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Mercoledì, 01 Novembre 2017 00:00

Autunno della sinistra in Europa, secondo Valerio Castronovo (ma quale sinistra?)

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Autunno della sinistra in Europa, secondo Valerio Castronovo (ma quale sinistra?)

Prendete una carta geografica da colorare, di quelle in cui si vedono le due sponde dell’Atlantico. Usate ovviamente un pennarello rosso (sbiadito, possibilmente): colorate Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Olanda, Brasile e Stati Uniti. Avrete un quadro (nemmeno esaustivo) di quanto contasse “il riformismo del ventunesimo secolo”, per utilizzare il titolo di un convegno organizzato a Firenze nel 1999.

L’autunno della sinistra in Europa, uscito a metà ottobre di questo 2017, si apre sull’atteggiamento di ottimismo radicato nella galassia socialista occidentale alle soglie del nuovo millennio. Al governo, dopo umiliazioni e sconfitte, e alle prese con un mondo devastato dalle dottrine Thatcher e Reagan, una generazione di politici progressisti è convinta di poter governare quel nuovo fenomeno denominato globalizzazione su tutti i titoli dei giornali nazionali. Il fenomeno non riguarda solo i partiti, coinvolge movimenti, associazioni e pezzi importanti di società organizzata. Certo, non c’erano solo loro. Valerio Castronovo (l’autore) illustra, tra gli ostacoli incontrati dai riformisti, il «radicalismo utopico e massimalista mai del tutto dissoltosi fra i propri militanti» [p. 8], che recentemente si è appropriato del Labour inglese con la (disgraziata?) affermazione di Corbyn.

In Germania l’SPD ha dovuto fare i conti con quell’«eminenza grigia» [p. 18] di Oscar Lafontaine, pronto a rifiutare di «fare fronte comune» [p. 146] in nome di una presunta purezza e capace di «dividere la sinistra». In Italia un’esperienza di governo di centrosinistra ha dovuto sottostare alle bizze di una formazione politica dallo scarso peso elettorale impegnata a chiedere assurdità, come una patrimoniale (immaginiamo ci si riferisca a Rifondazione, ma di tale forza politica e di Bertinotti non troverete traccia in nessuna delle 165 pagine).

L’altermondialismo è stato un fenomeno di colore e del tutto marginale. La frammentazione ideologica e la litigiosità del mondo radicale sono, agli occhi dello storico, motivo sufficiente per considerarlo un intoppo alle possibili gloriose sorti del socialismo europeo, che ha pagato almeno tre problemi.

Il primo: la mancanza di una visione di insieme, con una terza via di Blair diversa dalle scelte di Jospin, forse simili a quelle di Schröder, ma certamente lontane dalle modalità intraprese da Clinton. L’internazionalismo socialista viene trascurato proprio nel momento in cui la sinistra si candida a governare il fenomeno della globalizzazione, rendendo le risposte parziali e l’atteggiamento di fondo incerto, incapace di fare fronte alle difficoltà scoppiate poi con la crisi.

Il secondo: la sottovalutazione dell’insicurezza delle classi sociali tradizionalmente collocate a sinistra, con i settori del lavoro disorientati di fronte al mutamento del tessuto produttivo e all’affermarsi di forti processi di migrazione.

Il terzo: non essere stato all’altezza del compito che si era dato, sia nel cercare un equilibrio tra libero mercato e tutele da ripensare nel nuovo contesto economico, sia nella costruzione dell’Europa, con una preminenza della Germania dichiaratamente da evitare almeno per i socialisti francesi.

Il testo di Castronovo non convince in termini di analisi sulle ragioni della sconfitta, ma è un utile promemoria per ricostruire lo stillicidio del centrosinistra occidentale. Dopo il bruciarsi di quasi tutte le esperienze raccolte da D’Alema a Firenze nel 1999, rimasto in piedi il solo Blair (poi annegato nella volgarità delle bugie dietro alle invasioni di Afghanistan e Iraq), non c’è stato paese in occidente che abbia visto sopravvivere le sue organizzazioni socialiste, socialdemocratiche o post-comuniste riformiste. Viene citata anche la crisi che ha interessato i partiti del nord Europa, ricordandoci come l’estrema destra abbia iniziato a raccogliere consensi tra i «perdenti della globalizzazione» già due decenni fa. C’è spazio anche per il ricordo di Zapatero (la Guzzanti ci fece anche un documentario per rendergli omaggio…).

Non è ben esplicitato nel libro, ma potremmo dire che la teoria di fondo che muove le argomentazioni è questa: i socialisti hanno fatto troppo poco nel governare la globalizzazione, si sono mossi divisi e spaventati, ancorati alle loro tradizioni e non aiutati dalla “sinistra radicale”.

Legittimo pensarlo, ma certo Castronovo è completamente disinteressato ad una lettura diversa della globalizzazione. Appare inoltre ingeneroso nell’ignorare, o ridicolizzare, qualsiasi voce “a sinistra” delle esperienze che lui ritiene sufficienti per esaurire la categoria di sinistra.

Resta difficile accettare che George Papandreou sia sparito dalla scena politica greca solo per aver ereditato le carte false delle destre, non essere stato aiutato dai partiti alleati europei e aver dovuto affrontare il “populismo” di Tsipras.

Se si ritiene che la sinistra finisca nell’Internazionale Socialista e “tutto il resto è noia” può darsi che le spiegazioni date in questo libro siano esaustive, altrimenti L’autunno della sinistra in Europa ha un suo interesse ma meriterebbe di essere discusso (anche con voci capaci di metterlo in discussione).


Valerio Castronovo, L'autunno della sinistra in Europa, Laterza, Roma-Bari, 2017, p. 168, € 16.00.


 Immagine liberamente tratta da www.europarl.europa.eu

Ultima modifica il Martedì, 31 Ottobre 2017 19:20
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it

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