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Sabato, 07 Aprile 2018 00:00

Quel posto (non tanto) tranquillo chiamato Wind River

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Quel posto (non tanto) tranquillo chiamato Wind River

Da oggi inizia un aprile ricchissimo (e variegato) di titoli importanti, prima di culminare a maggio con il Festival di Cannes. Questa settimana vi parlerò di due thriller molto affascinanti con budget ridotti che parlano del silenzio, delle nostre paure e della claustrofobia: I segreti di Wind River (costato 11 milioni di dollari ) che vede l'esordio alla regia di Taylor Sheridan (sceneggiatore di Sicario), premiato al festival francese nel 2017 nella sezione Un Certain Regard, e la terza prova registica dell'attore John Krasinski (Promised land) che si prende il lusso di dirigere sua moglie Emily Blunt in Un posto tranquillo (costato 20 milioni di dollari). Il cinema di qualità si può fare anche con budget contenuti. A voi le recensioni!

I segreti di Wind River

Il thriller è sempre stato uno dei generi cardine del cinema perché ci ha rivelato le tante sfaccettature dell'essere umano, del suo lato più oscuro, dei suoi segreti. Lo sceneggiatore Taylor Sheridan lo sa bene. Sicario, il suo sequel Soldado (arriverà al cinema il 18 ottobre 2018, diretto dal nostro Stefano Sollima), Hell or High Water sono dei precedenti importanti.

I segreti di Wind River è il terzo tassello della trilogia della frontiera americana (dopo Sicario e Hell or High Water), nonché la sua opera prima da regista. Ancora una volta tutto il potenziale di questo genere è espresso alla grande, mescolato a punte di noir/western contemporaneo (sullo stile di Redivivo di Iñárritu o del recente Hostiles di Scott Cooper). D'accordo, non sarà un'opera originale, ma è intensa, potente, dolorosa, spietata, cruda, senza via d'uscita

I segreti di Wind River è un film sulla lunghezza d'onda de L'uomo di neve, ma, a differenza della trasposizione del libro di Jo Nesbø, riesce ad andare in profondità scavando nelle ferite dei personaggi.

Siamo in una riserva indiana, in mezzo alle montagne del Wyoming. Sembra di essere in un romanzo di Cormac McCarthy, in mezzo alla natura selvaggia. Le persone sono "impantanate nel fango della realtà". La fotografia di Ben Richardson è gelidissima e trasmette il concetto allo spettatore. Tutto è bianchissimo perché c'è una spessa coltre di neve che ricopre l'intera zona. Girare in questo contesto ambientale è decisamente difficile e quindi la logistica del lavoro merita ampi riconoscimenti.

Gli spazi sono ampissimi, come in Sicario, e le abitazioni sono spazi chiusi al limite della claustrofobia. L'uomo è un puntino in mezzo alla natura. Ma se si guarda bene, in mezzo a tutto questo candore, c'è più di qualche macchia.

In questo panorama, c'è una giovane recluta dell'FBI, Jane Banner (Elizabeth Olsen, la Scarlet Witch degli Avengers), che incontra un cacciatore solitario con la tuta bianca e un fucile. Il suo nome è Cory Lambert (Jeremy Renner di American Hustle, The Hurt Locker, ma è anche l'Occhio di Falco degli Avengers). I due hanno un'intesa non proprio eccelsa, entrano in contatto casualmente, stile Jodie Foster e Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme. Lui ha trovato il cadavere della figlia di un amico, la diciottenne Natalie Hanson. Si sente emotivamente coinvolto perché gli ricorda la scomparsa di sua figlia, che ancora non ha metabolizzato. Jane, del tutto impreparata, è stata mandata dall'FBI sul luogo del delitto senza supporto ("in questa terra non ci sono rinforzi. In questa terra si è da soli"). La ragazza però ha fegato (come Emily Blunt in Sicario) e, sfidando le convenzioni, crea una sorta di task force con la gente del posto e con l'aiuto di Cory.

L'assassino si nasconde tra i ghiacci, ma c'è anche l'ostilità dei locali che non parlano volentieri con gli sconosciuti, figuriamoci con i poliziotti. E poi ci sono uomini che odiano le donne, come nel romanzo di Stieg Larsson. Gli abusi sessuali, le violenze fisiche, la sparizione e l'uccisione di molte di loro sono un problema sociale da non sottovalutare. Nella desolata provincia americana (già descritta da Sheridan in Hell or High Water) la gente è dimenticata, i ragazzi sono perduti, la violenza, la follia, la disperazione e la giustizia fai da te dilagano. "Qui la fortuna non arriva" - dice Cory a Jane. Il crimine paga bene (come ai confini con il Messico di Sicario) e lo Stato è assente.

I muri di Trump non sono fisici, ma mentali e tramandati di generazione in generazione.

«È un luogo brutale, dove il paesaggio stesso è un antagonista. È un luogo in cui la tossicodipendenza e gli omicidi uccidono più del cancro, e lo stupro è considerato un rito di passaggio per le ragazze per diventare donne. È un luogo in cui le leggi dello Stato lasciano spazio alle leggi della natura. Nessun posto in Nord America è rimasto così invariato nel secolo scorso e nessun posto in America ha sofferto tanto dei cambiamenti che vi hanno avuto luogo» - ha detto Sheridan in un'intervista alla stampa.

Jane e Cory inizieranno ad indagare. Da indistruttibili Avengers, la Olsen e Renner (una delle sue migliori interpretazioni) qui sono piuttosto vulnerabili. Il loro rapporto non è per niente sentimentale, ma è solo un normale rapporto umano basato sulla collaborazione reciproca. Il film diventa un urlo di dolore, uno straziante grido contro le ingiustizie. Sheridan, alla sua prima regia (premiata a Cannes 2017 nella sezione Un Certain Regard), ci regala un'opera sorprendente, stordente, classica e ben confezionata sulla scia di modelli di cinema alti: dal Silenzio degli innocenti a Il collezionista di ossa (ancora una donna inesperta, la Jolie, che aiuta nelle indagini un uomo esperto ma infermo, Denzel Washington), da Fargo dei fratelli Coen a Il senso di Smilla per la neve. Senza dimenticare il viaggio interiore di Sean Penn in This Must Be the Place di Paolo Sorrentino e il memorabile Nella Valle di Elah di Paul Haggis.

Questo è grande cinema. Peccato che, come al solito, arrivi in Italia con un ritardo mostruoso rispetto al resto del mondo (negli Stati Uniti è uscito ad agosto 2017). Ma andate a vederlo sul grande schermo per avere la sensazione descritta abilmente da Taylor Sheridan, non a caso premiato a Cannes per la miglior regia (seppur non nel concorso principale). E occhio alle didascalie finali...


I SEGRETI DI WIND RIVER **** (Gran Bretagna, Canada, USA 2017)

Titolo Originale: Wind River

Genere: Noir, Thriller, Western.

Regia e sceneggiatura: Taylor SHERIDAN.

Fotografia: Ben RICHARDSON.

Cast: Elizabeth OLSEN, Jeremy RENNER, Julia JONES.

Musiche: Nick CAVE.

Durata: 1h e 51 minuti.

Distribuzione: Eagle Pictures, Leone Film Group.

Trailer: youtu.be/WPMagMLAz-g.

Uscita: 5 Aprile.

La frase cult: «In questa terra non ci sono rinforzi. In questa terra si è da soli».


TOP

- Jeremy Renner è al top della forma, Elizabeth Olsen è sulla scia di Emily Blunt di Sicario. Dimenticate gli Avengers, qui sono due (anti)eroi vulnerabili e fragili.

- La descrizione della desolata provincia americana (solitudine, violenza, muri mentali, ostilità).

- La fotografia gelida di Ben Richardson che trasmette il freddo e l'ampiezza degli spazi.

- I temi sociali descritti accuratamente da Taylor Sheridan.

- Sheridan, dopo le ottime sceneggiature di Sicario e Hell or High Water, chiude la trilogia della frontiera con la sua opera prima da regista.

- L'uomo come un piccolo puntino all'interno di spazi ampissimi.

- Gli omaggi al cinema e alla letteratura: Il collezionista di ossa, Il Silenzio degli innocenti, Millennium - Uomini che odiano le donne, Fargo, Nella valle di Elah e i romanzi di Cormac McCarthy

- La commistione di temi cari al western contemporaneo con gli elementi del thriller classico.

- Le didascalie finali portano alla luce un fenomeno già affrontato in Hostiles di Scott Cooper.

FLOP

- Qualche personaggio di contorno non è particolarmente approfondito.

- Se siete suscettibili a scene forti, non è un film per voi.

- A questo film manca l'epica per esser considerato un vero e proprio western.

- In Italia il film arriva con un ritardo mostruoso rispetto agli altri Paesi.



A Quiet Place - Un posto tranquillo

La comunicazione è tutto oggi.

John Krasinski (già attore in The Promised Land, Detroit, American Life) non ci ha proprio capito nulla perché ha fatto un film sul silenzio. E invece ha avuto ragione lui. Siamo noi criticoni a non capirci nulla. Di solito la totale assenza di rumore, suoni, grida dà sensazione di quiete e benessere. Il silenzio è ossigeno. Krasinski ci gioca sopra con ironia producendo un piccolo grande film che ribalta questo concetto e scava nel profondo, prendendo spunto dalle atmosfere dei romanzi di Cormac McCarthy (Non è un paese per vecchi), dai film più belli di M. Night Shyamalan (Signs e il fenomenale The Village) e omaggiando il cult Stand by Me di Rob Reiner. Senza dimenticare il cult di Ridley Scott, Alien.

Che cominci il gioco del silenzio.

Io ho già perso, mi avevano scambiato per un minore di 14 anni.

Se urlate siete finiti, se parlate vi potrebbero sentire. "I muri hanno orecchie" - diceva Sean Connery a Kevin Costner ne Gli intoccabili. Meglio uscire. Purtroppo fuori ci sono mostri dall'udito più fine di quello di Superman che sentono tutto: movimenti, parole, urla. Per cui non fate rumore, restate sempre sul pezzo, non fate movimenti bruschi, non provate emozioni, non fate il passo più lungo della gamba, abbassate i decibel.

Camminate scalzi, in punta di piedi e non pestate le righe delle mattonelle del pavimento. Reprimete tutto: sentimenti, crisi interiori, pensieri, gioie e dolori e soffocateli ben bene. Il massimo che potete fare è ascoltare un po' di rock (la splendida Harvest Moon di Neil Young, come i protagonisti del film), ma a volume basso con delle cuffiette, naturalmente, e non mettete le hit italiane del momento, altrimenti i mostri vi mangiano in un sol boccone (e ne avrebbero ben d'onde). Qualcuno mi suggerisce che si potrebbe usare Gigi D'Alessio come arma di distruzione, ma queste bestie feroci sono infallibili e assatanate. Nemmeno 3 cd senza pausa del cantautore partenopeo possono distruggerle, anzi si arrabbierebbero di più (e avrebbero perfino ragione).

Ma veniamo al film. Siamo in un 2020 apparentemente lontano. La Terra, come anticipato, è occupata da creature mostruose e letali dotate di udito sopraffino. L'ordine per i terrestri è "rimanete in silenzio, rimanete vivi". La famiglia Abbott, composta da Lee (il regista Krasinski), Evelyn (La ragazza del treno Emily Blunt, nonché futura Mary Poppins) e la figlia Regan (la sordomuta Millicent Simmonds), è bloccata nella sua casa di campagna.

Le luci sono soffuse e quando diventano rosse, l'imperativo è... SCAPPATE! Si parlano solo a gesti, stridendo i denti o attraverso i movimenti oculari. Ma più che un tranquillo weekend di paura, qui i giorni in trappola cominciano a diventare parecchi: più di 470! Ogni oggetto, anche il più minuscolo (vedi pedine del Monopoli), è stato imbottito per evitare il minimo rumore (una delle tante intuizioni del film). Peccato che mamma Albott sia al nono mese di gravidanza e stia per partorire Marcus (Noah Jupe di Wonder). Scelta dei tempi magistrale per i poveri Lee e Evelyn. Non potevano trovare momento migliore per mettere al mondo un pargolo. In realtà Krasinski fa una cosa semplice e magistrale allo stesso tempo: i mostri vanno affrontati, capendo il perchè della situazione.

“Che cosa siamo se non possiamo proteggere le nostre creature?” - domanda Evelyn disperata. Ed è proprio questo il tema vero del film. Insieme all'incomunicabilità che diventa il protagonista reale della storia: in un'epoca dove la comunicazione è tutto, non sappiamo più rapportarci e capirci. John Krasinski e Emily Blunt sono una coppia anche nella vita reale. E hanno pure due figlie (Hazel e Violet), casualmente. La tensione, le ansie della loro vita familiare, le insidie dei rapporti interpersonali durante la crescita sono traslate sul grande schermo. L'apocalisse è un pretesto per parlare di famiglia, politica, diseguaglianze sociali e di solitudine. E poi c'è una società frenetica e rumorosa, dominata da grida, tv e smartphone sempre accesi e connessi, talk show dove la gente si massacra verbalmente, strade congestionate dal traffico.

Come diceva Servillo nello splendido Viva la libertà, "la paura è la musica della democrazia". La minaccia dei mostri ce la siamo creata.

Dal punto di vista tecnico ogni dettaglio è curato al millimetro: la fotografia della danese Bruus Christensen (Il sospetto) crea la giusta atmosfera per il racconto, gli effetti speciali non sono invasivi, la scenografia è imponente, il sonoro è quasi un miracolo (considerate che per l'80% del film non parlano) ed è un personaggio del film perchè crea suspance e tensione, gli attori sono molto bravi (Krasinski e la Blunt sono molto affiatati, si vede che sono una coppia).

Quando sono andato al cinema, il fenomeno mi era abbastanza chiaro. Non mi sono dovuto sforzare più di tanto. Mi sono tornati in mente quei paesini dormitorio di provincia dove non c'è traccia di vita tutto il giorno, specie nei giorni feriali. Poi improvvisamente la sera il parcheggio della piazzetta è stracolmo perchè tutti sono tornati da lavoro. Le luci delle abitazioni sono accese per qualche ora e allora si capisce che, forse, qualche forma di vita esiste (sempre che vogliate chiamarla tale). Come cantavano, ironicamente, i R.E.M. nel 1987: it's the end of the world as we know it. And we feel fine?


UN POSTO TRANQUILLO ***1/2 (USA 2018)

Titolo originale: A Quiet Place

Genere: Thriller, Horror.

Regia: John KRASINSKI.

Sceneggiatura: Scott BECK, John KRASINSKI, Bryan WOODS.

Fotografia: Charlotte BRUUS CHRISTENSEN.

Cast: John KRASINSKI, Emily BLUNT, Noah JUPE, Millicent SIMMONDS.

Durata: 1h e 35 minuti.

Produzione: Paramount Pictures Distribuzione, 20th Century Fox,

Uscita: 5 Aprile.

Trailer: youtu.be/078_Fp2Ou2k.

Vietato ai minori di 14 anni.

La frase: «Rimanete in silenzio, rimanete vivi».


TOP

- Il sonoro di questo film è un personaggio, nonostante ci siano pochissimi dialoghi. La tensione è protagonista del film.

- Millicent Simmonds è davvero sordomuta. Non recita, ma fa sè stessa così come Krasinski e la Blunt che fanno coppia nella vita reale.

- La fotografia della danese Bruus Christensen, già magistrale in La ragazza del treno" e Il sospetto, disegna perfettamente lo stato d'animo dei protagonisti.

- Emily Blunt bravissima, soprattutto nella "scena della vasca".

- Gli omaggi a The Village, Signs e Stand by Me.

- Krasinski dirige se stesso e sua moglie Emily Blunt: sul set come nella vita reale. Una sfida vinta.

- I temi del film (famiglia, protezione, crescita, comunicazione, incomunicabilità).

- Con soli 20 milioni di dollari, Krasinski fa un film attuale, visionario e folgorante.

- Finalmente un film scritto molto bene che esalta il senso della suspance e del pericolo.

FLOP

- Qualche colpo di scena un po' prevedibile e la scarsa originalità della storia.


Immagine di copertina liberamente ripresa da www.vox.com, locandine liberamente riprese da www.comingsoon.itwww.lettera43.itwww.magazzininesistenti.it, www.ivid.it, www.i-filmsonline.com, immagine nel corpo del testo liberamente ripresa da collider.com

 

Ultima modifica il Venerdì, 06 Aprile 2018 18:55
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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