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Sabato, 09 Gennaio 2016 00:00

Arte, amori proibiti, crisi economica e la seduzione del potere: il 2016 al cinema parte con il turbo

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Arte, amori proibiti, crisi economica e la seduzione del potere: il 2016 al cinema parte con il turbo

Buon 2016 a tutti! Come da tradizione, gennaio è un mese ricchissimo. Ci sarà spazio, tra gli altri, per Tornatore, Inarritu, Boyle, Verdone, O'Russell e tanti altri. Tralasciando Checco Zalone che è tutto tranne cinema, ma solo una furbata televisiva prestata al grande schermo. La prima settimana dell'anno ci porta finalmente l'undicesima trasposizione cinematografica del “Macbeth” di Shakespeare con la straordinaria coppia Michael Fassbender – Marion Cotillard, il melodramma di Todd Haynes, “Carol”, sull'amore tra due donne nella difficile America degli anni 50 e il film evento sulla crisi economica con cast all-star, ovvero “La grande scommessa”. Oltre a tutto ciò, ho recuperato dal 2015 anche “Francofonia” di Aleksandr Sokurov.
Ecco in dettaglio cosa ne penso:

 

FRANCOFONIA – IL LOUVRE SOTTO OCCUPAZIONE ***1/2
(Francia, Germania, Olanda 2015)
di Aleksandr SOKUROV
con Louis-Do de Lencquesaing, Benjamin Utzerath, Vincent Nemeth
Durata: 1h e 27 minuti
Distribuzione: Academy Two
Uscita: 17 Dicembre 2015

A causa della scarsa distribuzione, non ero riuscito a vederlo. Finalmente ho avuto modo di vederlo e non me sono pentito. Ancora una volta il cinema racconta il rapporto tra Storia e Arte; lo scorso anno lo aveva fatto George Clooney in “Monuments Men”. E' un film-documentario da museo in tutti i sensi: preserva e trasuda cultura a ogni inquadratura (rigorosamente in formato 4:3), racconta emozioni passate di uomini e delle loro gesta. Dopo lo straordinario intero piano-sequenza di “Arca Russa” dentro l'Ermitage (2002), il regista russo Aleksandr Sokurov dedica un film intero al Louvre di Parigi e alla sua storia.
“Francofonia” racconta le culture dell'Europa, la conservazione delle opere d'arte, la loro importanza nelle nostre vite. E si chiede cosa sarebbe Parigi senza il Louvre? E San Pietroburgo senza l'Ermitage? Aggiungo: e Firenze senza gli Uffizi? Ma non c'è solo questo: c'è il rapporto conflittuale tra Francia e Germania, la minaccia bolscevica e la sottovalutazione della forza nazista, l'impossibile convivenza tra francesi e tedeschi nel 1940 dopo l'invasione di Hitler, raccontata attraverso il rapporto tra lo storico direttore del Louvre. Jacques Jaujard, e l'ufficiale nazista, il conte Franziskus Wolff-Metternich. Proprio quest'ultimo, amante dell'arte, scelse di lasciare le opere in Francia trasgredendo gli ordini del Fuhrer.
Ma Sokurov è regista e intellettuale troppo raffinato per fermarsi qui. E infatti gioca con la Storia ricostruendola attraverso i suoi protagonisti (vedi Napoleone Bonaparte), ma anche attraverso i volti e i “fantasmi” che popolano le sale dei musei. Una delle parti più divertenti è proprio la parte riservata all'imperatore francese (interpretato da Vincent Nemeth). Dal 1795 in poi Napoleone, operando in varie campagne militari, saccheggiò opere d'arte in tutta Europa (Italia compresa) e rese il Louvre un museo fra i più importanti al mondo. Prima di allora era costituito prevalentemente da reperti delle collezioni borboniche e delle famiglie nobili francesi, oltre che da fondi ecclesiastici. Il difetto del film è rappresentato dal fatto di essere un po' didascalico. Ma in un mondo egoista dove “potere e arte hanno tempi incompatibili”, Sokurov riesce a fare partecipe lo spettatore delle meraviglie del mondo, ricordandogli il senso dell'arte, della cultura e della Storia. Con la S maiuscola. Proprio quello che il cinema e l'arte devono fare.

TOP Il senso del film, la fotografia, i temi di fondo
FLOP E' un film didascalico senza tanti fronzoli e orpelli, la distribuzione italiana ridotta a poche copie

MACBETH ***1/2
(Gran Bretagna 2014)
di Justin KURZEL
con Marion COTILLARD, Michael FASSBENDER, David THEWLIS
Durata: 1h e 53 minuti
Distribuzione: Videa
Uscita: 5 gennaio 2016

Dopo Orson Welles, Roman Polanski, Akira Kurosawa e altre 7 trasposizioni sul grande schermo, il classico di William Shakespeare torna a ruggire al cinema dopo il passaggio a Cannes. Il merito è di Justin Kurzel (prossimo regista di “Assassin's Creed), al suo secondo film dopo “Snowtown”. Girato interamente tra Scozia e Inghilterra, gli ingredienti principali di questa nuova versione sono l'accuratezza linguistica, la componente dark e poi c'è la coppia d'attori del momento, ovvero Fassbender – Cotillard. La storia in molti la conoscono già.
Macbeth (Michael Fassbender) è un valoroso generale dell'esercito di Re Duncan (David Thewlis). Ha ucciso il traditore Macdonwald in una sanguinosa battaglia. Fino a che un giorno tre donne profetizzano che Macbeth e il fedele Banquo saranno prima baroni e poi diventeranno, rispettivamente, Re di Scozia e capostipite di una dinastia di re. I due prendono la cosa poco sul serio, ma poco dopo Macbeth diventa Barone su nomina di Re Duncan. Sorpreso dall'esito della profezia, scrive alla moglie informandola che il re soggiornerà a Inverness, dimora dei Macbeth. La donna (Marion Cotillard) non vede il marito da anni a causa della guerra ed è in lutto per la perdita del loro unico figlio. Lady Macbeth riesce a plagiare il suo uomo. Riesce a fare attuare il regicidio per far sì che suo marito diventi re, vera ambizione nascosta di Macbeth. Ma tutto ciò provocherà delle importanti conseguenze su tutto e su tutti. Anche il nuovo re dovrà fronteggiare i numerosi “gufi” che gli daranno filo da torcere.
Bisogna riconoscere una grande componente di coraggio all'australiano Justin Kurzel. Primo perchè rende fruibile il testo di Shakespeare ai giovani, secondo perchè tenta di modernizzare una tematica quanto mai attuale come la corruzione del potere esercitata sull'individuo onesto. Grazie alla fotografia efficace di Adam Arkpaw (“True Detective”), l'opera diventa veramente interessante. Sembra un po' “Breaveheart” (l'ambientazione, le battaglie, i costumi), un po' “Il gladiatore” (vedi scene del regicidio e quella nel bosco) con accenni di graphic novel alla “300”. Il tutto mantenendo il testo originale con atmosfere cupe, viscerali. Niente di nuovo, insomma. Però la messa in scena è sublime con le contrapposizioni cromatiche piuttosto esibite tra il grigio degli esterni e il giallo fiamma degli interni per poi passare direttamente al rosso, simbolo del sangue, ma anche del fuoco. Il resto è reso estremamente interessante da una coppia di attori sublimi: Michael Fassbender dà parecchie sfumature al suo personaggio che da valoroso e onesto guerriero si trasforma in un oppressivo tiranno assetato di sangue, Marion Cotillard non è mai stata così glaciale e così (esteticamente) bellissima. Non è un caso che la macchina da presa indugi spesso sui primi piani (con corposi rallenty annessi) di questi due fantastici attori, tra i migliori al mondo della generazione nata negli anni '70.
Sicuramente è un film di solido impianto teatrale dove la messa in scena (cinematografica) finisce per convogliare il film su determinati binari, nel bene o nel male.


TOP La fotografia, Michael Fassbender e Marion Cotillard straordinari, i temi attuali dell'opera
FLOP Alcune scelte legate alla messa in scena potrebbero scontentare una parte del pubblico

CAROL ****
(USA 2015)
di Todd HAYNES
con Cate BLANCHETT, Rooney MARA, Sarah POULSON
Durata: 1h e 58 minuti
Distribuzione: Lucky Red
Uscita: 5 gennaio 2016

Finalmente esce in Italia uno dei titoli più attesi di Cannes 2015, grazie a Lucky Red. Traendo linfa dal romanzo “The price of salt” di Patricia Highsmith (autrice anche di Mr Ripley), Todd Haynes regala ancora del grande cinema. Ancora una volta al centro della narrazione di questo grande regista (dichiaratamente omosessuale), ci sono dei personaggi femminili. Donne forti, emancipate, soffocate da mariti oppressivi. Un film che è senza ombra di dubbio speculare al precedente “Lontano dal paradiso”. Qualche eccesso di zucchero c'è, ma la pillola va giù più che bene.
Questa volta al centro di tutto c'è Carol (una sontuosa Cate Blanchett, sullo stile di “Blue Jasmine”). Nel bene e nel male. Siamo nell'America degli anni '50. All'epoca c'erano diversi tabù: l'amore omosessuale, la libertà della moglie di agire senza l'assenso del marito erano alcuni di essi. Carol è una donna bella, bionda, elegante e perfino borghese, intrappolata in un matrimonio ormai al capolinea. L'unico interesse è il bene della figlia Randy. Un giorno però l'io interiore e l'apparenza entreranno in conflitto per colpa di una ventenne: Therese Belivet (una sublime Rooney Mara, premiata a Cannes come miglior attrice). E' una giovane impiegata dalla carnagione bianchissima che lavora in un grande magazzino a Manhattan. Carol entra nel negozio per compare un regalo di Natale alla figlia. Boom! Cupido lancia la sua freccia. Gli occhi di Therese si illuminano (caratteristica principale del viso di Rooney Mara), Carol inizia a capire che dietro alcuni gesti della ragazza ci sia qualcosa. Anche lei, come Carol, è ingabbiata in una relazione non particolarmente gratificante e in un lavoro non particolarmente piacevole.
Una ragazza dalle umili origini (cecoslovacche), sbarcata in America con l'ambizione di diventare una fotografa. Il loro incontro provoca una forte scossa a entrambe provocando attrazione e una grande intesa. Purtroppo però Carol non è libera e deve fare delle scelte, sfidando le apparenze della società e soprattutto una battaglia molto dura: quella contro la dittatura della cultura domestica degli anni Cinquanta.
Un film praticamente perfetto, quello di Todd Haynes. Non si parla solo di amore omosessuale, ma di una bella riflessione sull'estetica, sul piacere e sul gusto artistico (cinema, fotografia). Basta pensare alla scena di nudo che coinvolge entrambe (la scena cult del film che sembra un dipinto rinascimentale), ai primi piani di Carol e Therese che dal taxi o dall'auto guardano il mondo esterno con stupore, con le occhiate emozionali. La messa in scena è straordinaria: soffice, con un po' di melassa che ti fa respirare il clima d'amore fra le due. E non importa che siano donne. E' facile per lo spettatore immedesimarsi nelle loro situazioni. La loro voglia di uscire dalle rispettive gabbie è contagiosa, seguendo la straordinaria lezione del regista tedesco Fassbinder. Il cinema italiano ha tentato recentemente (con “Io e lei” di Maria Sole Tognazzi) un'operazione del genere, ma ha fallito perchè non ha fatto respirare il clima d'amore tra le due donne. Nell'unica scena intima tra la Ferilli e la Buy compare un gatto che ruba la scena. Roba che andrebbe bene per Studio Aperto o per il TG1. Inoltre Margherita Buy sembra perennemente a disagio. Invece “Carol” riesce ad entrare dove “Io e lei” non è riuscito a farlo: nei corpi, nelle frustazioni, negli sguardi di due straordinarie attrici. Cate Blanchett ormai non fa più notizia, mentre Rooney Mara è sicuramente da tener d'occhio. E' una donna tosta, timida e introversa, ma che non ha problemi a mettersi a nudo davanti alla camera (vedi “Millennium” di Fincher), tanto che numerosi registi se la contendono. Meritato il premio a Cannes. Andate a vederlo in lingua originale per comprendere meglio determinate sfumature della recitazione. Ce ne fossero film di questo tipo. Altro che Zalone...

TOP I costumi, la scenografia e la ricostruzione ambientale, i temi importanti. La coppia Rooney Mara – Cate Blanchett vale la visione.
FLOP La narrazione a tratti è lenta. Qualche eccesso di zucchero.

LA GRANDE SCOMMESSA (“The big Short”) ****
(USA 2015)
di Adam McKAY
con Christian BALE, Brad PITT, Steve CARELL, Ryan GOSLING, Marisa TOMEI, Melissa LEO
Durata: 2h e 10 minuti
Distribuzione: Universal Pictures
Uscita: 7 gennaio 2016

Dopo gli ottimi Capitalism a love story, Wall Street, Inside Job, Margin Call e The Wolf of Wall Street, ecco un'altra opera che parla di derivati, operazioni finanziarie, gente truffata, crisi, speculatori, banchieri e quant'altro. Ispirandosi al bestseller “The big short” di Michael Lewis, il regista di commedie demenziali Adam McKay diventa un autore vero regalando momenti di grande cinema, basandosi sulle lezioni degli anni '70.
Veniamo alla storia. 2005. Il mercato immobiliare americano era stabile e florido. Chiunque chiedesse un mutuo, preferibilmente a tasso variabile, era sicuro di ottenerlo. L'eccentrico broker Michael Burry (Christian Bale), gestore di un fondo d'investimento, decise di scommettere contro il sistema attraverso la creazione di un prodotto chiamato CDS. Aveva capito tutto. Il sistema stava divenendo instabile, a causa della vendita di prodotti finanziari “dopati” o, se preferite, tossici. La “bolla” stava per scoppiare. Ovviamente tutti gli risero dietro. Il Governo americano aveva detto che il sistema era sano, non poteva fallire. Tra il 2006 e il 2007 francamente era inconcepibile che JP Morgan, Lehman Brothers, Moody's e altre importanti banche avessero dei conti così distrastrati. Roba da decine di miliardi di dollari. Intanto l'investitore Jared Vennett (Ryan Gosling con parrucchino nero) capisce che Burry dice la verità. Contemporaneamente, si unisce a loro anche il trader Mark Baum (Steve Carell) e la sua squadra di investitori. Questi ultimi scoprono che il crollo incombente del mercato verrà accelerato dalla vendita di obbligazioni di debito collateralizzate (CDO). Roba spacciata per buona, che invece si può identificare come la più comune sostanza organica di colore marrone.
Si danno da fare per convincere la gente a fare come loro, investendo sui credit default swap (quelli creati da Burry). La corruzione è spaventosa, il sistema è fraudolento, ma nelle banche il silenzio è sovrano. Contemporaneamente, due giovani investitori scoprono un volantino di Vennett. Sono indecisi sul da farsi. Si mettono in contatto con un ex banchiere in pensione, Ben Rickert (Brad Pitt). I due fanno affari con successo traendo vantaggio dal collasso del sistema economico. Riusciranno tutti i nostri “eroi” (con macchia) a far capire la gente in tempo?
“La grande scommessa” prende lo spettatore in controtempo, presupponendo che non sappia niente di prodotti finanziari, derivati e quant'altro. I dialoghi serrati a volte sono incomprensibili, tuttavia si resta inchiodati alla poltrona perché il film svela il funzionamento della macchina dalla quale dipendiamo tutti. Per questo motivo ogni tanto alcune celebrity come Margot Robbie (la bionda di “The wolf of Wall Street”) e la popstar Selena Gomez ci danno alcuni “bignami” di concetti tutt'altro che facili da comprendere. Ritmo indiavolato, montaggio alla “Ocean's Eleven”, scrittura alla Aaron Sorkin, cast di star dove spiccano, nuovamente in un ruolo drammatico, lo straordinario Steve Carell, il gasato Ryan Gosling e l'eccentrico Christian Bale. Una commedia grottesca di gran qualità (piuttosto inquietante) che dovrebbe esser vista da molte persone. Soprattutto quelle che credono che il sistema bancario sia sano, quelli che pensano che siamo in mani sicure. Come sosteneva Mark Twain “non è ciò che non sai a creare guai, ma ciò che dai per scontato”.
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TOP Molte scelte registiche, la performance di Steve Carell, la capacità del film di coinvolgere nonostante la difficoltà dell'argomento, i temi di fondo della storia decisamente ben scritta, la colonna sonora rock
FLOP Alcuni elementi troppo “sopra le righe”, rigorosamente all'americana

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Ultima modifica il Venerdì, 08 Gennaio 2016 16:07
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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