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Giovedì, 01 Febbraio 2018 00:00

In nome del decoro: i poveri e il difforme fuori dalle città

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In nome del decoro: i poveri e il difforme fuori dalle città

Immaginate di potervi rimpicciolire a pochi centimetri e vivere in una realtà miniaturizzata. È l’idea sulla quale si basa il recente film Downsizing, con Matt Damon come protagonista. Città in miniatura perfette e con tutte le comodità, per salvare il pianeta dall’inquinamento, godendosi una improvvisa condizione di ricchezza (i soldi aumentano il loro valore nella realtà ridimensionata).

In questa situazione ideale qualcuno è chiamato però a svolgere mansioni come la pulizia degli appartamenti dopo grandiose feste: manodopera dequalificata, che vive fuori dalla città, in dei casermoni collocati fisicamente fuori dal nucleo urbano, separati da un muro e collegati grazie a un tunnel non illuminato. Non ci sono forze dell’ordine e repressioni violente a tenere divise le realtà. I poveri si presentano in divisa e poi spariscono dall’orizzonte visivo.

La pellicola non brilla per particolare valore, ma bene può introdurre In nome del decoro di Carmen Pisanello, importante studio arrivato a fine del 2017, dopo l’approvazione del decreto Minniti, che «non individua crimini penalmente accettabili, ma piuttosto incrimina le soggettività marginalizzate» (p. 54). Quella per il decoro urbano appare, nel libro, come una battaglia di resistenza della società occidentale fondata sulle dicotomie. La lotta al degrado è funzionale al mantenimento dell’ordine sociale minacciato dal postmoderno.

Le nuove tecnologie hanno contribuito al disincanto della persone immerse nella contemporaneità, delegittimando la pretesa naturalità delle gerarchie basate sulla distanza tra alto e basso. I fenomeni di Bello Figo e Martina dall’Ombra sono tra gli esempi citati per dimostrare una capacità del pubblico di superare il sistema nelle sue contraddizioni, passando da una condizione passiva a un attivo orientamento dell’immaginario comune (p. 35). Viviamo, secondo l’autrice, in tempi di maggiore consapevolezza, in cui si gioca l’esito di un confronto tra sfruttamento e liberazione, sempre presente, seppure in forme aggiornate.

Decoro e degrado tentano di ristrutturare in forme controllate la cittadinanza, proponendo la dicotomia tra sporco e pulito come ulteriore alternativa a quella classica del secolo scorso tra destra e sinistra. Il povero è quindi un concentrato di alterità, «considerato esclusivamente per il suo aspetto visivo e non politico-sociale» (p. 82). Matt Damon va ad aiutare i deprimenti sfruttati “a casa loro”, come nel sogno dei razzisti meno dichiarati (il parallelo con i migranti è richiamato esplicitamente nel libro).

Ci irrita chi la pensa in modo diverso da noi, ma soprattutto ci destabilizza vedere una persona del tutto estranea al nostro sistema, in grado di far crollare le rassicuranti certezze con cui cerchiamo di illuderci in tempi che si vorrebbero sradicati da ogni identità.

Su Il Becco abbiamo voluto dedicare dello spazio a un libro di Elisabetta Grande (Guai ai poveri), di cui abbiamo pubblicato una recensione (qui) e i materiali dell’iniziativa in cui è stato presentato (anno IV, numero 2, qui). In nome del decoro rafforza l’analisi puntuale su come la marginalità sociale sia repressa nella sua stessa esistenza, anziché cercare di agire sulle sue cause. «L’insicurezza economica e le sue naturali ricadute sul piano della vita sociale, vengono “curate” con dosi di repressione e marginalizzazione, facendo assurgere la “sicurezza”, intesa in senso strettamente fisico e non nei termini di rischio esistenziale (salariale, sociale, medico, educativo eccetera) al rango di priorità dell’azione pubblica. La situazione italiana non è dissimile». Pisanello qui cita uno studio comparato di Wacquant tra situazione statunitense (descritta anche dalla Grande) e quella francese, evidenziando i punti comuni della società globalizzata occidentale.

L’analisi del civismo delle grandi città italiane è impeccabile: si insiste sulla corrispondenza tra nuovi impianti legislativi e volontario impegno di parti della cittadinanza (come gli Angeli del Bello a Firenze).

Dopo la morte di Lorenzo Bargellini, storico protagonista del movimento di lotta per la casa nel capoluogo toscano, in un sottopassaggio (viale Corsica) della sua città era comparso un saluto consegnato a un muro. Nonostante la retorica di larga parte della politica locale (anche il sindaco Nardella non mancò di esprimere il suo “rispetto” per la figura appena scomparsa) il messaggio è stato rimosso. «Una scritta sul muro può assumere un valore simbolico, tanto più se pregnante di senso e di affettività comunitarie. La cancellazione di un simbolo significa far crollare un tessuto, una memoria, un desiderio di una sua parte» (p. 48). I cittadini “perbene” si oppongono a quelli “permale”, supportando organicamente la criminalizzazione del difforme.

Fino a qui le ragioni per cui l’acquisto e la lettura di In nome del decoro sono convintamente consigliati.

Ci sono invece alcuni passaggi e livelli del discorso su cui la discussione si rende necessaria, ma in spazi più ampi di una semplice recensione. La biopolitica e il valore dell’informe sul piano programmatico ad esempio. Si renderebbe inevitabile “mettere nel mezzo” Foucault e Bataille. La giovane età dell’autrice, questa è una delle prime volte in cui mi trovo a scrivere di una persona nata dopo di me, garantisce la piacevole lettura di questi autori (oltre ai molti altri presi in considerazione) al fianco di Zerocalcare e di una interessante filmografia. 

Infine il tema della povertà e dell’alterità merita di essere affrontato in modo sistematico, così come quello delle peculiarità della contemporaneità - quindi del postmoderno. La diversità è perturbante e richiama la necessità di esercitare il dubbio, su questo Pisanello ha certamente ragione. Da capire è se la ricchezza della molteplicità debba rimanere su un piano di fluidità, se è possibile evitare una strutturazione dell’alternativa in forme comunque pericolose per la libertà, se vi siano profonde differenze tra il socratico "sapere di non sapere" e le nuove analisi critiche del linguaggio mediologico. Che la povertà sia stata esaltata dalla Chiesa romana e condannata solo a partire dal XIV secolo è una nozione errata, anche se riportata da Pisanello (p. 84-85). Nella sua evoluzione storica la società è certamente mutata (con uno stato nazionale nato almeno nel XIX secolo e non nel XXI, come uno sfortunato probabile errore di battitura riporta nel libro, almeno nella prima edizione) ma concentrarsi sulle novità dell’oggi rischia di non aiutare al superamento dello stato di cose presenti anche in aspetti antropologicamente stratificati. 

Il valore del libro non è comunque minimamente indebolito, soprattutto nel suo essere importante strumento contro la repressione veicolata dai «dispositivi estetici» e dalle «politiche securitarie» che fanno da sottotitolo del testo.

Sapere dove guardare è fondamentale per muoversi nella giusta direzione: Carmen Pisanello ci fornisce utili indicazioni per non perderci nella retorica perbenista e per non finire da Barbara D’Urso a rivendicare “due nonne” come spin doctor della campagna elettorale [Renzi, 2018].


Carmen Pisanello, In nome del decoro Dispositivi estetici e politiche securitarie, Ombre Corte, Verona, 2017, pp. 96, € 10,00, ISBN 9788869480805

Pagina Facebook del libro www.facebook.com/Innomedeldecoro/

La copertina del libro è stata ripresa liberamente dal sito della casa editrice www.ombrecorte.it

Le foto nell'articolo sono dell'autore, Dmitrij Palagi, scattate a Firenze


Ultima modifica il Giovedì, 01 Febbraio 2018 13:58
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it

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