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Mercoledì, 25 Maggio 2016 00:00

NAFTA, TTIP e i presagi per l'Europa dell'Est

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NAFTA, TTIP e i presagi per l'Europa dell'Est

Non ci opponiamo al TTIP perché conservatori e reazionari, perché spaventati dalle nuove tecnologie, dallo sviluppo, dalla possibilità di maggiore scelta. Ci opponiamo perché sappiamo come tutti gli argomenti a favore del trattato siano falsità.

In 20 anni di libero mercato, di trionfo della democrazia, abbiamo perfettamente compreso quali sono gli scopi perseguiti: svincolare ulteriormente il profitto da ogni regola, svuotare definitivamente la sovranità delle cittadine e dei cittadini, per "evolverli" in semplici consumatori. Possiamo basare questa affermazione partendo da una analisi della situazione creatasi dopo la firma del trattato denominato NAFTA/TLCAN, contraenti gli Stati Uniti, Canada e Messico firmato il 17 dicembre 1992 ed entrato in vigore il 1 gennaio 1994. Purtroppo i dati reali, escludendo quelli di propaganda, a disposizione non sono molti, pur coprendo un arco di circa 15 anni, sono comunque sufficienti per dare una risposta al quesito di fondo: quali saranno, una volta applicato il TTIP, le ripercussioni economiche, le ricadute sociali e i risvolti in termini occupazionali di questa operazione. A partire da questi dati si può tranquillamente disegnare la mappa di quali saranno i cambiamenti profondi che ci troveremo ad affrontare tenendo conto anche del fatto che ci saranno profonde differenze di attuazione nei vari stati dell’Unione Europea anche in base alla differenti capacità produttive e/o economiche ma comunque con un unico denominatore: la possibilità di attingere a spazi di manovra sino a qualche tempo fa non immaginati, ma che con la crisi del capitalismo così come noi lo abbiamo conosciuto, il potere economico deve per forza trovare altre strade per perpetrarsi. Non va comunque sottaciuto il fatto che da tempo esiste un espansionismo occidentale verso i paesi dell’ex area di influenza Sovietica che rientrano a pieno titolo in questo progetto.

I puri dati economici danno ragione ai fautori del trattato quando affermano che i volumi di interscambio sono aumentati nell’area: in effetti se andiamo a vedere quali sono i dati monetari nel periodo che intercorre tra l’anno precedente alla formalizzazione del trattato e l’anno 2003 (quindi coprendo un arco di dieci anni) si può notare come la bilancia commerciale sia in attivo per tutti i firmatari del trattato (vedi il grafico). In particolar modo i dati al netto delle importazioni e delle esportazioni canadesi sono stati studiati in grande dettaglio dall’assistente Dominik Kalinowski della Scuola di Economia di Varsavia 

Lo studio di Malinowski intitolato Effetti economici del North American Free Trade Agreement include questo grafico che rappresenta la crescita delle esportazioni del Canada 1993-2003. Oltre ad evidenziare che le esportazioni totali del Canada verso gli Stati Uniti sono aumentate dell’ 87% tra il 1.993 e il 2.003 (da $ 113.600.000.000 a 213.900.000.000 $), si può facilmente calcolare che anche le esportazioni dal Messico verso gli Stati Uniti hanno un utile pari a $ 95,300.000.000 mentre quelle degli Stati Uniti sono rispettivamente di $ 56,400.000.000 verso il Messico e di $ 56,100.000.000 verso il Canada.

Questo porterebbe a dire che chi ha tratto il maggior beneficio dal trattato sono le economie deboli, anche se quella Canadese non può certamente essere annoverata tra quelle deboli ma soltanto inferiore come volume totale a quella Statunitense.

Ovviamente troviamo molta più dottrina se ci si riferisce alla situazione Messicana che non a quella Canadese visto che l’economia di quest’ultima e molto simile a quella Statunitense e già in passato è stata oggetto di forme bilaterali di scambio e di collaborazione: si tratta di economie che erano, anche in prima del trattato, molto integrate. Mentre dalla parte opposta abbiamo un’economia, quella Messicana, molto più debole delle altre due, pur essendo l’undicesima economia, dietro al solo Brasile nel continente americano. Un’economia a due velocità, da una parte quella rurale legata alla produzione di mais (tortillas ne sono il piatto tipico) formata da piccoli contadini, che rappresentano un quarto della popolazione e che contribuisce per meno del 10% del PIL; dall’altra un’agricoltura commerciale (cotone, frumento, caffè etc.) che, attraverso le grandi proprietà private, rappresenta all’incirca più della metà della produzione agricola totale. Inoltre sono sviluppati sia l’allevamento (suini, bovini e ovini) che la pesca (per lo più da esportazione gamberi, tonni etc.) mentre la produzione forestale rimane sottosviluppata. Le risorse minerarie (argento, oro, zinco, zolfo, rame e ferro, tungsteno etc.) sono prevalentemente da esportazione; inoltre è presente una massiccia attività estrattiva di petrolio dalle zone del Chiapas e Golfo del Messico, e l’azienda pubblica Pemex con una recente legge rischia la chiusura a favore dell’apertura ai privati. Il settore manifatturiero è di scarsa qualità e a bassa tecnologia, sviluppato soprattutto attraverso i cosiddetti “maquilladores” che lavorano per conto terzi, soprattutto nord americani. Bisogna inoltre tenere presente l’alto livello di criminalità presente e in particolar modo la produzione di droga e il relativo contrabbando e che la società Messicana è permeata di una straordinaria corruzione a tutti i livelli dell’apparato sia centrale che locale.

Per quanto riguarda il Canada, le attività principali sono i servizi (banche, commercio, comunicazione, turismo) e l'industria (mezzi di trasporto, lavorazione del legno, prodotti chimici, tessili ed alimentari, elettronica strumentale), sorta in gran parte grazie ad investimenti statunitensi. Importante è anche il settore primario (pesca, allevamenti, grano, soia, minerali grezzi e non solo), che alimenta forti esportazioni.

Per completare il quadro possiamo brevemente accennare all’economia degli Stati Uniti dove l’agricoltura occupa uno spazio importante, grazie ad aziende di grandi dimensioni che possono investire enormi capitali e grazie all’abbondante meccanizzazione e all’uso di ogni ritrovato scientifico e tecnico ha il primato mondiale nella produzione di molti prodotti. Le dimensioni di molte imprese industriali e commerciali sono gigantesche, soprattutto nel settore alimentare, meccanico e dell’informatica. Fortemente sviluppata è la produzione di armamenti, l’industria aereonautica e astronautica e le importanti attività relative ai media e allo spettacolo. Possiede inoltre enormi risorse energetiche garantite dal petrolio, dal gas naturale oltre che centrali idroelettriche e nucleari. Le risorse minerarie sono molto vaste, l’attività estrattiva riguarda soprattutto il ferro, il rame, il piombo, la bauxite, l’argento, il cadmio, l’alluminio, il magnesio e l’oro che sono estratti in grande quantità. Inoltre come ben sappiamo sono una potenza nel campo finanziario anche se spesso alterato da prodotti speculativi e non regolamentati, questo fa sì che possieda un dominio dei mercati con un triplice aspetto: economico, militare e politico. Nonostante tutto, l’industria americana ha una bassa produttività e gravi problemi di disoccupazione, anche a causa della sempre più utilizzata automazione e dallo spostamento del reddito da quello derivato dal lavoro a quello finanziario.

Un trattato di libero scambio tra queste economie tutto sommato rilevanti farebbe presupporre un notevole miglioramento sia in termini occupazionali che in termini di reddito procapite ridistribuito, purtroppo questo non si è avverato per una parte considerevole di cittadini e lavoratori, come è possibile vedere nella tabella a fianco dal confronto dei dati di import export tra gli Stati Uniti e gli altri paesi firmatari del trattato. Anche se i dati lordi delle esportazioni degli Stati Uniti verso i suoi partner del NAFTA sono aumentati drasticamente, con una crescita reale del 147% verso il Messico e del 66% verso il Canada, tali aumenti sono stati messi in ombra da una maggiore crescita delle importazioni, che sono aumentate del 248% dal Messico e del 79% dal Canada, di conseguenza, il deficit di esportazioni nette con questi paesi dal 1993 è aumentato del 378% pari a $ 62,8 miliardi nell’arco di sei anni: possiamo notare che il NAFTA ha portato a una perdita in termini di posti di lavoro in tutti i 50 stati di oltre 750.000 lavoratori. Nello stesso periodo il salario da lavoro dipendente è calato del 23% (fonte Economic Policy Institute).

Come certificato dalla Camera di Commercio degli Stati Uniti, venti anni dopo l'accordo di libero scambio negli Stati Uniti si sono persi circa 2,5 milioni di posti di lavoro. La ristrutturazione del settore manifatturiero canadese è stata di vasta portata. Nel 1997 il 47% degli impianti esistenti nel 1988, pari al 28% dei posti di lavoro, aveva chiuso. 

D'altra parte, il 39% di tutte le fabbriche nel 1997, pari al 21% dei lavoratori, non esisteva nel 1988 (Baldwin e Gu 2003) con una perdita evidente del 8% delle attività produttive e un calo del 7% dell’occupazione questo solo per quanto riguarda la piccola e media impresa.
Le grandi imprese, nel complesso, hanno retto bene. Uno studio su 40 aziende associate non finanziarie fatto dal “Canadian Council of Chief Executives” ha attestato che i loro ricavi aggregati sono aumentati del 105% tra il 1988-2002, mentre il loro organico complessivo si è ridotto del 15% (Campbell e MacDonald 2003). In totale l'occupazione del solo settore manifatturieo canadese ha subito perdite di quasi 400.000 posti di lavoro nei primi quattro anni, per poi tornare ad un trend in salita con un tasso di disoccupazione del 6,8% nel 2005, in totale abbiamo attualmente 1,2 milioni di lavoratori in cerca di lavoro. Per quanto riguarda gli occupati abbiamo uno spostamento dai settori commerciali a quello meno retribuito del settore dei servizi, con un aumento delle forme di lavoro precario (tempo parziale, temporaneo e lavoro autonomo) specialmente per quanto concerne le donne e i lavoratori di colore.

La crescente divergenza tra il PIL (GDP) e il reddito personale pro capite si spiega con i tagli massicci ai programmi sociali e dalla stagnazione del reddito salariale nonché dall’aumento degli interessi attivi statali (tasse). Inoltre nel periodo preso in esame circa 100.000 aziende agricole sono fallite a livello nazionale

È la prova drammatica di come l’integrazione NAFTA ha modificato delle relazioni di potere tra lavoro e capitale, tra Stato e mercato per l'economia canadese. Questo "aggiustamento strutturale" non è una sorpresa ma evidenza ciò che il NAFTA è stato progettato per fare, ovvero far crescere la ricchezza (di pochi) e la disparità di reddito e nello stesso tempo produrre una contrazione dello stato sociale come conseguenza del libero scambio, grazie anche alle politiche neoconservatrici dei governi provinciali e federali.

È già stato osservato in precedenza che i guadagni medi non sono cresciuti nonostante la costante, pur se non spettacolare, crescita di produttività. Se prendiamo in considerazione la tabella 3-1 che si riferisce a una fascia del 20% sia per quelle famiglie a basso reddito che a quelle ad alto reddito (quindi non tiene conto della middle class) possiamo constatare come negli anni pre-trattato il reddito sia aumentato molto nei redditi bassi e relativamente poco per i redditi alti, contrariamente dopo l’applicazione del trattato abbiamo una low class che si èTabella 4 impoverita di circa un 7,6% mentre la business class si è arricchita di un ulteriore 16,8%.

Uno studio condotto da Saez e Veall (2003) evidenzia come la disuguaglianza sia stata di molto superiore alla crescita, l’1% dei contribuenti ha aumentato il proprio reddito imponibile passando da un 9,3% ad un 13,6% e lo 0,1% è passata dallo 0,3% al 5,2% a spese dell'altro 90% di famiglie canadesi. Gli autori attribuiscono questo alle pressioni in atto per aumentare l'integrazione con gli Stati Uniti, dove la disparità di reddito è molto maggiore, con gli alti dirigenti canadesi che tendono ad uniformarsi verso le retribuzioni USA.

Ultima modifica il Martedì, 24 Maggio 2016 12:13
Roberto Travagli

Nato ad Ferrara il 03-10-1956, vivo a Firenze, Diplomato all'Istituto Tecnico Industriale. Militante in Lotta Continua durante gli anni '70. Dipendente del Comune di Firenze dove per alcuni anni ha collaborato con il sindacato (UIL Enti Locali). Ritornato alla politica attiva da poco tempo.

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