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Martedì, 14 Novembre 2017 00:00

CasaPound: un problema loro o nostro?

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CasaPound: un problema loro o nostro?

La visibilità di CasaPound è un problema nato per il vuoto della sinistra o per la compiacenza del sistema di informazione? 

Simone Di Stefano è spesso ospite di trasmissioni televisive in buone fasce orarie (l'ultimo invito in ordine cronologico è quello da Lucia Annunziata domenica 12 novembre, su Rai Tre). Mentana, Formigli e Parenzo hanno invece direttamente accettato l'invito ad un confronto con il vicepresidente dei "fascisti del terzo millennio". 

Una forza politica dello 0,14% (47.691 alla Camera nel 2013) gode di una visibilità invidiata da molte e molti. A fasi alterne questa organizzazione torna al centro dell'attenzione, nonostante in molti invitino a ignorare direttamente un fenomeno il cui radicamento in alcuni pezzi di società è però innegabile.

L'evento che ha ridato centralità a CasaPound è in realtà un episodio condannato all'unanimità dal sistema, da cui persino Di Stefano ha preso le distanze: il pestaggio di un giornalista, ripreso in diretta, ad Ostia ad opera di Roberto Spada, i cui legami criminali sono al centro di alcune inchieste su quotidiani e televisioni. Tra il suo clan e i neofascisti ci sarebbero dei legami evidenti, proprio nel comune in cui "la tartaruga" ha registrato il 7,69% alle amministrative di pochi giorni fa (complice un'astensione molto alta). 

Che le serie televisive, il cinema e i romanzi si siano occupati di denunciare la degenerazione di una situazione solo in parte romana, pare non sia servito a molto. Corruzione, criminalità e fascismo nel cuore della politica nazionale...


Niccolò Bassanello

L'aggressione di un giornalista da parte di Roberto Spada, il cui sodalizio sarebbe secondo molti contiguo ad elementi del neofascismo locale, dimostra ancora una volta una verità che gli antifascisti denunciano da tempo: l'estrema destra italiana, lungi dall'essere un'area politica – per quanto ispirata da ideali ripugnanti – è in certi settori a tutti gli effetti una forma di criminalità organizzata, e come tale andrebbe trattata. Anche chiudendo gli occhi sulle torbide trame passate – che si dipanano tra le bombe della strategia della tensione e le droghe pesanti – casi come quello di Ostia, le spedizioni squadriste ed i pestaggi premeditati e organizzati, cresciuti in proporzionalità diretta con il radicarsi del neofascismo negli ultimi anni, dovrebbero di per sé togliere ogni dubbio anche al pubblico più stoltamente voltairiano.

E invece...

Invece capita di veder pubblicizzati i “confronti” tra neofascisti e un “illustre” collega dell'aggredito, Enrico Mentana, o di dover assistere al triste spettacolo di una giornalista del servizio pubblico televisivo che intervista un noto estremista della destra extraparlamentare. Non è certo una novità: buone fette di classe intellettuale si sono prestate, prima delle Annunziata e dei Mentana, al format del “confronto con il mostro”, beandosi della propria presunta superiorità intellettuale e schermendosi dietro il paravento del “confronto tra idee”. Retorica che, dati gli episodi sinteticamente ricordati sopra, non può non risultare profondamente ipocrita.

Se da simili operazioni narcisistiche esce rafforzato l'ego di qualche intellettuale liberal nostrano, esce rafforzata anche anche l'immagine di “cattivi non conformi” antisistema degli esponenti più in vista dell'estrema destra. Questa estetica è fondamentale da un lato al marketing politico che vende il brand dell'estrema destra agli energumeni frustrati e agli sprovveduti che vanno a costituire la manovalanza dell'associazionismo neofascista, dall'altro lato all'opera di canalizzazione delle peggiori pulsioni che sta alla base dell'infantile rivolta autodistruttiva abbracciata da fasce sempre più consistenti di una massa confusa e impoverita, tanto in Italia quanto altrove. 

In questo quadro, ancora una volta, estirpare con ogni mezzo necessario le basi ideologiche, organizzative, sociali ed economiche del neofascismo, quindi – per davvero, non in prima serata – dovrebbe costituire una priorità assoluta di tutte le forze politiche che non vogliano conformarsi alla barbarie neofascista.


Alex Marsaglia

"Qua in teoria si potrebbe dare un colpo alla Raggi. E invece niente. Dormiamo” sono le lungimiranti parole del senatore PD Stefano Esposito (sic!), commissario del partito a Ostia commissariato nella città a sua volta commissariata per mafia. Un bell'intreccio che il Mentana, dall'alto delle sue poltrone da alto papavero del giornalismo progressista, rinuncia a raccontare, preferendo vendere facili scoop ad un pubblico che troppo facilmente si lascia lobotomizzare. 

Dove il Movimento 5 Stelle prese un esplosivo 75 per cento alle comunali del 2016 e l'astensione oggi raggiunge due persone su tre non c'è spazio per il superficialismo nelle analisi. Le lacune di una sinistra totalmente fuori dalle necessità di una periferia in affanno lasciano autostrade a movimenti come CasaPound e al populismo. Le necessità occupazionali sono totalmente dimenticate e nei programmi politici troppo spesso a sinistra ci si concentra su problematiche astratte, effimere e calate dall'alto, assecondando il degrado anziché arginarlo.

Alle ultime elezioni ad Ostia abbiamo assistito ad una forte flessione persino del M5S, con una crescita notevole di CasaPound giunta alle porte del 10%. Infondo nulla di stupefacente, si tratta semplicemente della ricerca dell'elettorato di alternative. Un movimento di estrema destra strutturato riesce quindi non solo a rispondere ad esigenze occupazionali e della vita quotidiana, ma anche, di conseguenza, ad ottenere un forte consenso. Su questi eventi c'è molto da riflettere, per chi riesca a spingersi oltre ai pochi fotogrammi di un video. C'è un quartiere di 80mila anime che ha fame e rivendica lavoro, un quartiere finito in mano alla forza del ricatto che dice: "Roberto Spada ci dava lavoro, è una brava persona". Nella periferia di "Roma Capitale" questa è la situazione e la sinistra non sa fare altro che rivendicare legalità e rifugiarsi in grida isteriche su quanto sia importante l'antifascismo, senza accorgersi di quanto sia autoreferenziale questa risposta per la pancia della società che chiede risposte concrete.


Dmitrij Palagi

La corruzione accettata di fatto come dato strutturale, il fascismo come problema del passato ormai esaurito, la violenza come problema solo da reprimere (con altra violenza), l'astensione comoda per praticamente tutte le forze politiche, in tempi di partecipazione fluida... tutto questo concorre a rendere poco credibile l'isteria del sistema di informazione intorno al brutto episodio subito dal giornalista ad Ostia.

Il giornalismo di inchiesta ormai sembra indirizzarsi verso antenne indignate sature, l'indifferenza pare paralizzare qualsiasi reazione necessaria alla condizione attuale.

Fortuna vuole che l'estrema destra non goda di diretto sostegno in termini di massa, relegando CasaPound, Forza Nuova e altre sigle a fenomeno di piccolo rilievo, nonostante i contenuti egemonizzino Lega Nord, Fratelli di Italia, Forza Italia, parti rilevanti del Movimento 5 Stelle e sempre più settori del Partito Democratico.

Una progettualità ancorata al sociale e capace di interloquire con la realtà, rifiutando il piano dell'estremismo del politicamente corretto, l'inseguimento della barbarie, l'adeguamento del linguaggio all'analfabetismo, la difesa del sistema di cose presenti, potrebbero essere l'unica soluzione.

Altrimenti Netflix produrrà un'altra serie e dopo il telegiornale lo spettatore indignato si commuoverà al funerale del boss seriale (televisivo) di turno.


Jacopo Vannucchi

Il 30 settembre 2013 Giuseppe Grillo e Roberto Fico, quest’ultimo Presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza radiotelevisiva, guidarono molti parlamentari del M5s in una manifestazione sotto la sede Rai. Grillo avvertì i dirigenti del servizio pubblico: «Verremo a prendervi sotto casa» (niente, invece, circa le reti private). 

All’epoca mi fu chiaro che tale comportamento squadrista poteva essere possibile solo in un contesto di esplicita connivenza di infedeli apparati dello Stato. Sicuramente analoghe minacce da parte del sottoscritto varrebbero una denuncia e, in casi gravi, la detenzione.

Le minacce ai giornalisti sono state ripetute sabato scorso, 11 novembre, da militanti M5s in una manifestazione teoricamente convocata per dire «no alla violenza fascista e mafiosa» dopo il brutale ferimento di un giornalista da parte del reggente del clan Spada, già sostenitore entusiasta del M5s e di Alessandro Di Battista in particolare (sue parole del giugno 2015: «se sei mafioso veramente, uno deve vota’ Pd. Siccome nun me sento mafioso voto Movimento 5 stelle»).

A quanto pare gli Spada hanno poi siglato un accordo con CasaPound, che per orientamento politico e violenza anti-istituzionale è pari al M5s ma evidentemente si rivela maggiormente in grado di controllare il territorio. Di Battista ha esposto il proprio pensiero in materia dichiarando che «la mafia senza la corruzione della politica non avrebbe la forza che ha», ricorrendo cioè all’equiparazione politica-mafia tipica della retorica fascista e anzi spostando lo stigma del malaffare dalla mafia alla politica (come la mafia stessa usa fare). Temi che echeggiano sinistramente anche in Saviano, secondo cui «CasaPound si comporta come tutti gli altri gruppi politici» e «lo Stato italiano ha enormi responsabilità» su Ostia.

La situazione sociale di Ostia, come di tante altre periferie, interroga in modo serio la sinistra riguardo le condizioni di un sottoproletariato che, come risultato anche dalle indagini di voto in Sicilia, in assenza di lavoro più o meno clientelare risulta abbandonato alla disperazione e facile materia prima per organizzazioni eversive. Appare quindi inconcepibile che alcuni, in nome di divergenze programmatiche francamente banali (ricordiamo a destra un’alleanza di ferro tra An e Lega Nord), spezzino il fronte della sinistra e rendano impossibile la realizzazione del vasto fronte (certo non elettorale) a tutela della democrazia. A1-Mdp, in particolare, pare addirittura orientato verso la collaborazione con il M5s: il principale promotore di questa linea nel partito di Grillo è proprio Fico, il capo dell’ala dura che osteggia il “fascismo in doppiopetto” di Di Maio.

Chissà cosa ne pensa l’ex Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.


Alessandro Zabban

Il fascismo del terzo millennio è un fenomeno preoccupante che necessita di una analisi più approfondita. Sicuramente la miseria materiale che la macchina neoliberista impone è la principale causa che avvicina i ceti meno abbienti verso posizioni che promettono una facile riscossa dalle frustrazioni della vita quotidiana, identificando tutti i problemi del mondo in alcune categorie sociali specifiche come i migranti, principale capro espiatorio. Ma questo dato di partenza non è sufficiente a comprendere una certa infatuazione per un fascismo che si credeva sepolto e definitivamente accantonato. Il successo del nuovo fascismo non è solo il frutto di un capitalismo predatorio, altrimenti ne beneficerebbe anche la sinistra di classe, cosa che molto spesso non accade. Di fronte a questo dato, si tende ad affermare che le masse sono ignoranti e quindi che dovendo scegliere fra il bieco populismo fascista e una complessa analisi marxista, l’elettore medio opterà per la prima alternativa. Ma è davvero una risposta soddisfacente? Per quanto si possa criticare il modo di formare e produrre conoscenza nella contemporaneità , è difficile ipotizzare che gli italiani del 2017 siano più ignoranti dei contadini russi del 2017, tanto per fare un esempio. Il ritorno del fascismo va allora letto ricorrendo anche ad altri punti di vista. 

Ben prima che sorgesse il problema di una crescita dell’estrema destra in Europa, Baudrillard scriveva che il fascismo è perfettamente coerente con l’epoca contemporanea perché riattiva una nostalgia per il politico, per il potere politico in quanto tale che risulta in via di sparizione. De-territorializzato, digitalizzato, de-istituzionalizzato, il potere contemporaneo è diffuso ovunque ma proprio per questo si ha la percezione che esso sia scomparso. Non si sa dove vengano prese le decisioni, i meccanismi di dominazione sono più subdoli e sfuggenti, il bersaglio è la nuda vita degli individui: il nemico è ovunque ma invisibile (più è diffuso più è invisibile). Persino gli aspetti più concreti, come i leader carismatici, si confondono col sistema mediatico e sono più simili a personaggi di uno spot pubblicitario. La politica diventa, come i consumi, il regno della simulazione del simulacro. Nella post-democrazia dei partiti liquidi il potere è impalpabile. Il fascismo si pone allora come un ritorno nostalgico a un potere che si vuole trasparente e concreto. La messa in mostra del potere tranquillizza: qualcosa che può essere preso o occupato. Il fascismo promette di riattivare una volontà di potenza, una riscossa come potere di rivalsa e di distruzione, un autoritarismo non subdolo e mascherato. In realtà, il potere invocato dal fascismo non è meno simulato di quello neoliberale, dato che è più che altro l’effetto di una simbologia estetizzante, né si pone in discontinuità con quest’ultimo dal punto di vista dell’obiettivo di assoggettamento, dominazione e normalizzazione disciplinare. Ma il fatto che la sua fascinazione si fondi su un falso “effetto di realtà” del politico, lo rende oltremodo pericoloso.


 Immagine liberamente tratta da ilfattoquotidiano.it

Ultima modifica il Lunedì, 13 Novembre 2017 22:38
Dieci Mani

Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al "tema della settimana". Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).

A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.

www.ilbecco.it/diecimani.html

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