Articolo tratto da Il manifesto di venerdì 13 gennaio 2016

Incendio in capannone occupato, muore rifugiato somalo

Ali Muse è morto per colpa dello Stato”, si legge sullo striscione che apre il corteo di un centinaio di migranti prima sotto la Prefettura di Firenze e poi nel cortile di Palazzo Strozzi, dove i richiedenti asilo occupano pacificamente le scale che portano alla mostra sull’emergenza profughi del dissidente cinese Ai Weiwei. L’esposizione resta aperta, nessuno ha il coraggio di dire alcunché ai manifestanti, arrabbiati e addolorati al tempo stesso.

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Un cammino silenzioso, così potremmo definire lo spostamento via terra a piedi dei rifugiati da Siria, Afghanistan e dalle aree coinvolte dai combattimenti in Medio Oriente di questi ultimi anni. Contemporaneamente alle immagini drammatiche che ci giungono ogni giorno dai nostri telegiornali sui naufragi e disperati recuperi dei migranti nel Mediterraneo, un altro dramma si consuma dal Bosforo sino ai Monti Dinarici e oltre.

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Elezioni statunitensi: declino e stallo? (A dieci mani)

I morti dei quali periodicamente parlano i telegiornali e le micro-rivolte (dalla provincia di Ferrara a via XX Settembre a Genova) sono due facce di un problema, quello delle migrazioni (per fame o per guerra) con le quali chi ha avuto la fortuna di nascere in questa parte di mondo deve confrontarsi oggi e dovrà farlo ancora per i prossimi decenni.

Vogliamo provare, questa settimana, ad affrontare razionalmente il tema rifuggendo da narrazioni che, tutte, sembrano mostrare ipocrisia ed inefficacia alla prova pratica.

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La Germania, come potenza imperialista egemone in Europa, unisce alla vocazione al mercantilismo una spiccata propensione al colonialismo come principale metodo per assicurarsi ulteriori materie prime da espropriare e mercati di sbocco per le proprie merci. Così, dopo Renzi e Hollande, anche la cancelliera Merkel non si è astenuta dal tour africano. Il suo tour di tre giorni si è svolto tra il Mali, il Niger e l’Etiopia. Stati scelti non a caso anche da Renzi e che vedono sul proprio territorio una forte presenza militare straniera in continuo incremento. Le ragioni di questa militarizzazione dell’Africa stanno proprio nel crescente dominio da parte dell’imperialismo su quella che resta una periferia scomoda, da sottomettere e difficile da gestire per la propensione crescente all’emigrazione in Europa dei propri abitanti. Infatti, L’UE come principale politica di contenimento dei flussi migratori sta puntando proprio sul ritorno del colonialismo come metodo per “aiutarli a casa loro”, come dice la destra e tenta di fare la sinistra di governo.

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With Refugees: un concerto in occasione della giornata mondiale dei migranti

Secondo le stime più recenti, sono oltre 65 milioni i profughi e rifugiati in fuga dalla guerra o da persecuzioni su base religiosa, etnica, politica. Si tratta di un evento epocale, dalle proporzioni e dalla rilevanza globale. Si tratta soprattutto, di un fenomeno frutto di un sistema-mondo sempre più polarizzato ed iniquo, dove a zone di forte concentrazione di ricchezze si contrappongono vaste aree di povertà ed instabilità in cui è troppo spesso impedita ogni possibilità di portare avanti una vita sicura e decorosa.

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Prendete le più alte autorità europee e inseritele nel contesto di una visita in Vaticano, condite il tutto di conformismo e ipocrisia e avrete una vaga rappresentazione di quanto è accaduto il 6 maggio durante la cerimonia di consegna del Premio Carlo Magno nientemeno che a Papa Francesco. Il discorso del papa, davanti a una platea tra cui il re spagnolo Felipe e il Presidente della BCE, è una lunga invocazione al rispetto dei diritti umani e al ritorno ai valori del Padri fondatori, ma sembra piuttosto velleitario: la citazione di De Gasperi, il richiamo alla solidarietà che non deve diventare elemosina (da che pulpito!), la capacità di integrazione come punto nodale. Insomma, alla luce dei fatti che hanno attraversato la periferia europea, dentro e fuori all'UE, sembra un richiamo isterico e fuori tempo massimo, insomma quanto mai sterile per via dell'avvitamento austeritario delle politiche pubbliche europee e della legittimazione già avvenuta delle barriere lungo la principale traiettoria dei profughi.

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Accordo UE - Turchia sui migranti: ennesima opportunità mancata
Rifugiati e politiche europee. Un’intervista ad Alessandra Sciurba

Oggi, 4 aprile, diventa operativo l’accordo dell’Unione Europea con la Turchia (ne avevamo già scritto qui). L’Europa, hanno sottolineato in molti, risponde alla crisi dei migranti mostrando un volto disumano e irrazionale. L’accordo firmato con la Turchia mette in luce l’assenza di una reale politica europea ed è sbagliato sotto numerosi aspetti.
È sbagliato dal punto di vista del diritto internazionale, perché viola i principi del diritto d'asilo stabilendo procedure che non solo rendono quasi impossibile applicare la Convenzione di Ginevra e tutte le altre norme sulla protezione internazionale, conferendo inoltre alla Turchia un ruolo che non dovrebbe ricoprire in quanto paese che viola i diritti umani. È sbagliato dal punto di vista umano perché assoggetta migliaia di persone a norme inapplicabili in campi profughi che velocemente perderanno ancora di vivibilità; infine, è sbagliato, dal punto di vista economico perché regala alla Turchia molte migliaia di euro a richiedente asilo invece di usarli in Europa per reali politiche di accoglienza.

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Il vertice del Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles il 7 marzo avrebbe dovuto sciogliere il nodo dell'emergenza migranti che l'Europa sta vivendo. Nei fatti, come prevedibile, si è optato per l'ennesima toppa che può arginare il problema, senza però prendere in considerazione né le cause né le conseguenze di queste decisioni.

Il vertice, svoltosi alla presenza dei 28 capi di stato e di governo dei paesi membri e del Primo Ministro turco Davutoğlu, è stato concluso con l'annuncio che l'afflusso attraverso la cosiddetta rotta balcanica (Siria, Anatolia, Grecia) sarà chiusa ma per i dettagli il Consiglio si è aggiornato al 17 marzo. La necessità di un nuovo incontro è dovuta alle nuove richieste messe sul tavolo dalla Turchia: altri 3 miliardi di euro (in aggiunta ai 3 già concordati) per gestire l'emergenza umanitaria, l'eliminazione dell'obbligo di VISA per i cittadini turchi per entrare nei paesi UE già da aprile (invece che in autunno), il rilancio della trattativa per l'ingresso del paese nell'Unione Europea ed infine un accordo che preveda la regolarizzazione su suolo europeo di un rifugiato presente in Turchia per ogni rifugiato riaccolto dal paese dalla Grecia.

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Mercoledì, 02 Marzo 2016 00:00

Sgomberare e sfruttare. A Calais come qui.

Sgomberare e sfruttare. A Calais come qui.

400.000 lavoratori sfruttati nei campi a 2,50 euro l'ora per 12 ore giornaliere, con tanto di pagamento dei costi di trasporto sui luoghi di lavoro e affitto delle baracche, in condizioni abitative, sanitarie e umane al limite della sopravvivenza (clicca qui). La notizia delle condizioni di lavoro di queste persone è arrivata il giorno in cui era programmato lo sgombero di oltre metà del campo di Calais (in foto), ribattezzato "giungla" dal gergo giornalistico che ha dunque già ridotto a subumani i suoi abitanti.

Per quantificare questo esercito di riserva che i capitalisti attraggono e gli Stati accolgono così confortevolmente lasciandolo alla mercé di padroni sempre più vicini allo status di schiavisti potete prendere come unità di misura proprio l'accampamento di Calais. Un campo che è diventato il modello di chi vuole le ruspe sugli abusivi come sfogatoio legalitario-politico e di un'Europa che disegna l'immigrazione come una piaga biblica da cui difendersi, il Belgio stesso d'altra parte ha ripristinato i controlli alla frontiera francese non appena è venuto a conoscenza dell'intenzione di disperdere i migranti accampati.

Questo campo del resto assomiglia ai tanti sparsi per l'Italia e presi di mira dalla destra nazionalista. La retorica, ormai è risaputo nella politica che abbiamo davanti, fa il resto. Ecco quindi che proprio nella Francia dei Je Suis Charlie lo sgombero di un accampamento di migranti diventa nientemeno un'"operazione umanitaria". Ma si sa, i francesi erano umanitari pure nelle loro colonie, non sanno limitarsi ad un intervento singolo, l'estetica dell'atto (reazionario) a loro non piace, son ben più pratici e metodici. Quindi, facendo un rapido riepilogo degli ultimi interventi umanitari sul campo di concentramento di Calais da parte delle forze dell'ordine francesi, si possono contare all'incirca una ventina di operazioni con cadenza quasi settimanale che hanno portato a ridurre il numero della popolazione dagli 8000 di novembre ai 6000 attuali. Ovviamente le immagini degli sgomberi delle tendopoli e delle baracche non sono edificanti per la retorica democratica, quindi raramente vediamo le immagini sui mass media. Tantomeno veniamo a conoscenza delle bastonature.

Tuttavia, negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare di Brexit e nonostante si parlasse quasi solo più della mobilità dei capitali da e verso la city, a quanto pare le persone contavano ancora. Infatti il vero spirito europeista è emerso immediatamente quando il Presidente inglese ha annunciato trionfante l'accordo anti-Brexit con un solidale "abbiamo riconquistato il controllo sulle frontiere, riuscendo a bloccare gli abusi dei lavoratori europei che sfruttano il nostro sistema di welfare". E se gli europei abusano del sistema di tutele britannico, che è noto dai tempi della lady di ferro per essere il meno esteso in Europa, pensate un po' cosa potrebbero fare le orde barbariche accampate a Calais! Ben altri epiteti di ben più antica memoria rispetto a quelli austeritari sarebbero spuntati dalla civilissima dialettica anglo-europea. Poi si è venuto a sapere che in realtà l'obiettivo era la fusione tra quelle che un tempo erano le due più grandi piazze d'affari dopo Wall Street e che oggi devono essere unificate in un'unica grande Borsa europea e l'entusiasmo dell'ideale europeista è svanito e si è tornati agli affari.

Ebbene, tornando invece al problema migranti che nel campo di Calais giustamente sconvolge le ultime coscienze democratiche rimaste in Europa che si preoccupano dell'ultimatum annunciato dal governo francese si scopre che, se si volesse per scrupolo misurare questo esercito di riserva che lavora quotidianamente nell'Italia del post-Expo in fase di ritorno alla pastorizia come unica alternativa programmata alla deindustrializzazione, dovremmo moltiplicare per 66 la popolazione del campo e distribuirla nelle campagne da Nord a Sud e concentrarla in particolare nelle cascine più industrializzate del Made in Italy di qualità. Si scoprirebbe così che l'80% dei lavoratori del settore agorindustriale è composto da manodopera straniera sottoposta a livelli di sfruttamento che l'Occidente benestante aveva dimenticato da oltre un secolo. Lavoratori che sono per lo più intrappolati da un'Europa che non solo ha trasformato i propri confini in barriere naturali contro cui far schiantare popolazioni in fuga, ma che ha iniziato ad erigere barriere materiali sempre più diffuse e numerose al suo interno. Dapprima generosamente offerte agli stati lungo i quali si snodava il flusso migratorio e ora in voga pure in quelli virtuosi come l'Austria.

Ed ecco che, un'altra volta, il destino della Grecia, in procinto di essere circondata dai recinti, sembra diventare sempre più un destino comune al netto delle ultime mosse dell'Austria e della Francia (giusto per non dimenticarci gli involucri umani avvolti nei teli antigelo a Ventimiglia). E questi 400.000 reietti del mondo del lavoro, che neppure la destra osa attaccare più di tanto per le evidenti convenienze, vengono semplicemente dimenticati e lasciati galleggiare o annegare a seconda della forza rimasta ai singoli in un altro mare, fatto questa volta di lavoro, salario e condizioni socio-sanitarie inumane, proprio come a Calais, solo che qui nessun magistrato si sdegna più di tanto e pochi giornalisti vi affluiscono. Vuoi vedere che forse è questa la ragione per cui è meglio evitare le grandi concentrazioni? Oggi abbiamo l'equivalente di 66 campi come quello di Calais, di lavoro questa volta e non di concentramento, dislocati in tutta Italia, ma nessuno li vede. Escono rapporti che presto cadono nel dimenticatoio. Un bel paradosso che tuttavia non fa altro che rappresentare l'economia capitalista in cui la forza-lavoro si vende e si compra liberamente sul mercato, ormai quasi tutto nero. Sarà difficile ottenere maggior flessibilità e produttività di così, ma senz'altro questo limite resta un obiettivo politico da abbattere da parte di chi ci governa, possiamo scommetterci. Si assume esattamente quel paradigma per erodere i diritti rimasti: una maggiore produttività, un minor salario, incrementi di merci vendibili e acquistabili sul mercato. Così esattamente come Cameron individua negli europei in Inghilterra degli indebiti sfruttatori del welfare inglese ridotto all'osso nonostante gli incrementi dei livelli di sfruttamento, oggi possiamo vedere il volto degli indebiti sfruttatori del nostro welfare in qualcun altro, purché non sia identificabile nel padrone ma in un altro il più possibile simile a noi e in quest'ottica rimane ancora molto da erodere: a livello sanitario, abitativo, salariale. Cameron lo sa bene, resta da vedere se quanti festeggiano per gli sgomberi a Calais l'hanno capito.

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Essere stranieri, essere cittadini: un percorso tra nazionalismo e rivendicazione

Quando si parla di migrazioni si parla di flussi, quasi a muoversi fossero correnti e non persone. Si parla di emergenza, come se si parlasse di un fenomeno nuovo, imprevedibile, mai successo nella storia dell'umanità. E si parla di immigrati, come se la loro vita abbia valore solo dal momento che sono sbarcati in Europa.
Tramite questi discorsi (e non solo!) le persone migranti vengono disumanizzate, viste come un tutt'uno omogeneo, un nemico che minaccia l'ordine costituito; questa “massa” porta malattie, dall'ebola alla scabbia, porta terroristi pronti a far stragi nella nostra terra e la loro semplice presenza è una minaccia alla cultura e alla religione autoctona.
Questi ragionamenti purtroppo non sono solo chicchere da bar, ma hanno una rilevante valenza simbolica che interessa non solo il discorso pubblico ma anche la sfera politica e giuridica della società; liquidarle come idee xenofobe, dettate dall'ignoranza e dal populismo potrebbe risultare controproducente, in quanto così facendo si rischia di sottovalutare i rischi che comportano.

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