Sull'affossamento dello ius soli
Sabato 23 dicembre il Senato ha registrato la mancanza del numero legale sullo ius soli e si è aggiornato al 9 gennaio. Se, come probabile, il Presidente della Repubblica scioglierà le Camere entro la fine dell’anno, la proposta di legge non sarà mai dibattuta a Palazzo Madama e per una riforma del diritto di cittadinanza si dovrà attendere eventualmente la prossima legislatura. Le assenze massive dei partiti di destra (M5s, Lega, Forza Italia) e quelle sparse nel centrosinistra (Pd, A1-Mdp) hanno riacceso la polemica già attizzata tre settimane fa dalla tarda calendarizzazione del provvedimento.
Incredibile il livello di vigliaccheria che caratterizza il dibattito politico italiano, specchio fedele di un Paese in cui minoranze di invasati (nel silenzio e grazie al menefreghismo della maggioranza) si sentono in diritto di alzare barricate per impedire a qualche sparuta famiglia straniera di entrare in casa o di fruire di servizi pubblici. Sulla pelle di esseri umani reali le istituzioni rappresentative della repubblica si sono coperte di ignominia ancora una volta, tra mandatari del potere sovrano del popolo che disertano le aule per affossare la blandissima legge che avrebbe conferito la cittadinanza ad un pugno di persone nate e cresciute in Italia e rappresentanti del potere popolare che gongolano sulla stampa del danno arrecato all'iter della legge con migliaia di emendamenti "fuffa".
Meglio stendere poi un velo pietoso sui peggiori "partiti" - se si può abusare di un termine nobile usandolo per designare l'attuale magma informe - della storia unitaria, a sinistra ridotti a simulacri pseudo-liberaldemocratici a corto di idee e di forza politica, assolutamente incapaci di assolvere alla funzione che spetterebbe loro da costituzione, e a destra (m5s compreso) più vicini alle consorterie della destra eversiva sudamericana che al conservatorismo europeo. La costituzione, il parlamento e la democrazia trasformate in un teatrino da libera repubblica di Bananas.
Una reazione di civiltà minimamente progressista non può e non deve partire dall'accettazione, nemmeno tattica, del presente. Non ci possono essere compromessi, costasse pure un decennio di traversata del deserto. L'idea di trovare scorciatoie populistiche per le stanze del potere (ma poi, per fare cosa?), è una pia illusione. È invece necessario e irrinunciabile ricostruire dal nulla spazi in cui la solidarietà umana, i legami costruiti dalla partecipazione ad un progetto emancipatorio ed il valore nobile della politica possano esistere e dare un volto al socialismo del nostro secolo. Tutto il resto è abbandonarsi al male.
E così mentre il premier non eletto annuncia da una portaerei militare il rilancio delle missioni militari all'estero a scopo umanitario, con la costruzione di ponti umanitari addirittura dal Niger, si scatenano gli alti lai di chi lamenta l'affossamento dello ius soli come gesto di inciviltà. La costruzione di mercati sulle migrazioni globali invece resta un gesto di umanitarismo da preservare e rafforzare, secondo molti.
In realtà, ad aver determinato l'affossamento dello ius soli è un puro calcolo utilitaristico da parte di chi ha incrementato l'integrazione forzata in questi anni. Infatti, una legge che allarga la platea dei nuovi cittadini, favorendo l'integrazione, concedendo la cittadinanza ai nuovi nati sul suolo italiano, andava a destrutturare tutta l'architettura che fino ad oggi ha portato a costruire profitti sulle vite di chi è in fuga dal proprio paese e cerca un rifugio altrove.
Insomma a determinare l'impossibilità degli stranieri nati in Italia di acquisire la cittadinanza alla nascita è un calcolo rivolto a preservare gli interessi di chi ha speculato sull'integrazione forzata. Il vero paradosso è che una forza come il PD considerata pro-immigrati dall'opinione pubblica abbia preferito mantenere norme sulla cittadinanza basate sullo ius sanguinis, pur di preservare e garantire rendite determinate dall'afflusso di chi cerca di accedere ad uno status tanto agognato. La difficoltà di accesso alla cittadinanza resta quindi un criterio da preservare per non erodere le quote di interessi costruite in questi anni, nonostante i bei discorsi dei liberali sull'eguaglianza di diritto per tutti alla nascita.
Antonio Socci sostiene che Papa Francesco è ossessionato dai migranti. Tralasciando i dibattiti surreali all'interno del mondo cattolico, non si può ignorare come l'odio per chi si occupa dei "diversi" abbia un radicamento, almeno apparentemente, più forte che in passato.
Si tende a confondere i piani da ormai un decennio a questa parte. Quello umanitario, spazzato via nel senso comune dall'eccesso di "politicamente corretto" in tempi di crisi economica, riesce a essere con fatica recuperato in chiave ironica e dissacrante, a esempio, dallo spot dei The Jackal per ActionAid (vedi qui), ma si ferma alla comunicazione dei buoni sentimenti per il volontariato. Esiste poi il livello politico, che dovrebbe fondarsi su lettura della società e dei processi produttivi/economici. Da tempo però l'analisi della sinistra di classe (ma anche di quella di governo) si è abbandonato alle parole da vuote trasmissioni televisive in prima serata.
Lo Ius Soli era diventato merce di scambio tra Renzi e Pisapia, poi magari avrebbe convinto la Boldrini a non candidarsi con Grasso. Adesso ci si concentra di nuovo sul Movimento 5 Stelle, che avrebbe fatto mancare i numeri per l'approvazione di una legge, accusata dai suoi detrattori di giungere in momento meramente elettorale.
Ci sono due battaglie da condurre: una culturale, che riguarda il disarmo della guerra tra poveri fomentata dal sistema di informazione (dove il pietismo non fa che aizzare chi vive in difficoltà contro il proprio vicino, perché i buoni sentimenti e l'educazione sono ormai associati all'idea di lusso), l'altra politica, che sia capace di riaffrontare i problemi reali del sistema economico e sociale.
Lo Ius Soli rischia di essere un tema da "chiacchiere e distintivo" per l'imminente campagna elettorale, sulla pelle di esseri umani. Magari riflettere anche sul diritto di voto di chi paga le passe in questo Paese potrebbe innervosire, ma sarebbe funzionale a una corretta discussione.
L’ora sembra dunque scaduta per lo ius soli in questa XVII legislatura, a meno di un colpo di scena che prorogando a metà gennaio lo scioglimento delle Camere consenta un’approvazione lampo – del tutto improbabile visto il costo politico che comporterebbe elettoralmente per il centrosinistra e vista anche la volontà di Mattarella di andare alle elezioni con Gentiloni non sfiduciato.
Questa legislatura è stata in realtà ricca di buoni esiti nel campo dei diritti civili: divorzio breve, introduzione del reato di tortura, “dopo di noi”, unioni civili, testamento biologico. Il fatto che lo ius soli sia rimasto vittima illustre di un fuoco di fila, mentre sugli altri temi non vi sia stata una opposizione sostanziale se non da parte di frange integraliste, è indice dell’importanza che le pulsioni egoiste hanno nella società italiana: da un lato si vogliono estendere i confini della libertà per chi ne gode, dall’altro si vuole recintare la platea di questi soggetti. Non sono mancati ovviamente i falsi di propaganda come ad esempio la “cittadinanza automatica” evocata immediatamente da Giorgia Meloni a mezzo Facebook.
Un altro dato su cui riflettere è il crescente declino della presa ideologica della Chiesa cattolica: la quale, pur essendo lontani i tempi delle crociate del cardinale Ruini, ha promosso con forza l’approvazione dello ius soli mentre non ha certo appoggiato le unioni civili o il biotestamento. Non sono certo casuali le parole rese dal papa nell’omelia della notte di Natale, in cui ha indicato Gesù come «Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza»: un riferimento non soltanto alla situazione italiana ma anche alla politica xenofoba dei Paesi cattolici dell’Est Europa, ai quali ha rinfacciato anche lo «spalancate le porte a Cristo!» con cui nella Messa di insediamento al soglio Giovanni Paolo II chiamava all’attacco al blocco comunista.
Infine merita attenzione l’opinione popolare sul tema. In primo luogo è da evidenziare che, ferme restando le convinzioni personali in materia di cittadinanza, sbalordisce il toccare con mano come molte persone siano realmente convinte della propaganda fascista secondo cui con lo ius soli si dà la cittadinanza a chiunque metta piede sul territorio italiano. Chi ha una conoscenza minima, che solitamente ci veniva insegnata a geografia in prima media, sa che anche la forma più radicale di ius soli riguarda semmai i nuovi nati e non gli immigranti. In secondo luogo, lo ius soli è impopolare anche presso gli elettori di sinistra: è sufficiente frequentare i luoghi di ritrovo e gli esercizi di una qualsiasi periferia “rossa” per averne la prova. L’avvertimento di Alfano (considerare i costi politici dell’approvare o non approvare la riforma) è, più che ignavia, una lezione di realismo pur se cinico.
Il crollo della socialdemocrazia in quasi tutti i Paesi occidentali ha portato all'emergere di una serie di partiti di centrosinistra quasi tutti caratterizzati da una politica economica e sociale del tutto in sintonia con le logiche neoliberiste: si vuole gestire e rafforzare l'economia di mercato piuttosto che contrastarne le distorsioni. L'unica differenza con la destra è spesso costituita da una maggiore attenzione ai diritti civili, secondo la strada indicata e intrapresa da Blair.
Il PD si è dimostrato per lo più in sintonia con questo modello e in effetti Renzi e Gentiloni verranno ricordati per l'approvazione di riforme inequivocabilmente neoliberiste come il Jobs Act e La Buona Scuola e per alcune conquiste di civiltà importanti come le unioni civili e il reato di tortura. In questo contesto il fallimento nell'approvazione dello Ius Soli resta una macchia indelebile di questa legislatura che ha messo tutta la sua forza riformista e ha puntato tutto ciò che resta della sua identità di sinistra su questi aspetti politico-sociali. La defezione anche di parlamentari del Pd e le discussioni surreali nella "società civile" (ormai ridotta a talk show patinati e teatrali e a sfoghi social), dimostra, al di là di tutto, che, anche in quella che dovrebbe essere la sinistra, c'è una diffusa attrazione nei confronti della retorica sempre più aggressiva dei vari Salvini e Meloni. La disorganizzazione patologica della sinistra di classe rafforza l'amara convinzione che di Ius Soli non ne sentiremo parlare più per molti anni e che ci attendono tempi molto bui.
Immagine liberamente tratta da www.fanpage.it
Il dramma della questione migratoria in seguito agli accordi con la Libia
Quello che è successo la scorsa settimana nella parte del Mediterraneo che divide Libia e Italia è qualcosa che non solo fa rabbrividire da un punto di vista umano, ma aggiunge anche nuove complicazioni alla già difficile e mai risolta questione del traffico di migranti e delle politiche migratorie ad essa collegate. Proviamo a ricostruire brevemente la vicenda, anche se poco chiara poiché si contrappongono versioni differenti. Era il 7 novembre quando un fatiscente gommone, a trenta miglia dalle coste di Tripoli, è stato raggiunto da una parte da una motovedetta della marina tripolitana, dall’altra dalla Sea Watch, una ONG tedesca arrivata sul posto per soccorrere i migranti.
A casa loro: le tante realtà del continente africano
I recenti appuntamenti elettorali europei hanno visto come denominatore comune la retorica intorno all’immigrazione. Un fattore a vantaggio delle forze nazionaliste, che mobilitano la rabbia e il senso di impotenza dell’elettorato contro i numerosi rifugiati che arrivano ogni giorno nel continente. Le gravi conseguenze delle politiche neoliberiste di quest’ultimo decennio hanno concesso il campo a queste pericolose derive fasciste e nazionaliste, che hanno spostato pericolosamente a destra l’asse anche dei partiti del PPE.
Il Premio Nobel sudafricano Desmond Tutu, simbolo della lotta antiapartheid insieme a Mandela, lo scorso giugno in un momento di boom degli sbarchi, ha sollevato un interrogativo importante: "Per una volta, almeno per una volta mi auguro e prego perché i cittadini europei, e i loro governanti, non si chiedano dove vogliano andare gli esseri umani che bussano alle porte, troppo spesso sbarrate, dei ricchi Paesi occidentali. Io spero e prego che almeno una volta ci si chieda da cosa fuggono, e perché, e per responsabilità di chi, i loro Paesi si siano trasformati in un inferno in terra". In questo senso, è utile andare oltre alle degradanti discussioni dei talk show e alle imbarazzanti dichiarazioni dei nostri politicanti e, forse troppo brevemente, tentare di inquadrare la reale situazione di un continente immenso come quello africano. È utile ricordare a noi stessi, contrariamente a quanto riportato dai media, che solamente un terzo dell’immigrazione africana varca il Mediterraneo e i suoi confini continentali. Due terzi della totale immigrazione dell’Africa è interna, come si può vedere analizzando i dati della World Bank del 2016. Negli ultimi anni, si è anche registrato un alto numero di migranti che ritornano nei loro paesi origine, anche dai paesi ad alto reddito dell’area OCSE.
Oltre all’immigrazione, l’altra ottica dalla quale viene osservato il continente africano è quello del cosiddetto “afropessimismo”. Ovvero la costante e immediata associazione dell’Africa a tragedie come la fame, le carestie, le epidemie, le guerre ecc. Sicuramente sono alcuni dei problemi che ancora oggi frenano il grande continente, ma non possono essere i punti di partenza per una visione oggettiva della grande realtà africana. Dalla nascita degli stati nazionali africani, soprattutto nell’Africa subsahariana, la timida crescita economica del continente si è bruscamente frenata tra il 1970 e la fine degli anni Ottanta. Condizionata da una serie di fattori quali le forti oscillazioni del prezzo del petrolio, fattori economici riguardanti i tassi di interesse sui debiti pubblici, il forte protezionismo dei paesi dell’Africa settentrionale, mala gestione economica, fattori geopolitici che causano conflitti ecc. Vi è stata una ripresa economica generale del continente a partire dalla metà degli anni Novanta, ma che non è stata omogenea in tutte le regioni. Una crescita determinata da alcuni fattori: forte domanda internazionale di materie prime (petrolio, metalli, gas ecc), calo dell’inflazione, progressi democratici e politici, nuova classe dirigente, timida diffusione della tecnologia ecc. Il problema delle risorse è determinante per capire lo sviluppo del continente: paesi ricchi di risorse e materie prime non hanno avviato una crescita economica sostenibile e non hanno portato a una riduzione della povertà. Paesi come Angola, Camerun, Nigeria e Gabon sono al fanalino di coda del continente negli indicatori internazionali sulla povertà e sulle aspettative di vita, per differenti fattori, eppure sono i maggiori detentori delle risorse petrolifere del continente, i cui i governi nazionali ricevono ingenti guadagni dalla vendita di petrolio. Nonostante la democrazia, e questo è un dato positivo, stia diventando il sistema di governo di riferimento del continente africano (anche nell’Africa subsahariana) la corruzione è uno dei maggiori freni alle politiche di sviluppo.
È migliorato l’indicatore che rileva il grado di qualità della democrazia, essendo aumentati in molti paesi africani gli organi di controllo sulle operazioni di voto e l’accesso della popolazione ai mezzi di informazione. Generando anche un aumento delle proteste democratiche nel continente, come nelle ultime elezioni in Ghana. È anche interessante mettere in relazione lo sfruttamento delle risorse naturali con il fenomeno dell’urbanizzazione, in forte crescita da alcuni anni a questa parte. Normalmente segnale positivo di crescita economica e sociale nei paesi in via di sviluppo, in Africa molte città non sono il luogo dove si produce la ricchezza ma dove viene consumata. È una urbanizzazione completamente diversa ad esempio da quella asiatica, dove grazie ai servizi e alle attività produttive quali il settore manifatturiero sono un luogo dove la ricchezza viene prodotta. Oltretutto questa urbanizzazione in forte crescita non è accompagnata ovunque da politiche di sviluppo sostenibili nelle risorse vitali quale acqua e la terra coltivabile, priva di qualsiasi strategia di pianificazione.
Nonostante la possibilità di avere una popolazione giovane che può comunque beneficiare dei miglioramenti nelle condizioni di vita e dalla riduzione in molte aree del tasso di mortalità, una delle più grandi incertezze del continente è legata alla sua demografia. Meno del 20% delle donne africane hanno accesso a mezzi di contraccezione, il processo di riduzione della fertilità incontrollata è lento, manca una efficace educazione sessuale e nonostante l’aumento dell’età delle donne in cui generano figli il numero di nascite per famiglia rimane alto e stabile. L’Economist nel 2011 ha parlato di un possibile disastro maltusiano del continente africano. Gli ultimi dieci anni hanno inoltre evidenziato un aumento dei conflitti, sia statali che regionali, dopo una riduzione che aveva favorito elementi di crescita economica dalla fine degli anni Novanta. Esempio lampante di questo fattore sono il Mali e lo Zimbawe, considerati poco tempo fa due degli stati africani che avrebbero trainato la crescita del continente (con indicatori classici come il PIL elevati prima delle guerre che li stanno distruggendo).
Non ci sono però solamente questi elementi negativi, nonostante sia disomogenea però il continente, soprattutto i paesi subsahariani, sono andati incontro a uno sviluppo sociale e politico importante. Che hanno favorito in molti paesi la crescita di una classe media, con un ricambio generazionale anche alla guida di molti paesi, una crescita della consapevolezza politica e l’accesso al dibattito democratico. Elementi confermati dai maggiori investitori internazionali nel continente africano, quali Russia, Cina, Brasile e India. L’Italia è uno dei maggiori paesi europei che investe in Africa, soprattutto nelle materie prime.
Per superare la demagogia sull’immigrazione, è necessario partire da una profonda analisi dei fattori cambiamento e sviluppo nel continente africano e accompagnare gli investimenti e le opportunità economiche con una crescita sostenibile. L’Europa non può continuare a ignorare il dinamismo e le problematiche di un continente come l’Africa a cui è storicamente legata. È un elemento cruciale e fondamentale per risolvere la tragedia quotidiana dei morti nel Mediterraneo, la tratta degli scafisti e i tanti problemi legati al rapporto tra continente europeo e continente africano. La forte crescita economica che molti paesi africani stanno sperimentando, non accompagnata da una redistribuzione della ricchezza e da miglioramenti delle condizioni di vita, è un problema che può essere affrontato. In un momento storico in cui le economie avanzate sono in recessione o in stagnazione economica, l’Africa è la nuova frontiera degli investimenti e alcune economie hanno i tassi di crescita più elevati al mondo. È importante investire e lavorare in Africa per una crescita sostenibile, favorendo un aumento delle qualità delle politiche pubbliche dei governi accompagnato da una lotta alla corruzione. Per fare ciò è necessario uno scambio dinamico e forte tra i due continenti, che non si limita allo slogan “aiutiamoli a casa loro” ma un programma di aiuti internazionali e di scambi funzionale al progresso dei paesi africani e a una politica sostenibile di sfruttamento delle risorse e materie prime. Soprattutto favorendo la formazione di una nuova classe dirigente, in una popolazione molto giovane come quella del continente africano. La crescita e lo sviluppo del continente africano sono un’opportunità non solo europea, ma per il futuro globale. Ad oggi l’Europa, pur essendo uno dei più grandi donatori in termini di ONG e aiuti internazionali, insieme ad accordi economici con molti paesi africani, non sembra essere in grado di elaborare una politica capace di interpretarne ed aiutarne lo sviluppo. Generalizzando nella macchina di propaganda politica europea le complessità e le differenze di un enorme continente a cui siamo strettamente legati dalla storia, a cominciare da quella scia di sangue che si perde nelle acque del Mediterraneo.
Sinistra e popolo
Luca Ricolfi ha uno stile compiaciuto, tipico di chi si pone in maniera provocatoria, perché convinto di dover smascherare un sistema di ipocrisia. Sul Sole 24 Ore è tra le firme capaci di scrivere questioni interessanti, finendo per confessare qualche ingenuità diffusa in quello che potremmo definire l’eterogeneo sistema di pensiero egemone (in cui includere anche le incensate e riconosciute voci fuori dal coro).
Come avviene puntualmente, anche questo nuovo anno di lavori per il Parlamento Europeo si è aperto con il discorso sullo stato dell’Unione tenuto dal presidente della Commissione Europea Junker.
Il discorso di questo 2017 ha colpito particolarmente chi scrive da una parte per un generale carattere di ottimismo per le attuali condizioni e le prospettive di questa nostra Unione (elemento del tutto assente dal discorso di un solo anno fa), dall’altro per alcuni elementi molto specifici inerenti i singoli temi trattati.
Dopo le violenze sessuali di Rimini
Nell'ultima settimana un grave fatto di cronaca ha particolarmente colpito l'opinione pubblica, tornando a solleticare i più biechi istinti razzisti che nell'epoca postmoderna si moltiplicano con facilità.
Si tratta di una bambina di 4 anni morta per complicanza cerebrale causata dalla malaria a Trento. La Procura che sta ricostruendo la vicenda ha identificato in una famiglia del Burkina Faso, ricoverata presso il medesimo ospedale per malaria, la possibile via di trasmissione del virus. Il problema resta come in un reparto malattie infettive abbia potuto propagarsi la malaria.
L'analisi fredda, lucida e razionale dovrebbe suggerire la fatalità o al massimo la gravità per il mancato rispetto delle basilari procedure di quarantena.
Sembra dunque che nonostante il progresso scientifico non sia sparito del tutto il pericolo di epidemie anche per malattie un tempo debellate, anzi esiste ed è crescente (si veda ad esempio il rifiuto vaccinale). Questo pericolo deriva da pluralità di cause tra le quali i cambiamenti climatici in atto che conducono alla maggior diffusione di specie in grado di trasmettere virus. Inoltre, un mondo sempre più globalizzato vuol dire maggior movimento di beni e persone con nuovi agenti patogeni trasmessi tra uomini e animali in circolazione. Una serie di malattie infettive sembra quindi destinata a formarsi e propagarsi. E se si prova a fare una breve rassegna delle malattie diffuse nel globo negli ultimi anni per numero di morti questo fatto sembra essere confermato.
La crescita della popolazione umana ed il restringersi della maglia della rete logistica mondiale comportano rischi nuovi dal punto di vista della sanità pubblica e per la sopravvivenza stessa della specie umana. Dalle malattie respiratorie covate negli allevamenti intensivi in Asia ai devastanti salti di specie di cui ci narra un ottimo libro come Spillover di David Quammen, dalle specie animali alloctone che devastano gli ecosistemi che hanno la sfortuna di esserne invasi (vedi gambero killer) alle malattie delle piante di cui ci nutriamo, il catalogo delle possibili minacce è tale che anche un assoluto profano, senza alcuna preparazione in epidemiologia, può farsi un'idea e allarmarsi.
Purtroppo quello che succede è che invece che attivarsi per chiedere un maggior investimento in prevenzione e regole più stringenti sulle pratiche pericolose, di gran lunga concentrate nell'industria e nel commercio capitalistici, l'assoluto profano fonde quel poco che riesce a capire di un problema reale con una ributtante narrazione razzista vecchia quanto il razzismo europeo stesso, quella che vede nel diverso l'untore, l'agente esotico pronto a infettare e contaminare la sana comunità patriarcale bianca.
È così che invece di parlare di sanità pubblica diffusa e di qualità, della necessità di finanziamenti massicci alla ricerca di base e applicata, dello scandalo del continuo rinvio del bando di accesso alle scuole di specializzazione medica che sta tenendo migliaia di giovani medici laureati in Italia materialmente fuori dalla professione e dallo stadio più importante della loro formazione, l'elettore medio parte lancia in resta per "dargli all'untore", per cercare il capro espiatorio su cui scaricare le proprie paure malamente indirizzate. Paure che nascono dall'ignoranza, o dalla cattiva informazione. Basta prendere in mano proprio un libro di divulgazione come appunto Spillover, per capire che la prossima epidemia è più probabile che venga diffusa da un maiale o da un pollo. E che, in caso, le frontiere chiuse non servirebbero a nulla.
Dopo la preoccupazione globale per la Sars e Zika sembra che anche l'Italia sia finita nella lista di paesi a rischio diffusione di malattie trasmissibili tramite punture di semplici zanzare. Dopo il caso di malaria a Trento sono sorti tre casi di Chikungunya ad Anzio. Tuttavia è impressionante notare come immediatamente la fobia collettiva diventi una vera e propria caccia all'untore, subito identificato nei migranti. Ammesso e non concesso che la diffusione di tali malattie sia legata all'arrivo dei migranti non è assolutamente un buon motivo per abbassare la guardia dal punto di vista medico, altrimenti anche tubercolosi, scabbia e altre malattie un tempo debellate tornerebbero endemiche. Il vero problema è quindi scientifico e la realtà che sembra emergere è una sempre maggior leggerezza e superficialità di fronte ai pericoli che si moltiplicano. Oltre a ciò si aggiungono le difficoltà economiche e gli scarsi investimenti in basilari e indispensabili attività di prevenzione che innescano casi che poi vanno ad allarmare l'opinione pubblica portandola all'isteria.
Le paranoie collettive si riversano poi in nuove fobie per cui dalla caccia all'untore immigrato si giunge al rifiuto dei vaccini, contribuendo alla difficile prevenzione dei fenomeni.
Indubbiamente la globalizzazione ci ha esposto a maggiori rischi che però andrebbero fronteggiati con maggiori investimenti in attività di prevenzione e non viceversa, purtroppo in un contesto di sistematico taglio alla sanità pubblica questo non avviene e si assiste ad un preoccupante degrado sanitario. I soliti opportunisti poi ovviamente colgono la palla al balzo e soffiano sul fuoco creando l'untore di turno e lucrando politicamente su tali fatti senza affrontare radicalmente problematiche che meriterebbero una serietà ben maggiore.
L'informazione salvi questo Paese. Peggio di così, l'anno prossimo, rischiamo di leggere un dibattito sul caldo portato con i barconi nel periodo estivo... Le conoscenze scientifiche diffuse sono inadeguate alle sfide dei tempi, così tutto appare possibile con l'avvento delle nuove tecnologie e l'avanzamento delle scoperte mediche. Il diverso, lo straniero, è in fondo per molte e molti una forma di virus, in grado di apportare devastanti danni al corpo della società. La fantasia quindi vola sul racconto di un episodio di cronaca adeguato alla peggiore propaganda razzista.
Non riusciamo a gestire la paura della morte, il rischio della malattia e in generale la debolezza (di conseguenza anche la povertà è un'anomalia, se poi associata ad una malattia o ad un paese di provenienza diverso da quello in cui risiede...). Con l'aumento della interconnessione globale muta anche il contesto ambientale e quello sanitario, è evidente e normale.
Ad ogni cambiamento si accompagnano altri cambiamenti. Purtroppo alla barbarie sempre più egemone si accompagna l'assurdità delle affermazioni di Salvini, in un alimentarsi a vicenda. Il problema è che a nessuno interessa niente di salute e benessere, importa solo assecondare i peggiori impulsi, seguendo le cronache delle principali testate del sistema di informazione.
Non c'è nemmeno da discutere con chi pensa ad un legame tra barconi e malaria, si tratta però di capire come destrutturare quell'impianto culturale che porta a concepire certe assurdità.
L’odio istigato contro gli immigrati anche sul decesso per malaria di una bambina di Trento denuncia una grave deficienza di raziocinio: se davvero fossero i migranti da aree malariche a veicolare il morbo in Italia, registreremmo allora ben più dei 3600 casi verificati tra 2011 e 2015, di cui solo 7 (sette) autoctoni. 3600 che comunque non sono affatto pochi per una malattia di fatto debellata sul suolo italiano: parliamo infatti di due contagiati al giorno.
Chi sono questi pazienti malarici? Per l’80% cittadini stranieri. La grande maggioranza di essi importa la malaria al ritorno da un viaggio nel Paese d’origine. Con molta probabilità questa incidenza è dovuta all’assenza di una profilassi antimalarica, alla quale i viaggiatori non ricorrono o per ignoranza o per scarsa dimestichezza con la sanità italiana. In altre parole, perché poco integrati nel tessuto sociale del Paese. È sufficiente un errore umano, quale quello che sembra essersi profilato nel contagio della bimba di Trento, per infettare una vittima del tutto ignara e che, preda di forti febbri, non penserà certo alla malaria.
Favorire una maggiore integrazione dei residenti stranieri aiuterebbe a prevenire casi di contagio e a risparmiare inutili morti. Ma c’è un punto che non va altresì trascurato: il ruolo del cambiamento climatico e l’aumento delle temperature che rende l’Italia un ecosistema più attraente che in passato per insetti vettori di malattie infettive. Cinque giorni dopo il caso mortale di Trento l’Istituto Superiore di Sanità ha reso noto l’accertamento di tre contagi di chikungunya (probabilmente di più) ad Anzio. Presente in Italia dal 2007, è veicolata dalla zanzara tigre che, importata nel 1990, si è diffusa capillarmente nell’estate 2003. Negli ultimi anni gli inverni miti non sono riusciti a decimarne la popolazione, causandone una più estesa presenza nei mesi estivi.
Come sulla violenza di Rimini (ma rigorosamente solo quella ai turisti polacchi, non alla transgender peruviana) anche sulla malaria di Trento i costruttori di odio hanno cercato di aizzare la guerra tra poveri, facendo leva inoltre sull’incultura scientifica delle masse.
Si richiede dunque un ragionamento di carattere generale: per quale motivo hanno diffusione ancora oggi, in una popolazione istruita, le menzogne che esaltavano le plebi sanfediste contro il vaccino antivaiolo (ops!) e contro l’illuminazione a gas? Molto ha a che vedere con il venir meno della sensazione emotiva del pericolo: pochi e molto anziani sono ormai coloro che ricordano i rastrellamenti nazisti, la morte per tubercolosi della propria mamma, le cene a base di erba per via del razionamento annonario…
Il buonismo (questo sì) diffuso dalle destre negli ultimi quindici anni a partire dall’insegnamento elementare sta dando i suoi frutti promessi.
A pochi giorni di distanza dagli stupri di Rimini, anche il caso della bambina morta di malaria a Trento è stata direttamente collegata dalla narrazione di destra al problema dell'immigrazione. Si tratta ovviamente del solito sciacallaggio ignobile di chi non ha alcun interesse ad analizzare le questioni con giudizio ma solo a provare a incrementare il proprio consenso politico a fini elettorali. Stavolta gli sproloqui leghisti (e non solo) oltre ad attuare una semplificazione imbarazzante sono anche delle sciocchezze del punto di vista scientifico dato che gli esperti concordano nel dire che il pericolo nell'importare la malaria non riguarda tanto i barconi dei migranti quanto molto più frequentemente i turisti che tornano da aree a rischio, anche perché le zanzare portatrici della malaria possono infilarsi nelle loro giacche e nelle valigie e sopravvivere a un viaggio in aereo o su dei container.
In Italia ogni anno si registrano diversi casi di malaria, alcuni di essi mortali. Per quanto resti una tragedia, il decesso della bambina non rappresenta nell'immediato un campanello d'allarme di eccessiva gravità ma deve comunque spingere a una riflessione di medio periodo sul sistema-paese. Se è infatti vero che di malaria si può morire anche nei paesi industrializzati, dobbiamo però anche registrare l'intrecciarsi di due processi preoccupanti: da una parte, la tropicalizzazione del clima dovuta ai cambiamenti climatici renderà presto l'Italia un paese più adatto ad ospitare le zanzare Anopheles, vettori del plasmodio della malaria; dall'altra i tagli alla sanità rendono maggiormente difficile attuare le dovute misure di prevenzione e controllo che sarebbero opportune per prevenire eventuali incrementi dei casi. Invece di accusare senza cognizione di causa i migranti, si dovrebbe reclamare una sanità migliore e programmi di salvaguardia ambientale più severi.
Immagine liberamente tratta www.meltwater.com
Dopo le violenze sessuali di Rimini
Nella notte tra 25 e 26 agosto un branco di quattro persone ha aggredito una coppia di turisti polacchi appartatasi in una spiaggia di Rimini, violentando ripetutamente la donna. Nella medesima notte i quattro si sono spostati sulla Strada Statale, aggredendo con la stessa ferocia una prostituta transessuale. Dato che sono stati immediatamente descritti come maghrebini, prevedibilmente si è scatenata ancora una volta la caccia alle streghe sul tema immigrazione, quando ancora non si era placato l’eco delle intimidazioni a don Biancalani a Pistoia.
Sul dibattito riguardo le ONG
La questione migratoria in Italia continua a essere al centro di vivaci dibattiti politici. In particolare, negli ultimi mesi si è accesa una vigorosa polemica sul ruolo delle organizzazioni non governative che partecipano alle operazioni di salvataggio in mare dei migranti. L'apertura di un'inchiesta da parte della Procura di Trapani sull'operato di alcune persone fisiche appartenenti a queste organizzazioni e di cui si ipotizza il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha sollevato un polverone, peraltro ben presto alimentato dalle dichiarazioni di alcuni esponenti di M5S e Lega che denunciano presunti accordi fra volontari e operatori umanitari con scafisti e trafficanti di uomini.
Da quando con l'estate gli sbarchi sulle coste italiane si sono fatti più frequenti la battaglia di dichiarazioni tra Italia e Austria sulla gestione dei confini e dei flussi migratori si è fatta particolarmente violenta. Paradossalmente, a questo profluvio verbale corrisponde una realtà sostanzialmente normalizzata: sono ormai pochissimi i migranti che tentano il viaggio verso le città austriache o verso Monaco di Baviera via Brennero, in quanto i mezzi di trasporto pubblici per la cittadina di confine sono da mesi pesantemente controllati da polizia italiana e personale FS e raggiungere il confine in altri modi è o molto disagevole o impossibile. I roboanti ultimatum di alcuni ministri austriaci – e le altrettanto precipitose smentite di altri membri dello stesso Governo uscente – riflettono quindi più che altro la situazione di campagna elettorale in cui si trova il Paese, come è stato giustamente notato da molti. Ma, nonostante tutto, la situazione politico-elettorale di oltreconfine è poco conosciuta al di qua del Brennero. Vale la pena provare a diradare un po' di foschia.
Riflettendo sulla proposta del ddl Fiano
Talvolta qualcuno si riferisce a Boeri come ad un Ministro delle Pensioni, scherzando sull'inconsuenta ingerenza del Presidente dell'INPS nel dibattito pubblico. Nelle librerie è uscito anche un suo libro su "Populismo e stato sociale". In generale il tenore medio delle sue dichiarazioni è un misto tra posizioni progressiste ("senza migranti non andremmo avanti") e tesi da anni egemoni (sulla non sostenibilità di un sistema pensionistico che ci avrebbe portato a vivere al di sopra delle nostre possibilità per anni ed anni, leggi qui e qui).
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