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Venerdì, 21 Febbraio 2014 00:00

Il Giro di Italia e il Nord Irlanda: politica e sport

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«Belfast offrirà una cornice spettacolare ed apporterà qualcosa di molto speciale alla storia di questa corsa già mitica»Michele Acquarone rilascia questa dichiarazione a inizio 2013, quando è ancora direttore di RCS Sport (organizzatrice dell'evento), per annunciare la partenza da Belfast del Giro d'Italia n°97 (maggio-giugno 2014). Probabilmente il riferimento è al "cielo di Irlanda" cantanto dalla Mannoia o alle suggestioni che evoca il trifoglio nell'immaginario italiano.

Le polemiche che sono scoppiate attorno all'evento sportivo, ad un anno di distanza dall'annucio, non riguardano però la cultura celtica. E neanche le vicende che hanno portato al licenziamento di Acquarone. È la ferita dell'Ulster (le contee settentrionali rimaste sotto il controllo britannico) che continua a sanguinare. A ricordare il problema della questione irlandese sono state le dichiarazioni dell'onorevole Anna Lo, dell'Alliance Party (partito moderato di orientamento liberale), che ha proposto di rimuovere dal tracciato del Giro d'Italia le bandiere e i murales di Belfast (che caratterizzano la città), perché legate a un passato di guerra.

La parlamentare è il primo deputato cinese eletto in un parlamento dell'Europa occidentale e le reazioni di molti irlandesi sui social network si sono concentrate sulla sua appartenenza etnica, suscitando unanime condanne da parte del mondo politico (e spostando il dibattito sul tema della discriminazione razziale).

Il ministro dell'impresa del Nord Irlanda, Arlene Foster, aveva già rifiutato la proposta (il 18 febbraio 2014), rivendicando il retaggio culturale dei murales e rifiutando di considerarli di natura paramilitare.

Torna alla mente la vicenda del Celtic, sanzionati per una coreografia che omaggiava Bobby Sands (da una parte di tifosi condannati dalla stessa società di calcio).

Il problema, nonostante le dichiarazioni ufficiali dei governi, non è l'opportunità di ritrovare messaggi politici all'interno di eventi sportivi (cosa ritenuta all'unanimità necessaria, ad esempio, durante le Olimpiadi di Sochi). La questione è voler neutralizzare qualsiasi tipo di conflitto, senza volerlo affrontare fino in fondo, ma anzi provando a nasconderlo, sperando che si esaurisca da solo nell'ombra.

La polemica attorno al Giro d'Italia offre gli spunti per una serie di questioni, che qui saranno solo elencate.

Ovviamente emerge il rapporto tra il vecchio continente e le istanze autonomiste che lo attraversano. Si vedano le dichiarazioni di Barroso sull'eventuale indipendenza scozzese e le "scarse probabilità" di un riconoscimento della "nuova nazione" da parte dell'Unione Europea (senza citare le questioni della Catalogna e dei Paesi Baschi, o le vicende dei Paesi Bassi, ben più serie delle mutande verdi leghiste).

C'è poi il rapporto tra le democrazie occidentali, le nuove istituzioni transnazionali e la storia (quella antica come quella recente): venute meno le discussioni sull'identità cristiana da mettere in Costituzione europea (ipotesi fortunatamente tramontata) ci si prepara a una superficiale retorica nel centenario della Prima Guerra Mondiali, con revisionismi di ogni sorta pronti a respirare nuovamente aria a pieni polmoni.

Infine esiste un problema non strettamente locale, come quello del razzismo, che emerge nelle nuove destre europee ma viene costantemente affrontato con superficiali condanne retoriche da parte delle istituzioni, intimorite da un sistema politico che spesso soffia sui peggiori sentimenti dell'opinione pubblica per garantirsi consenso elettorale.

Sicuramente le recenti notizie che arrivano dall'Ucraina sono più drammatiche delle polemiche attorno al Giro d'Italia. Però entrambi gli eventi ci parlano di un'Europa che non affronta le questioni fondamentali e che rischia di ritrovarsi completamente succube rispetto a dinamiche sociali pericolose. L'atteggiamento prevalente assomiglia a quello di una classe politica ed economica che chiude gli occhi davanti ai problemi, sperando che si risolvano quando li riapriranno, con un pensiero che ritorni il recente passato, in cui ognuno ha curato esclusivamente i propri interessi, contando in una improbabile crescita economica continua.

Così ci ritroviamo a pensare che esista l'Ucraina come unico stato sovrano, divisa fra europeisti e agenti di Putin (senza considerare la reale storia di quella regione geografica). Così ci ritroviamo a dare per scontato che non esista più alcuna questione irlandese, confidando sull'Avvenire ed Il Sole 24 Ore come unici quotidiani cartacei che ancora guardano alla realtà internazionale, perché sensibili alle vicende dei cattolici nel mondo (o degli imprenditori italiani nel mondo).

Nemmeno il Giro d'Italia è servito a uscire dal provincialismo italiano. Sia mai. Per una volta che il giornale più letto nel Paese (la Gazzetta dello Sport) poteva essere utile.

Immagine tratta liberamente da turistipercaso.it

Ultima modifica il Giovedì, 20 Febbraio 2014 20:49
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it

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