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Venerdì, 07 Agosto 2015 00:00

Atene e il Mediterraneo, sei mesi dopo.

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Atene e il mediterraneo, sei mesi dopo

Tornare ad Atene. Tornare dopo circa sei mesi dalle elezioni politiche e dopo un referendum che chiedeva alle persone se avessero voluto continuare ad accettare le politiche d’austerità. Gli esiti di questo intenso percorso sono ormai noti a tutti. Rimarcarne le contraddizioni, probabilmente, non serve. La sinistra greca dovrà, di certo, fare i conti con le delusioni che si sono inevitabilmente diffuse all’interno di Syriza e all’interno della popolazione, dopo l’accordo tra l’Unione Europea e il governo greco. Non è un caso che già si sia annunciato un congresso straordinario del partito, in autunno. Ma il punto è: quale effetto reale le vicissitudini greche stanno già producendo di fronte ai molteplici tentativi di costruzione di una sinistra europea, alternativa all’esistente? È questo il tema che sembra essere sostanziale. Sostanziale rispetto a quella che oggi è la realtà dei fatti. 

Atene non è più una città in festa, come lo era stata a gennaio. Il mese di agosto, tuttavia, rigonfia le strade di turisti e ne nasconde, in parte, le contraddizioni. Ma basta aspettare le ore notturne per incontrare miseria, veri e propri dormitori a cielo aperto, tossicodipendenza diffusa. Non si creda, però, che la povertà e l’insoddisfazione investano tutto “il popolo” greco. La filastrocca retorica, neo-liberista, che recita la “crisi” generale dell’economia, del “sacrificio” che ognuno deve compiere per salvare un sistema economico ben preciso, mostra la sua ridicolaggine di fronte alle immagini di un’Atene in cui la classe media appare disintegrata. Può bastare raccontare un aneddoto, che forse può fungere da esempio: entrando in locali centrali della città scopriamo che un cocktail può arrivare a costare anche nove o dieci euro, una birra piccola cinque o sei. E la cosa che più colpisce è rendersi conto che attorno a noi ci sono solo decine di ragazze e di ragazzi greci, non così tanti turisti. Decidiamo allora di spostarci, visti i prezzi. Ci ritroviamo ad Exarchia, quartiere più popolare in cui proliferano diversi tipi di locali. I prezzi dimezzano rispetto al centro. Normale, si potrebbe pensare. È la differenza tra quartieri più turistici, più ricchi, e quartieri meno gettonati e più “economici”. La cosa che si intuisce quasi in modo violento a partire da questi piccoli esempi, però, è che una parte del tessuto sociale greco sembra non essere stata minimamente intaccata dalle misure di austerità imposte in questi anni. Altre hanno dovuto pagare il fio, perdendo casa, lavoro, assistenza sanitaria minima. Lo scollamento tra l’alto e il basso (non è un caso che si sia costretti a ragionare con queste categorie, in una situazione siffatta) diventa epocale. E probabilmente diventerà fatale per questo stesso sistema economico, che poggia evidentemente – come tutto, in questa Europa – su precise scelte politiche e ideologiche (non ci chiederemo quanto sufficientemente distanti persino dallo stesso ideale originario di società “liberale”).

Il ruolo della sinistra risulta, pertanto, fondamentale in questo quadro. Il fallimento del referendum greco mostra la cifra della situazione attuale: se è vero che si sta combattendo una vera e propria guerra finanziaria, che determina le condizioni reali di alcune fasce delle popolazioni europee, occorre chiarire chi siano i protagonisti di tale guerra. Le parti si vanno sempre più delineando, soprattutto dopo le scelte (necessarie?) del governo greco: vi sono un nord ed un sud radicalmente divisi, ricchezza di pochi e povertà di molti, neoliberismo autoritario (le parole non dicono più quel che dicono, non si sa più chiaramente quel che dicono) e forme economiche alternative che vanno sviluppandosi in modo frammentario, basate su metodi mutualistici, solidali, che tentano di recuperare spazi di democrazia. Sorge, allora, un ulteriore elemento di discussione: quale il ruolo del mediterraneo all’interno dell’Europa? Quale il ruolo di un mondo culturale, di un tessuto sociale nascosto, che sta proponendo non solo un’uscita dalla crisi, ma un’alternativa potenziale a questo modello europeo? Sarà forse questa la ragione per cui parlare oggi di sud Europa (e di sud del mondo) fa ancora più paura di ieri. Non si capirebbe perché alcuni esponenti dell’economia tedesca e del suo potere politico abbiano persino augurato l’uscita di alcuni stati meridionali dalla stessa Unione (in un contesto in cui viene ufficializzata la nascita della Banca dei B.R.I.C.S vs F.M.I). Sembra, in una situazione siffatta, che il ruolo delle culture mediterranee risulti centrale sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista di elaborazione di nuove visioni del mondo. La guerra, questa guerra, deve essere combattuta senza perdere di vista l’obiettivo fondamentale: recuperare il terreno che il neoliberismo ha guadagnato negli ultimi cinquant’anni. Terreno culturale e, di conseguenza, essenzialmente politico. Non possiamo che augurarci che il nostro paese, centro di questo mondo “di mezzo”, mondo di “confine”, mondo irriverentemente “meticcio”, possa assolvere a sinistra un ruolo non di secondo piano rispetto alle dinamiche internazionali. Per il resto, attendiamo le prossime politiche in altri due paesi che in tal senso non possiamo non menzionare: Spagna e Portogallo, dopo la sconfitta del referendum greco.

Ultima modifica il Venerdì, 07 Agosto 2015 12:42
Edoardo Raimondi

Nato a Chieti il 26 maggio del 1990, ho studiato presso l’Università di Pisa conseguendo la laurea magistrale in Filosofia e forme del Sapere, con una tesi in ermeneutica, filosofia morale e politica (problematizzando il pensiero di Eric Weil). Da sempre impegnato nell’associazionismo, ho fatto parte, nel corso degli anni, di movimenti e sindacati studenteschi, come di gruppi di ricerca dell’università pisana. Mi occupo principalmente di politica nazionale ed internazionale, cultura, scuola e università. 

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