei migranti. L'apertura di un'inchiesta da parte della Procura di Trapani sull'operato di alcune persone fisiche appartenenti a queste organizzazioni e di cui si ipotizza il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha sollevato un polverone, peraltro ben presto alimentato dalle dichiarazioni di alcuni esponenti di M5S e Lega che denunciano presunti accordi fra volontari e operatori umanitari con scafisti e trafficanti di uomini.

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Trump e sauditi: il filo di sangue che li unisce

Gli eventi della settimana appena trascorsa restituiscono un quadro definito dalla visita storica di D.Trump a Riad. Una visita che è centrale per capire il quadro mediorientale e non solo. Il Presidente americano infatti ha voluto stabilizzare l'asse coi sauditi e le monarchie del Golfo Persico al fine di incrementare il fatturato della macchina militare statunitense, divenuta sempre più vorace. L'accordo siglato per la vendita di armi statunitensi ai sauditi per 110 miliardi di dollari ne è la dimostrazione.

Come sempre il discorso economico è abbellito dai discorsi ideologici e quindi troviamo la solita retorica americana del Bene contro il Male, per cui secondo Trump con i sauditi "si può vincere (il terrorismo) solo se le forze del bene saranno unite". Queste le forze del Bene: gli Stati Uniti e i loro alleati wahabiti. Le forze del Male vengono invece identificate chiaramente nei musulmani sciiti. Un discorso che è un toccasana per la pace in Medio Oriente come può intuire qualsiasi. Ma non solo, Trump è stato ben più esplicito, definendo l'Iran la "punta di lancia dei terroristi nel mondo". Ecco che il nuovo nemico in Medio Oriente è identificato.

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Martedì, 23 Maggio 2017 00:00

Di accoglienza e razzismo

Di accoglienza e razzismo

La dichiarazione della Presidente del Friuli-Venezia Giulia circa la diversa accettabilità sociale dei crimini, che sarebbe minore se l’atto è compiuto da un immigrato, e la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato un uomo sikh per il possesso di un’arma da taglio rituale, hanno riportato al centro del dibattito pubblico gli interrogativi circa le forme, i modi, i limiti del multiculturalismo.

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With Refugees: un concerto in occasione della giornata mondiale dei migranti

Secondo le stime più recenti, sono oltre 65 milioni i profughi e rifugiati in fuga dalla guerra o da persecuzioni su base religiosa, etnica, politica. Si tratta di un evento epocale, dalle proporzioni e dalla rilevanza globale. Si tratta soprattutto, di un fenomeno frutto di un sistema-mondo sempre più polarizzato ed iniquo, dove a zone di forte concentrazione di ricchezze si contrappongono vaste aree di povertà ed instabilità in cui è troppo spesso impedita ogni possibilità di portare avanti una vita sicura e decorosa.

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