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Venerdì, 22 Febbraio 2013 00:00

Il Papa del gran rifiuto

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Con la recente notizia delle dimissioni di papa Benedetto XVI non può non tornare alla mente il caso di Celestino V, reso famoso dalle parole di Dante Alighieri: "E dietro le venìa sì lunga tratta - di gente, ch'io non avrei creduto, - che morte tanta n'avesse disfatta. - Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, - vidi e conobbi l'ombra di colui - che fece per viltà il gran rifiuto." Questo passo è tratto dal III canto dell'Inferno, quello degli ignavi, cioè coloro che nella loro vita hanno agito senza prendere mai posizione, limitandosi ad adeguarsi a quella più comoda o del più forte.

Il disprezzo di Dante per i cosiddetti ignavi è fortissimo, ed è comprensibile se teniamo conto dell'importanza della vita attiva e sociale tipica di una società come quella comunale, dentro la quale Dante viveva. Secondo la riflessione dantesca, un uomo non è degno di alcuna considerazione se si sottrae ai suoi doveri di cittadino. Nel caso di Celestino V, la colpa è chiaramente ancora più grave rispetto ad un semplice cittadino che si sottrae ai suoi doveri civici. L'interpretazione dantesca è quella che sicuramente ha segnato maggiormente la vicenda di Celestino V, della quale diamo qui dei brevi cenni.

Il soglio pontificio era vuoto da due anni: dalla morte nel 1292 di papa Niccolò V, il conclave non riusciva a nominare un suo successore. Un eremita abruzzese, Pietro da Morrone, che aveva fondato sulla Maiella una comunità religiosa dedita ad un severissimo ascetismo, profetizzò che la Chiesa sarebbe andata incontro a gravi sciagure se la crisi non si fosse risolta. L'eremita aveva una tale autorità morale e spirituale che venne eletto papa il 5 luglio 1294.

Si trattava di una scelta che avrebbe dovuto portare la Chiesa romana ad un radicale rinnovamento, essendo Pietro da Morrone molto vicino alle richieste di un ritorno alla spiritualità originaria del cristianesimo, avanzate soprattutto dall'ordine francescano. L'esperimento pontificio di Pietro da Morrone, che aveva assunto il nome di Celestino V, si rivelò però fallimentare: egli non aveva competenze teologiche, ma soprattutto né politiche né giuridiche, fondamentali per qualsiasi capo di Stato, compreso quello della Chiesa.

Travolto dalle infinite lotte di potere all'interno della Chiesa, nel dicembre 1294 egli si vide costretto ad abbandonare la tiara. Allora fu eletto papa il cardinale Cateani, che prese il nome di Bonifacio VIII. I suoi avversari dissero in seguito che egli aveva fatto di tutto per indurre Celestino ad abdicare, sospetto che molti videro confermato dal fatto che il nuovo papa confinò Pietro da Morrone nel castello di Fumone, dove l'eremita abruzzese morì nel 1296. Alcuni accusarono l'ex cardinale Caetani anche di aver fatto uccidere Celestino V.

Bonifacio VIII cambiò immediatamente la rotta di apertura spirituale tracciata dal suo predecessore, basti ricordare che la sua ascesa al soglio pontificio portò, nel 1301, all'esilio dei guelfi "bianchi" da Firenze (nella città i guelfi si dividevano tra "bianchi" e "neri": i primi, a differenza dei "neri", sostenevano una politica di pacificazione coi ghibellini e di cautela nei confronti delle ingerenze papali), dei quali faceva parte per l'appunto Dante Alighieri. Questo è ben sufficiente a spiegare perché, nel quadro del suo generale disprezzo per gli ignavi, Dante metta in rilievo proprio la figura di questo Papa debole, che non solo si ritirò di fronte all'impegno che il destino gli aveva affidato, ma così facendo aprì anche la strada a quello che per il poeta fiorentino fu il peggior pontefice che si fosse mai visto, tanto è vero che qualche canto dopo troverà il modo di condannarlo all'Inferno ancora da vivo. Certamente il caso di Celestino V, anche se richiamato alla memoria e alla divulgazione dei mass-media dalle recenti dimissioni di Ratzinger, è molto lontano dal caso di oggi, sia per oggettiva distanza storica, sia per le motivazioni soggettive, non così chiare, e sicuramente altre da quelle dell'antico eremita. Forse la Storia chiarirà anche l'ultimo caso, ma a noi non resta che rifarci all'idea di un altrettanto recente film di Nanni Moretti, "Habemus Papam": evidentemente i tempi erano maturi perché anche nella Chiesa si potessero nuovamente vedere cose del genere.

Immagine tratta da www.cineclandestino.it

Ultima modifica il Venerdì, 22 Febbraio 2013 00:04
Rosa Matucci

Nata a Fiesole (FI) alla fine del 1988. Nel 2006 mi sono iscritta a Rifondazione, dove milito ancora oggi. Laureata in Storia con una tesi sul protestantesimo nel Risorgimento fiorentino. Lavoro all'Istituto Ernesto de Martino a Sesto Fiorentino, dove vivo da sempre.

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