Martedì, 28 Luglio 2015 00:00

La foce che combatte

La foce che combatte. 

Il titolo non è casuale, il titolo è voluto ricercato seguendo la scia di un significato ben preciso.

“… La natura si ribella e a noi ci fa felici…” cantavano così in un loro pezzo lo storico gruppo rap-militante romano degli Assalti Frontali. Il testo e la musica erano una dichiarazione d’amore verso una vicenda che ha fatto stringere il cuore a tenti, il lago che combatte, lo specchio lacustre naturale in pieno centro a Roma.

La storia del Lago di Tor Pignattara ormai è ampiamente conosciuta anche e soprattutto grazie alla battaglia intrapresa da cittadine e cittadini per restituire quel bellissimo specchio d’acqua alla collettività. Un lago d’acqua naturale ribellatosi alla prepotenza del cemento, prepotenza fomentata da chi segue come ideale solo la speculazione, nella sua versione forse peggiore, quella edilizia. La natura a Roma si è ribellata questa è una certezza e l’uomo ha risposto presente.

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Con il voto in Senato, il cosiddetto “DDL ecoreati” ha incontrato l’approvazione definitiva a larga maggioranza lo scorso 19 maggio, concludendo un iter iniziato nel febbraio 2014 con la presentazione da parte del gruppo parlamentare del PD di un disegno di legge di disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente, poi integrato con le iniziative dei gruppi parlamentari di M5S e SEL.
Questo provvedimento si inserisce in un contesto normativo preesistente disorganico e dispersivo, drogato dall’inflazione di leggi specifiche. I fondamenti dei precedenti interventi normativi sono stati il principio della prevenzione del danno, con l’articolazione del sistema di valutazioni di impatto ambientale (le famose VIA, spesso troppo ottimistiche…) e permessi da parte di amministrazioni pubbliche alla realizzazione di opere potenzialmente dannose, il principio di precauzione per il contenimento del danno e il famigerato principio «chi inquina paga», tradotto dalla prassi in «chi paga può inquinare».

Pubblicato in Territori e beni comuni

Articolo pubblicato su il manifesto di domenica 10 maggio 2015

Toscana: piano paesaggistico a rischio cemento

Quello che è uscito dalla porta può rientrare dalla finestra. E deve preoccupare la prospettiva che la legge urbanistica e il piano del paesaggio della Toscana, salutate da generali apprezzamenti e segnalate anche da New York Times e Newsweek, rischino di diventare lettera morta. L'allarme arriva da Vezio De Lucia, che all’assemblea della Rete dei comitati per la difesa del territorio e dell'ambiente avverte del pericolo: “In commissione alla Camera c'è una nuova legge sul governo del territorio che, su input del governo, dovrà essere giuridicamente sovraordinata alle normative regionali”.

Pubblicato in Toscana

Anche senza considerare le decine e decine di bambini che ritmano il coro “l'inceneritore, ci fa orrore”, gli under 35 sono in maggioranza fra le migliaia di manifestanti che sciamano in corteo di protesta contro l'inceneritore fiorentino di Case Passerini e il nuovo aeroporto intercontinentale di Peretola.

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Il governatore della Prefettura di Okinawa Takeshi Onaga ha annunciato, durante una conferenza convocata il 26 gennaio, che istituirà un gruppo di lavoro indipendente (composto da tre avvocati e tre esperti ambientali) per accertare se il proprio predecessore (il liberal-democratico Nakaima) abbia seguito tutte le procedure di legge nel rilasciare le autorizzazioni inerenti i lavori preparatori di bonifica sul sito che dovrà ospitare la nuova base militare statunitense.
Il governatore chiederà che sia rimandato l'inizio dei lavori fino alla conclusione dell'operato dei tecnici.

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Domenica, 30 Novembre 2014 00:00

Toscana da incenerire

Toscana a tutto incenerimento

Visto con gli occhi del Pd toscan-renziano, il nuovo piano dei rifiuti urbani appena approvato dal consiglio regionale è un gran passo avanti nella gestione “virtuosa” del settore. L'assessora all'ambiente Anna Rita Bramerini ricorda in ogni occasione che solo il 10% finirà in discarica, e che l'obiettivo è addirittura il 70% di raccolta differenziata nel 2020, con solo il 20% da destinare alla “termovalorizzazione”. A prima vista desta quindi sorpresa la critica della sempre più esigua minoranza dem, che anche dopo l'approvazione del piano insiste a chiedere un cambio di rotta nelle politiche sui rifiuti. Ma forse succede perché perfino quelli dell'area cuperliana, dopo almeno 15 anni di ostinati silenzi sull'argomento, ormai costretti a giocare in difesa osservano che sei, forse sette inceneritori sono davvero tantissimi. A maggior ragione in una regione come la Toscana, i cui abitanti complessivi (3 milioni e 700mila) sono pari a quelli dell'area vasta milanese, o di Roma con i comuni contermini.

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Volendo recuperare un vecchio arnese della retorica “democratica”, dovremmo andare a cercare nei dibattiti a tema ambientale dell'ultimo governo Prodi. Anche allora quella che era (ed è) una crisi profonda e strutturale delle filiere produttive, si stava trasformando, per volere di quegli imprenditori che per decenni non avevano investito né in innovazione né tanto meno in doverose bonifiche, in un ghiotto affare per chi quelle filiere le voleva chiudere e chiudere alla grande, speculando sui miseri resti dell'industria italiana e, in definitiva, su tutti i rifiuti e residui del sistema dei consumi. Ecco dunque nascere l'”ambientalismo del si”: di fronte ai soliti e triti moralismi dei Verdi, dei partiti della sinistra radicale e delle associazioni ecologiste, si prospettava una nuova filosofia che, mossa da sincero amore per i territori, approvasse in pieno un po' qualunque cosa: si al nucleare, si agli inceneritori, si alle centrali a carbone. Si, si e ancora si!

 

Erano gli albori di un vero e proprio paradigma, che vede le questioni ambientali da un punto di vista meramente attuativo. Legiferare in materia ambientale non era più una questione di razionalizzazione e sintesi fra necessità e doveri dei territori, del mondo produttivo e dei consumi e sperimentazione e studio via via di nuove tecnologie per lo smaltimento ed il monitoraggio. Fare leggi in materia d'ambiente diventava quasi esclusivamente una questione di mera razionalizzazione burocratica. Lo sviluppo del territorio era materia attinente alla sola urbanistica, e come in urbanistica, specie in tempi di crisi, l'unico problema da risolvere era quello di farla ripartire, di “sbloccare” qualcosa che si era inceppato. Si preparava il terreno per quello che poi sarebbe diventato il Codice dell'Ambiente del 2006, noto anche come Decreto Matteoli, che di fatto in materia d'incenerimento, come in molti altri, introduceva come unica vera novità una sostanziale de-regolamentazione: procedimenti più snelli, meno beghe sul fronte controlli (in primis i procedimenti di Valutazione d'Impatto Ambientale, Valutazione ambientale strategica e Prevenzione e riduzione integrale dell'inquinamento). L'unica cosa da garantire con assoluta certezza era il completamento degli iter in tempi certi, costi quel che costi.

 

È l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende. E se è Matteoli a tracciare, la spada, proprio in questi giorni, è il recentissimo decreto Sblocca Italia (testo integrale in fondo), che entra a gamba tesa in un impeto di decisionismo su molte vertenze. Se molte regalie a imprenditori e speculatori si possono stanare nel decreto in tutto quello che concerne la cessione del patrimonio pubblico (caserme, scuole, case cantoniere, stazioni ecc...) dove avviene per la prima volta e a scapito della pianificazione una scelta delle priorità a favore della proprietà privata, come se questa nel suo complesso fosse immune da fenomeni di abbandono di stabili e "latifondo urbano", sul fronte ambientale si assiste ad un'accelerazione esasperata sulla via tracciata, appunto, dal Codice dell'Ambiente e dalla filosofia di cui si faceva portatore.

 

La rivoluzione è in un pugno di articoli: si comincia con il 35, sulle misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale. Infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale – si legge all'articolo – sono anche gli inceneritori/termovalorizzatori. I tempi, già abbreviati, si dimezzano sia sul fronte degli espropri che sulle valutazioni d'impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale. Nell'alimentare gli inceneritori, si dispone, "deve essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e a saturazione del carico termico, devono essere trattati rifiuti speciali non pericolosi o pericolosi a solo rischio sanitario”.

 

A completamento del quadro sta quindi l'obbligo di mantenere gli impianti a “saturazione del carico termico”, ovvero a pieno carico. Un obbligo che nel decreto viene affiancato alla possibilità di far circolare con maggiore facilità i rifiuti da regione a regione, elemento quest'ultimo che fino ad oggi era previsto solo per i rifiuti speciali e adesso riguarderà anche i rifiuti solidi urbani. Il tutto, ovviamente, d'ufficio, con la direzione del Ministero dell'Ambiente che in questa materia attua una vera e propria de-responsabilizzazione delle Regioni. Fenomeno quest'ultimo che viene incentivato anche in merito alle trivellazioni, al centro dell'articolo 38, nel quale vengono considerate strategiche tutte le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, diminuendo l’efficacia delle valutazioni ambientali, emarginando le Regioni e forzando sulle norme che avevano dichiarato dal 2002 off-limits l’Alto Adriatico, per il rischio di subsidenza.

 

Quando poi gli impianti già esistenti non saranno sufficienti, se ne faranno di nuovi. Opere definite nel decreto “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale” sulle quali sarà sempre compito del Ministero dell'Ambiente prendere l'ultima decisione. Elementi questi che negli ultimi giorni stanno mettendo d'accordo in un unica protesta il Movimento Cinque Stelle, specie nelle regioni del nord, la Regione Lombardia, da sempre contraria alla libera mobilità dei rifiuti sul territorio nazionale e persino l'Asso Arpa, l’associazione delle agenzie regionali per l’ambiente, che in un’audizione alla Camera recentemente ha disegnato lo scenario di un rischio sanitario aumentato, con particolare riferimento alla messa a pieno carico degli impianti già esistenti.

 

Uno scenario a tinte fosche, insomma, per la qualità dell'aria, in un paese dove a sbloccarsi sono solo i vincoli di legge, le regole, le norme. Con buona pace di enti locali e territori. 

 







 

 

 

Pubblicato in Società

«Dire che il parco è stato lasciamo meglio di come lo avevano trovato è semplicemente falso». Non usano mezzi termini Alessandro Spinelli, Fabio Garbari e Mauro Nozzolini nel commentare l'ultimo capitolo della vicenda del raduno scout a San Rossore.

 

Ad un mese e mezzo dalla Route Nazionale AGESCI che ha portato ben 35mila scout nel Parco, i tre promotori dell'appello contro l'organizzazione dell'evento nel sito scelto dall'Ente e dalle organizzazioni promotrici non si danno per vinti e rilanciano la loro battaglia a suon di carte bollate. Sarà infatti la Procura della Repubblica a decidere il da farsi in merito all'incredibile iter cha ha portato oltre 10mila tende all'interno di un parco nazionale, Sito d'Interesse Comunitario e Regionale, nel quale fino a pochi mesi fa era sempre stato tassativamente vietato ogni genere di accampamento. Il ricorso, portato avanti tramite l'avvocato Giancarlo Altavilla, noto per le sue battaglie sul fronte della difesa del territorio, parte dal presupposto che vi siano state numerose forzature per tutto l'arco del procedimento di autorizzazione.

 

«Ciò che è accaduto a San Rossore non è stato frutto di un colpo di mano, ma la conseguenza di un lungo iter di autorizzazione. Un iter addivenuto alla conclusione che vi potesse essere una compatibilità fra antropizzazione temporanea e caratteristiche dell'ambiente naturale – ha dichiarato l'avvocato Giancarlo Altavilla alla conferenza stampa indetta dal comitato. – Eppure se si legge la disciplina di riferimento, insieme alle varie leggi regionali che regolano l'attività di parchi come questo, è facile ritenere come tutto ciò che è stato autorizzato contraddica la disciplina e le modalità di fruizione dell'area. Una sequela di norme ben specifiche che, certo, non prevedevano o interdicevano un evento di tali dimensioni nello specifico, ma certo lo rendevano impossibile: niente rumore, niente campeggio, nessuna fonte di illuminazione ecc... Tutte cose avallate dagli stessi enti che avevano emanato quelle normative e quei disciplinari, passati peraltro per numerose forzature: penso, ad esempio alla conferenza dei servizi composta quasi interamente da personale politico e non tecnico».

 

Forti delle ragioni meramente giuridiche e procedurali, la nuova denuncia dei firmatari dell'appello, riuniti nel comitato “Salviamo San Rossore”, non si ferma però alle mere questioni legali. E' infatti convinzione dei tanti studiosi che hanno preso parte alla battaglia che il parco abbia risentito profondamente della presenza degli scout e dell'insieme dell'evento, sia sul fronte della flora che della fauna. Considerazioni nate in virtù dei numerosi sopralluoghi che Spinelli, Garbari ed altri hanno effettuato prima del raduno, fino al giorno in cui è scattata l'interdizione dell'area ai non addetti ai lavori da parte del direttore dell'Ente Parco Andrea Gennai a fine luglio, e nei giorni immediatamente successivi. Elementi che andranno ad arricchire un libro bianco di prossima compilazione.

 

«A partire dal 24 agosto, dopo il raduno e alla fine della prescrizione del direttore a visitare i luoghi per non specificate “ragioni di sicurezza” abbiamo potuto constatare in che condizioni versassero gli appezzamenti di terreno interessati dalle attività degli scout, che prima dell'evento rappresentavano un area mediterranea molto importante per il pascolo. – ha dichiarato Fabio Garbari. – Tale prato per larghissima parte è scomparso a causa delle attività di livellamento, del calpestio e dell'installazione delle oltre 10mila tende. Meno grave la situazione per le zone più umide, dove cresceva il giunco. Nel complesso però l'area è sicuramente danneggiata: sono state interrotte le serie di vegetazione, sono stati distrutti e sfaldati i molti licheni presenti ed è stata desertificata parte dell'area. Tutti danni che ben tre ex presidenti della Società Botanica Italiana, nonché eminenti figure di spicco del ramo in importanti università italiane, possono testimoniare».

 

Danni forse maggiori, invece, sul fronte della fauna, in particolar modo per come il raduno è andato a rompere il delicato equilibrio che regola la nidificazione di alcune specie di uccelli, in primis il Gruccione.

 

«Ciò che ho potuto constatare è desolante, ed è avvenuto in barba alle leggi che tutelano la nidificazione – spiega Spinelli. – Le mie osservazioni, effettuate nel periodo che va da aprile a luglio, mi avevano portato a censire ben 85 nidi sul finire della fase di assestamento. Ebbene nel buon 80% di essi la covata è stata brutalmente interrotta: quando a causa dell'inizio dei lavori, che hanno portato all'abbandono di molte covate e di molti piccoli, quando a causa di una vera e propria distruzione del nido per il passaggio delle ruspe. L'arrivo delle tende e dei ragazzi ha fatto fuggire anche i pochissimi esemplari scampati ai lavori di preparazione, fatti censire dall'Ente Parco e inizialmente in qualche modo tutelati nel momento del taglio dell'erba. Una perdita che in totale, considerando il numero di uova per ogni singolo nido, ammonterebbe a oltre 300 esemplari perduti quest'anno».

 

Considerazioni che per Spinelli niente hanno a che fare con quanto riportato dal Parco o da molti mezzi di comunicazione. «Ho letto dichiarazioni preoccupanti: si parla di una natura quasi “partecipe” della messa domenicale, di daini affacciati sulla platea ai confini del campo incuriositi, di “poiane volteggianti” durante i canti di lode. – commenta. – L'unica cosa certa è che gli unici Gruccioni superstiti sono stati, e non a caso, quelli nelle aree circostanti che non sono state toccate dal raduno. Tutto questo quando a nome del Comitato mi ero messo personalmente a disposizione del parco al fine di censire e tutelare questa specie che, a detta all'epoca di Gennai, era “già sotto controllo da mesi”. Cosa assai improbabile considerando il periodo di arrivo e nidificazione di quella specie».

 

Una battaglia che insomma passerà dalle praterie del parco agli uffici della Procura, che dovrà decidere in autonomia la presenza degli estremi per un indagine approfondita ed un riconoscimento di danni e responsabilità.

Pubblicato in Toscana

Dall’antico al moderno:

la difesa dei territori di ieri e di oggi, beni comuni da preservare, beni comuni da salvare

[...] Predatori del mondo intero, adesso che mancano terre alla loro sete di totale devastazione, vanno a frugare anche il mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l'oriente né l'occidente possono saziare; loro soli bramano possedere con pari smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, quello lo chiamano pace”

Tacito (Agricola, 30)

La difesa del territorio, delle sue risorse, della sua sacralità ha da sempre contraddistinto la società; sia quella antica, remota che quella più moderna e più “evoluta”. Il sacro correlato alla natura al territorio è insito nella mente umana: basta guardare le antiche testimonianze rupestri preistoriche in grotta; da Lascaux alla grotta dell’Addaura in Sicilia, per capire quanto la natura sia stata protagonista nella storia dell’uomo.

Pubblicato in Territori e beni comuni
Giovedì, 11 Settembre 2014 23:58

Orsa Daniza: un triste epilogo

È finita in tragedia farsesca la latitanza dell'orsa Daniza (italianizzazione dello sloveno Danica), braccata dal corpo forestale a seguito dello sfortunato incontro con un incauto e impreparato cercatore di funghi. L'orsa lo aveva minacciato, con l'intento di allontanarlo dai propri piccoli; ma questo atteggiamento è stato interpretato come un'aggressione sia dall'escursionista che da chi ha approfittato della vicenda per rilanciare la polemica contro i progetti di ripopolamento dei plantigradi – e più in generale di animali selvatici "problematici" con i quali non si è più capaci di convivere.

Pubblicato in Divulgazione scientifica

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