Martedì, 08 Agosto 2017 00:00

A propositi di cambiamenti climatici

Riflettendo sulla proposta del ddl Fiano

La tematica del cambiamento climatico inevitabilmente coinvolge le popolazioni dell'intero pianeta ed è l'umanità stessa a caricarsi il peso del problema, pagando direttamente per le proprie scelte.
L'economia capitalista che agisce sempre più a livello globale si muove con i combustibili fossili i quali sono i principali responsabili del riscaldamento globale. La crescita infinita a cui il capitalismo è costretto per mantenersi in vita oltre a pervertire ogni senso del valore conduce a conseguenze irreparabili per l'atmosfera in cui l'essere umano abita e coesiste con altre specie. Lo sconquasso dell'ecosistema dovuto a un riscaldamento climatico che avviene in tempi sempre più accelerati porta già a delle conseguenze preoccupanti, su tutte la gravissima crisi idrica che riguarda sempre più zone del pianeta e non dovrebbe preoccupare solo quando si giunge a condizioni emergenziali. I dati ci ricordano come gran parte del pianeta sia sottoposta a forti problematiche idriche (immagine). Queste vengono innescate da un crescente consumo idrico necessario alle economie di larga scala con le quali il capitalismo continua a generare profitti.

Pubblicato in A Dieci Mani
Mercoledì, 16 Marzo 2016 00:00

La valle del Mela resiste

La valle del Mela resiste
Duemila persone per dire No all'inceneritore

La stagione delle lotte territoriali e quella dove comunità consapevoli e coscienti provano a ribadire la voglia di autodeterminarsi passa anche dalla Sicilia nord-orientale. Siamo a Milazzo, cittadina sita a pochi km dal capoluogo Messina, un territorio ricco di storia e di bellezze storico-paesaggistiche: quale luogo “migliore” per installare altri scempi e creare altre devastazioni?

La manifestazione di Domenica 13 Marzo, forte di un fiume umano composto da oltre duemila persone, ha chiarito il concetto a chi, pregno di arroganza e indisponenza, non capisce: no a un futuro di morte, si ad un vero rilancio territoriale. Rilancio impossibile da pensare se dall'alto arriva la decisione in inserire in un contesto, già fortemente sollecitato da inquinamento e alterazioni ambientali, un grande impianto di termovalorizzazione (parola che altera il senso stesso delle cose). In attuazione dell’Art.35 del Decreto “Sblocca Italia” sta per essere emanato dal Ministero dell’Ambiente, con l’accordo della Conferenza Stato-Regioni, un decreto che individua 54 inceneritori di interesse strategico nazionale, di cui 14 da costruire (2 in Sicilia).

Pubblicato in Società
Mercoledì, 30 Dicembre 2015 00:00

La carpa ministeriale

Carpe ministeriali ed aeroporti prolungati: cosa c’è di sbagliato nella gestione ambientale in Italia

Immaginiamo un mondo in cui per costruire un ponte ci si rivolge ad un ingegnere, ma se il progetto non ci piace lo cambiamo a nostra discrezione, per poi renderlo operativo; oppure, facciamo preparare le planimetrie per un nuovo palazzo ad un architetto, ma poi ci riserviamo di modificarle a seconda di come ci convince. Se l’ingegnere o l’architetto ci tentano di avvisare che il progetto come l’abbiamo modificato ha dei problemi strutturali o statici, che rischia di venire giù non appena apriamo il portone del palazzo o facciamo passare un motorino sul ponte, noi non solo non li ascoltiamo, ma li accusiamo di essere stati pagati (non si sa bene da chi, ma pagati di certo) per dare previsioni catastrofiste, di essere incompetenti, e in definitiva, che la loro formazione rappresenta un’inutile spesa di denaro pubblico – che magari andrebbe meglio investito, magari nei saperi tradizionali: in fondo l’essere umano costruisce ponti e case da ben prima che ci fossero le facoltà di ingegneria ed architettura, il che dimostra che le dette facoltà sono inutili. Uno scenario del genere appare raccapricciante a chiunque; eppure, se sostituiamo a “ingegnere” e “architetto” le qualifiche professionali ed accademiche di “biologo” e “naturalista”, e invece che di costruzione di case e ponti parliamo di gestione del patrimonio naturalistico, questa situazione è tristemente ricorrente. Quel che è peggio, è che non sono solo le associazioni di fruitori, a vario titolo, dell’ambiente naturale a scavalcare i periti in caso la perizia dia un esito non favorevole alle richieste o ai desiderata dei fruitori. Ma procediamo con ordine.

Si è già parlato, in precedenti articoli, della gestione dei grandi carnivori e dei grandi ungulati sul territorio italiano, e del difficile equilibrio tra diversi portatori d’interesse. Un contesto apparentemente meno problematico è quello della gestione delle acque interne italiane, che come è noto, non godono di una salute particolarmente buona. Questo è dovuto in parte alla regimentazione dei corpi idrici, e all’inquinamento, ma un problema di non poco conto è rappresentato dall’introduzione di un gran numero di specie alloctone, che competono con l’ittiofauna autoctona o, in molti casi, addirittura vi si ibridano. Gran parte dell’ittiofauna autoctona dell’Italia ne è anche endemica, non si trova, cioè, da nessun’altra parte; questo è dovuto a complessi fenomeni geologici avvenuti tra il Miocene e il Pliocene, a seguito dei quali le specie tipiche dell’Europa centrale si sono trovate isolate nella Penisola Italiana ed hanno avuto un’evoluzione indipendente – e spesso diversificata tra i versanti adriatico e tirrenico. I ripopolamenti effettuati con materiale dell’Europa centrale, anche con l’obiettivo di avere pesci più grandi e combattivi, hanno portato alla rarefazione e in alcuni casi scomparsa dei ceppi originari della Penisola Italiana. In questa situazione si inserisce la gestione delle acque interne italiane, che in un’ottica naturalistica dovrebbe favorire le aree in cui sopravvive l’ittiofauna originaria, e cercare di contenere e, ove possibile, eradicare, la fauna alloctona.

Tra i temi più problematici in questo periodo, la diffusione del siluro e del persico trota, due grossi predatori generalisti, e il ripopolamento con ceppi mitteleuropei di cavedano, barbo e soprattutto luccio; il luccio italiano è stato descritto come specie distinta solo nel 2011, e i ripopolamenti negli anni precedenti non hanno tenuto conto della provenienza dei pesci reintrodotti; ad oggi si teme che gran parte delle popolazioni di luccio in Italia siano costituite da ibridi tra lucci italiani e lucci mitteleuropei. In nessuno di questi casi sono in atto programmi di eradicazione (se non a livello locale, e con dubbi risultati). A maggior ragione non è prevista la proposta di programmi di eradicazione per la carpa, una specie ubiquitaria in tutta la penisola e presente anche nelle principali isole italiane, alloctona e con un forte impatto sugli ambienti acquatici, ma introdotta da abbastanza tempo per rendere virtualmente inattuabile la sua eradicazione; questo sia perché le alterazioni determinate da questa specie sugli ambienti italiani sono ormai troppo profonde per essere recuperabili, sia perché si tratta di una specie estremamente prolifica. Nonostante questo, la FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee) sta tentando di ottenere dal Ministero dell’Ambiente una certificazione di autoctonia per la carpa – rifacendosi in parte ad una proposta, ad oggi non accolta dal Ministero, di listare come “para-autoctone”, ed equiparare ad autoctone ai fini della tutela e della gestione, le specie la cui presenza sul territorio italiano è precedente al 1500. Il significato che questa certificazione dovrebbe avere è poco chiaro; sicuramente, con la legge vigente, lo status di specie alloctona della carpa impedisce che si proceda a ripopolamenti e reintroduzioni, ma d’altra parte, in relazione alla sua biologia questa specie non necessita affatto di questo tipo di misure gestionali, né corre rischi di rarefazione in nessuna parte d’Italia. In quanto allo status di para-autoctono, anche volendo accettare questo tipo di definizione (di significato biologico questionabile per non dire nullo), resta il fatto che l’attribuzione agli antichi Romani dell’introduzione di questa specie in Italia non sembra molto più che una leggenda metropolitana, e che le fonti storiche sono concordi nell’individuare la naturalizzazione della carpa in un periodo successivo (anche se non di molto) al 1500. Resta ad ogni modo il fatto che anche le specie alloctone, come il persico trota, il luccio mitteleuropeo e la carpa stessa, sono tutelate da leggi che regolano le taglie minime, la quantità prelevabile, le zone di tutela e i periodi di ferma, e conseguentemente, questo spostamento dalla lista degli alloctoni a quella degli autoctoni non avrebbe alcuna conseguenza pratica.

Il problema, tuttavia, è un altro, ed è il tentativo di confutare un risultato scientifico che non ci piace non attraverso prove contrarie ad esso, ma attraverso un decreto ministeriale. Se il tentativo di far considerare per legge autoctona la carpa ci fa un po’ sorridere, e in fondo non sembra ricadere tra i grandi mali del mondo, pensiamo a cosa significherebbe far passare una legge che per risparmiare imponga di dimezzare il carburante necessario per tenere in volo un aeroplano su una determinata tratta, nonostante gli studi scientifici affermino che sarebbe troppo poco. Nel caso della carpa, le conseguenze potranno apparire meno disastrose, ma concettualmente il processo è identico.

D’altra parte questa storia non può stupirci troppo, non alla luce di un accadimento decisamente recente. Piccolo antefatto (che non è inopportuno ribadire): per qualsiasi opera edilizia è necessaria una Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA), in base alla quale le autorità competenti decideranno se dare, o no, l’autorizzazione all’opera in questione. Per la costruzione della controversa nuova pista dell’aeroporto di Peretola la VIA ha avuto esito negativo; la reazione a questo non è stata una ricalibrazione del progetto tenendo in considerazione le criticità individuate dalla VIA, ma il tentativo di individuare una scorciatoia che togliesse l’odiato ostacolo di mezzo: il ricorso alle alte sfere. E le alte sfere hanno puntualmente e congruamente risposto, inserendo nella Legge di Stabilità per il 2016 un emendamento che cancella l’obbligo di VIA per il prolungamento della pista dell’aeroporto di Firenze. Emendamento che, grazie ad una tempestiva levata di scudi da più parti, è stato rigettato; ma il fatto che sia stato presentato come se si trattasse di una cosa normale – avallando di fatto l’idea che per legge si possano ricusare le conclusioni di uno studio scientifico – fa suonare dei campanelli d’allarme. Concettualmente non è così differente da quanto la FIPSAS sta chiedendo al Ministero dell’Ambiente; ma il fatto che questo tipo di soluzione sia stato prospettato dal governo stesso è estremamente inquietante.

Il messaggio che emerge a livello istituzionale – non solo più privato o associazionistico – è appunto questo: il perito in gestione ambientale può essere scavalcato nel momento in cui la sua perizia risulta scomoda per i portatori d’interesse. Mentre l’applicazione di questo principio da parte delle istituzioni è un problema politico, la condivisione che trova ci costringe a considerarlo un problema culturale. Di fatto, la necessità di figure specializzate nella gestione del territorio è sempre meno condivisa; su questa linea il costante tentativo di by-passare le perizie e le valutazioni d’impatto, a tutti i livelli, su questa linea l’idea (assolutamente non fondata) che il fruitore abbia tutte le competenze per gestire personalmente la risorsa naturale, su questa linea la forte riduzione del ruolo (e la possibile eliminazione) del Corpo Forestale dello Stato, come anche la stretta anche economica sulle agenzie ambientali. Spesso ad opera, peraltro, di chi si vanta del patrimonio naturalistico dell’Italia.

Quel medesimo patrimonio naturalistico siamo arrivati molto vicini a perderlo con l’industrializzazione e la cementificazione indiscriminate – e se non è successo, è anche grazie a fenomeni strutturali, ma non contemplati, come lo spopolamento delle aree di montagna. Il recupero e la valorizzazione delle risorse naturali e del patrimonio naturalistico non sono avvenute in maniera automatica, ma grazie all’impegno lento e costante di un gran numero di periti, che hanno investito nella conservazione di specie d’interesse naturalistico, ma anche degli habitat che esse popolano. Senza di loro non ci sarebbe stato nulla di cui essere orgogliosi; e senza di loro, non possiamo sperare in alcuna maniera di mantenerlo.

Pubblicato in Società

Con il voto in Senato, il cosiddetto “DDL ecoreati” ha incontrato l’approvazione definitiva a larga maggioranza lo scorso 19 maggio, concludendo un iter iniziato nel febbraio 2014 con la presentazione da parte del gruppo parlamentare del PD di un disegno di legge di disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente, poi integrato con le iniziative dei gruppi parlamentari di M5S e SEL.
Questo provvedimento si inserisce in un contesto normativo preesistente disorganico e dispersivo, drogato dall’inflazione di leggi specifiche. I fondamenti dei precedenti interventi normativi sono stati il principio della prevenzione del danno, con l’articolazione del sistema di valutazioni di impatto ambientale (le famose VIA, spesso troppo ottimistiche…) e permessi da parte di amministrazioni pubbliche alla realizzazione di opere potenzialmente dannose, il principio di precauzione per il contenimento del danno e il famigerato principio «chi inquina paga», tradotto dalla prassi in «chi paga può inquinare».

Pubblicato in Territori e beni comuni
Mercoledì, 15 Gennaio 2014 00:00

PM2.5 ed inquinamento: un confronto a Firenze

Il 9 gennaio nell’aula magna del plesso didattico di viale Morgagni si è tenuta l’iniziativa "PM2.5 Firenze: La sorveglianza della qualità dell’aria condotta dai cittadini".

Partiamo dalle fondamenta: il PM2.5 è un particolato fine inalabile, cioè un tipo di polvere capace di entrare nelle vie respiratorie e di depositare nei polmoni il materiale che assorbe durante il suo percorso all’esterno.

Pubblicato in Toscana
Mercoledì, 01 Gennaio 2014 00:00

Ecuador: a rischio il polmone verde del paese

Lungo il confine nord-est dell'Ecuador la natura ha creato qualcosa di unico: qui gli ecosistemi amazzonici e andini si incontrano lungo l'equatore mescolandosi e garantendo una biodiversità unica al mondo in un contesto in buona parte incontaminato. In un solo ettaro ci sono più specie di alberi che in tutto il Nordamerica. Alcune cifre possono renderci facilmente chiara la rarità e l'importanza di questa piccola fetta di mondo: 153 specie di anfibi (record mondiale), oltre 600 specie di uccelli e 183 di mammiferi. Tutto questo è tutelato dai 10.000 km2 del Parco Nazionale Yasunì, dichiarato Riserva della Biosfera dall'UNESCO, nel quale vivono pure svariate popolazioni indigene fra cui Tagaeri e Taromenane, le ultime a non aver mai avuto, volutamente, alcun tipo di rapporto diretto con la “civiltà”.

Pubblicato in Internazionale
Pagina 2 di 2

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.