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Sabato, 14 Ottobre 2017 00:00

50 anni dalla morte: il mito immortale di Ernesto Che Guevara

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50 anni dalla morte: il mito immortale di Ernesto Che Guevara

Sono passati cinquant’anni da quel 9 ottobre 1967 in cui il guerrigliero più famoso del mondo venne assassinato. Una pallottola americana mise fine a una vita intera dedicata alle lotte, di qualsiasi tipo. Non intendo ripercorrere la biografia di Che Guevara, in tanti in questi giorni ci hanno pensato. È più importante capire come mai ancora oggi, noi donne e uomini di sinistra ma non solo, ci ritroviamo a celebrare una ricorrenza che sembra legata a quel mondo pieno di miti e bandiere che era la protesta degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.

Ernesto Che Guevara, nel mio immaginario di giovane storico e formato politicamente a sinistra, è quella figura che più si avvicina al concetto di eroe. Tra i tanti scritti del comandante, quello che più cattura e partecipa emotivamente è sicuramente Latinoamericana, meglio conosciuto come I diari della motocicletta.

Nella storia del giovane Ernesto si capisce quanto profondo e generoso sia stato quest’uomo che ha dedicato la propria vita al bene comune. Iniziò come medico, ma non un medico generico, quanto specializzato nel curare la lebbra. Una piaga che purtroppo colpisce ancora oggi pesantemente molte zone del grande continente latinoamericano. Il suo straordinario viaggio con la “Poderosa” e il suo amico e compagno di studi Alberto porta proprio i due girovaghi dall’Argentina sino al Lebbrosario di San Pablo.

Un racconto straordinario non soltanto per i paesaggi che attraversa e la minuziosa descrizione di luoghi quasi mitologici, quanto perché di pagina in pagina si assiste alla dolorosa e profonda consapevolezza dell’ingiustizia che tiene in scacco la sua terra. “Ma quel vagare senza meta per la nostra maiuscola America, mi ha cambiato più di quanto credessi. Io, non sono più io, perlomeno non si tratta dello stesso io interiore”. In questa frase vi è tutta l’essenza di Ernesto Che Guevara. Un argentino, un cileno, un venezuelano, un peruviano, un ecuadoregno, un boliviano: un eroe americano.

Nella nostra ottusità occidentale, associamo questo aggettivo subito al mito artificiale degli Stati Uniti d’America. Ma poche altre figure di questo grande continente possono ben rappresentare il suo significato profondo. E la cosa più straordinaria è di quanto lo stesso comandante ne fosse consapevole, di quanto si sentisse tutt’uno con quelle terre nelle quali aveva viaggiato e in cui aveva lottato. “È possibile avere nostalgia di un mondo che non hai mai conosciuto? È possibile che una civiltà capace di costruire tutto questo, venga distrutta per costruire... questo?”.

Il patriottismo di Ernesto Che Guevara che muove la sua lotta non ha nulla di nazionale o al concetto di una rivoluzione statale. La rivoluzione a cui ha dedicato la sua vita abbracciava un intero continente segnato da secoli e secoli di sfruttamento. Di terre e popoli segnati profondamente da quello scambio feroce di merci e persone. Di una terra dilaniata da feroci conquistatori alla ricerca di oro e argento, che hanno annientato alla fine un impero e le sue stesse colonie.

Questa triste storia è ben raccontata nel volume di Eduardo Galeano Le vene aperte dell’America Latina, che ben qui recita: ““L’America Latina è una regione del mondo condannata all’umiliazione e alla povertà? Da chi è condannata? La colpa è di Dio, della natura? Del clima insopportabile, delle razze inferiori? Della religione, dei costumi? La disgrazia non potrebbe essere il prodotto di una storia fatta dagli uomini e che dagli uomini può perciò essere disfatta?”.

Che Guevara è uno di quegli uomini che hanno provato a cambiare questa storia. Segnata anche dalla politica del buon vicinato di tradizione ottocentesca dello scomodo vicino a stelle e strisce, una politica fatta della solita presunzione imperialista volta a interferire nella storia dei popoli latinoamericani. In nome dello sfruttamento economico e di un colonialismo che ha assunto dopo il secondo dopoguerra nuove forme di applicazione. Un meccanismo che si è ben rodato durante la Guerra Fredda, emblematico l’episodio tragico del Cile di Salvador Allende. 

Il periodo nel quale ha operato Ernesto Che Guevara, affiancando un altro uomo che ha incarnato questo spirito rivoluzionario di ispirazione marxista: Fidel Castro. Etichettato banalmente come un dittatore in questo nostro escolo ubriaco di democrazia, come se non fosse altro che un sistema politico per quanto apprezzato, Castro ha liberato Cuba da una dittatura ben peggiore, fatta di secolare sfruttamento e di corruzione. Che Guevara e Castro erano amici, uniti da un affetto e stima profondi che nemmeno la stampa revisionista statunitense hanno mai scalfito.

Il falso storico di Che Guevara che si allontana dal suo incarico al Ministero dell’Economia cubano per dissapori con Castro è una invenzione statunitense per stroncare un’amicizia che poteva salvare un continente. Ernesto Che Guevara ha aperto quell’importante e produttivo canale di collegamento tra Cuba e l’Africa, in cui nei decenni successivi l’impegno cubano in termini militari, ma soprattutto economici e sanitari, nel continente africano è stato senza precedenti.

Ma questo nostro appassionato ricordo di Che Guevara rischia di farci dimenticare un continente latinoamericano ancora dinamico, dal punto di vista politico e sociale. Esempi come l’impegno politico di Camila Valejo in Cile, il governo di José 'Pepe' Mujica in Uruguay, il governo di Moreno in Ecuador ecc. Sono testimonianze di un continente ricco di esperienze politiche, che possono anche essere di esempio e di ispirazione al vecchio continente europeo, soprattutto alla sua tradizione politica di sinistra oggi in grave e profonda crisi.

Il mito di Che Guevara appassiona queste nuove generazioni di rivoluzionari proprio per la sua generosità verso i popoli oppressi di questo continente. Che deve essere di ispirazione verso i suoi leader, sia per la sua totale devozione alla causa della pace e della libertà dell’America Latina ma soprattutto nella sua concezione unitaria di una terra che è stata troppo spesso divisa e dilaniata. E’ la sua eredità, come aveva scritto tante volte nelle sue memorie. 

“Signor Colonnello, sono Ernesto, il Che Guevara.

Mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo”.


Immagine liberamente tratta da elbolivianoenvivo.com

Ultima modifica il Venerdì, 13 Ottobre 2017 23:35
Marco Saccardi

Nato a Bagno a Ripoli (FI) il 13 settembre 1990, sono uno studente laureato alla triennale di Storia Contemporanea presso l’Università di Firenze, adesso laureando alla magistrale di Scienze Storiche. Appassionato di Politica, amante della Storia, sono “fuggito” dal PD dopo anni di militanza e sono alla ricerca di una collocazione politica, nel vuoto della sinistra italiana. Malato di Fiorentina e di calcio, quando gioca la viola non sono reperibile. Inoltre mi ritengo particolarmente nerd, divoratore di libri, film e serie tv.

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