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Sabato, 19 Novembre 2016 00:00

Con uno sguardo storico la vittoria di Trump appare meno fosca

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Il grande dilemma a stelle e strisce: la paura di uno stato federale forte e ricerca del welfare

La vittoria di Donald Trump alle ultime presidenziali ha scatenato il panico. Si sono spese in questi ultimi giorni analisi dense di emozioni, enfatizzando una situazione che a uno storico statunitense può forse apparire meno fosca.

Questo testo viene dopo una ottima analisi sulla corsa alla Casa Bianca appena conclusa di un mio stimato collega, cercando di spiegare brevemente le linee generali dell’andamento della politica interna negli Stati Uniti, il cui ruolo di superpotenza mondiale contribuisce alla sua messa in ombra rispetto alla politica estera.

La nozione più conosciuta della politica statunitense è l’alternanza: un fattore quasi mitologico se acquisito senza conoscerne il contenuto. Le due componenti principali che stanno dietro a questo fattore sono il timore del peso di una forte politica federale in contrasto con l’autonomia degli stati singoli (spesa pubblica e fiscalità in primis) e contemporaneamente la ricerca del benessere, inteso come welfare europeo, una nozione appresa molto più tardi negli Stati Uniti rispetto al continente europeo.

Se il primo modello europeo di ricerca del welfare è stata per l’Europa la Germania di Bismarck (assistenza a chi svolge un ruolo produttivo, riforme dall’alto, benessere alle classi sociali per prevenire agitazioni), negli Stati Uniti bisogna aspettare Franklin Delano Roosevelt per parlare di “welfare state”.

La prima forma di intervento federale in questo senso risale al 1798, un esempio precoce riguardante l’assistenza ai marinai portuali estesa con l’acquisto della Lousiana dopo il 1803 anche ai lavoratori fluviali. In uno stato resosi indipendente per sfuggire alla feroce tassazione britannica sui commerci e sulle rotte marittime, l’assistenza è sempre legata ai bisogni economici dello stato federale intesi come fiscalità e spesa pubblica appunto.

In un articolo del settimanale “Life” del 17/2/1941 intitolato “The American Century” di Henry Luce il modello statunitense viene presentato come «un modello di esportazione di democrazia liberale, liberismo economico, consumismo e connotato dalla mancanza di “welfare” europeo», inteso come protezione delle classi sociali. Alla luce di queste caratteristiche si spiega la dottrina Pierce dall’omonimo presidente che nel 1854, in occasione del veto sulla legge di assistenza proposta dalla riformatrice Dorothe Dix approvata dal Congresso, annunciava una frenata delle iniziative federali per stabilizzare debito pubblico, contro il rischio di una assistenza generalizzata e tali provvedimenti fanno riferimento a un potere dello stato federale non citato nella Costituzione (linea guida fino al New Deal di Roosevelt). Fu la reazione di Pierce alla presidenza di John Adams, che aveva utilizzato fondi federali per la costruzione di 26 ospedali statali e caratterizzata da una tendenza centralizzatrice con il suo discorso al Congresso nel 1818 sul “common sense” di uno stato federale forte. Le uniche deroghe alla linea Pierce furono l’assistenza ai reduci con invalidità permanente della Guerra d’Indipendenza e nel 1832 estesa a tutti i veterani di ogni conflitto con pensione alle vedove (da considerare che nel 1828 vi è il suffragio universale maschile e i reduci erano una percentuale considerevole dell’elettorato).

Altri provvedimenti simili furono presi con la Guerra Civile nel 1862 grazie a benefici a reduci con invalidità permanente, orfani e vedove oltre alla possibilità per gli invalidi di richiedere arretrati dal 1868. Contemporaneamente alle misure per i reduci, con il progredire dell’industrializzazione nella nazione, sorgono dibattiti sulla condizione dei lavoratori nelle fabbriche, industrie manifatturiere e pesanti ecc. In alcuni stati si dibatteva sulla necessità di applicare una legge federale di assistenza sanitaria tramite assicurazione obbligatoria per i lavoratori, ma la forte opposizione di imprenditori, National Association Manifactures medici dell’American Medical Association e sindacati dell’American Federation of Labour ostacolano la presentazione di un progetto legislativo. A dimostrazione delle enormi differenze tra la concezione di lobby europea e quella statunitense, dove il concetto di tale organizzazione non assume un connotato negativo ma è istituzionalizzato in “Associations”, un delicato sistema politico rappresentativo di mestieri e interessi fatto di pesi e contrappesi che regola il funzionamento dell’economia nel paese e il suo andamento politico.

In questo senso va letto il più grande provvedimento verso i reduci di guerra nel 1890: il Dependent and Disability Act garantì ai reduci che avevano combattuto almeno 90 giorni, congedati con onore e invalidi permanenti la pensione indipendentemente dalle proprie condizioni economiche. Un terzo del ricavato delle imposte statali garantì questa misura, grazie alla pressione della Grand Army of the Republic Association, la lobby dei reduci di guerra che valeva oltre il 10% dell’elettorato.

Solamente Theodore Roosevelt riuscì ad approvare nel 1908 il decreto Workman Compensation, un indennizzo per infortunio e decesso rivolto ai dipendenti pubblici di cui il presidente chiese estensione ai privati ottenendo solamente un modello per i singoli stati a partire dal 1911. Respinto invece il progetto di legge Keating-Owen Act che avrebbe proibito il commercio interstatale alle industrie, imprese e miniere con dipendenti minori dei 16 anni essendo stato giudicato incostituzionale dalla Corte Suprema, con molti giudici democratici che tutelavano la concorrenzialità delle industrie del Sud basata sul basso costo della forza lavoro.

La vera svolta della politica interna americana fu la Grande Depressione del 1929: cambiarono i ruoli politici dei partiti, in quanto il partito democratico grazie alla spinta dei progressisti divenne la forza politica che tutelava le classi sociali più povere e i lavoratori. Molti conservatori del partito, soprattutto degli stati del Sud, abbandonarono e si unirono al partito repubblicano, divenuto il partito che difendeva gli interessi di grandi imprenditori, banche e grandi proprietari.

Il presidente Franklin Delano Roosevelt e la sua amministrazione furono i fautori del New Deal, del primo grande modello di welfare state statunitense per risanare l’economia americana dalla Grande Depressione e eliminare un conflitto sociale che, per i timori della politica americana dell’epoca, poteva sfociare in una rivoluzione come in Russia nel 1917. Inoltre Roosevelt voleva ribadire la funzionalità del sistema americano e la sua vocazione a grande potenza mondiale oltre la crisi economica. In questo senso va letto il Social Security Act del 1935, che introdusse un sistema pensionistico per i lavoratori, sussidi per gli over 35, sussidi di disoccupazione e di invalidità, leggi sulla tutela e mantenimento dei minori ecc. Un sistema misto finanziato dallo stato federale i cui fondi vengono poi gestiti dai singoli stati. Nel 1938 con il Fair Labour Act venne introdotto il reddito minimo salariale a livello federale. Roosevelt tentò nel 1942 di emanare un progetto di legge di assistenza sanitaria federale per i lavoratori dipendenti tramite una assicurazione sanitaria obbligatoria per lavoratori e imprese, ma venne ostacolato dall’American Medical Association.

Dopo Roosevelt l’unico provvedimento a favore del welfare venne preso dal presidente Truman per assicurarsi il secondo mandato, la legge sugli ospedali del 1946 che garantì fondi federali ai singoli stati per la costruzione di ospedali e centri assistenza medica. Gli anni Cinquanta furono un decennio di grande crescita economica, ma anche di piccole recessioni cicliche e di un allargamento delle disuguaglianze sociali come denunciarono molti scrittori e giornalisti statunitensi.

Solamente con la presidenza Kennedy si tentò di affrontare il problema del 20 % della popolazione al di sotto della soglia di povertà con sussidi familiari e corsi di formazione lavorativi integrati in un sistema misto di finanziamento tra stato federale e stati singoli. A partire dal 1964 fu il presidente Lindon Johnson che più stimolo la crescita del welfare state negli Stati Uniti e l’estensione del sistema assistenziale, con finanziamenti federali e provvedimenti mirati alla risoluzione della questione sanitaria ( Medicare e Medicaid, assicurazioni sanitarie per poveri e per anziani finanziate in un sistema misto gestite dagli stati in base al numero di indigenti). Inoltre incrementò il finanziamento e l’estensione temporale dei sussidi di disoccupazione, prendendo delle misure per la risoluzione della questione spinosa dei sobborghi afroamericani con tassi di analfabetizzazione altissimi. Questi provvedimenti erano legati alla sua rielezione per il secondo mandato, in quanto era in corso il conflitto con il Vietnam e nel 1965 venne esteso il diritto di voto alla popolazione afroamericana statunitense.

Nel 1976, dopo le presidenze Nixon e Ford segnate dallo scandalo Watergate, il primo uomo del Sud alla Casa Bianca dalla Guerra Civile Jimmy Carter tentò di far approvare un programma assistenziale di aiuti consistenti ai poveri indigenti suddividendoli tra bisognosi di aiuti economici e di lavoro, integrandoli in programmi di lavori statali. Il programma non fu approvato a causa dei gravi problemi di bilancio federale, lo choc petrolifero dopo l’embargo all’Iran e della già alta spesa assistenziale con oltre 3 milioni di famiglie povere.

Nel 1980 alla Casa Bianca ci andò Ronald Reagan, che costruì la sua “reaganomics” basata sulle nuove teorie liberiste di Milton Friedman (“state is our enemy”) e su un taglio radicale di tasse e spesa pubblica per stimolare la crescita. La presidenza Reagan fu quella che diede una nuova impronta alla politica economica repubblicana: meno tasse, meno spesa pubblica, taglio ai programmi assistenziali, agevolazioni fiscali a istituti bancari e grandi industrie. La strada di Reagan venne seguita infatti dal presidente George Bush Senjor a partire dal 1988, che riduce l’assistenza medica richiedendo maggiore responsabilità agli stati nella concessione di fondi assistenziali.

La presidenza Clinton contribuì a una maggiore assistenza nei confronti delle famiglie indigenti con misure moderate e un fallito progetto di riforma sanitaria portato avanti da Hillary Clinton e il futuro candidato alla presidenza Al Gore. Fu la presidenza Bush Jr che diede il colpo finale all’estensione del welfare state, con riduzioni dei provvedimenti approvati da Johson (in particolare Medicare e Medicaid) incentivando l’assistenza sanitaria privata rispetto a quella pubblica con l’intenzione di ridurre drasticamente le tasse permettendo a ogni cittadino, nell’immaginario di Bush, di possedere integralmente la propria proprietà garanzia di autonomia e indipendenza. Durante la sua amministrazione vennero favorite le transazioni anche a livello di istituti di istruzione da pubblico a privato.

La crisi economica che negli Stati Uniti iniziò a farsi sentire già nel 2006 nel mercato immobiliare e i conflitti in Medio Oriente favorirono la presidenza di Barack Obama. Non entrerò nel merito dei suoi provvedimenti in materia economica, i dati di ripresa di questi ultimi anni parlano al posto mio. Di certo Obama ha compiuto una impresa storica con l’approvazione dell’”Obamacare”, ovvero il Patient Protection and Affondable Act approvato nel marzo del 2012 e in vigore dal 2014. Obbligo di assicurazione sanitaria a tutti i residenti, il governo paga l’assicurazione agli over 65 e indigenti economici, pagamento assicurazione divisa tra lavoratore e imprese. Questa riforma sanitaria ha indubbiamente portato a un aumento delle garanzie e miglioramenti delle condizioni pregresse di salute, ha esteso l’accesso alla medicina diagnostica e preventiva e inserisce i figli fino ai 26 anni nell’assicurazione sanitaria familiare. Pur non obbligando gli stati singoli ad innalzare il reddito per l’accesso al Medicare (l’assistenza sanitaria per indigenti) ha comunque creato un sistema assistenziale federale sanitario per indigenti con questa riforma, aumentando confermato da dati la copertura sanitaria della popolazione statunitense.

I repubblicani contestarono la costituzionalità della riforma sanitaria, pur essendo stata presa a modello per la sua creazione la riforma sanitaria di Mitt Romney nel Massachusetts del 2006, sfidante di Obama alle elezioni presidenziali in occasione del suo secondo mandato.

In questa forse troppo breve e riduttiva storia della politica interna americana, ho cercato di far notare l’alternanza politica in seguito all’aumento della spesa pubblica federale, con il conseguente aumento della tassazione sia nei confronti dei singoli stati che sulla popolazione. Che questo aumento possa essere dovuto a uno shock come una grande crisi economica (1929-2006) o altri eventi di carattere eccezionale, vi è sempre successivamente una normalizzazione e riduzione della spesa, spesso coincidente con un cambio politico alla Casa Bianca. Un’ottica interessante da cui guardare con sguardo critico i risultati delle ultime elezioni americane, in cui un programma politico tradizionalmente repubblicano e anzi molto simile alla dottrina Reagan come quello di Trump (al di là degli slogan) ha battuto la candidata democratica Hillary Clinton, incapace di cogliere i frutti di otto anni di presidenza Obama e non essendo stata in grado di rinnovare la proposta politica democratica che ha portato alle ultime riforme in campo sociale, economico e sanitario negli Stati Uniti proprio con Barack Obama.

I prossimi mesi ci diranno se l’elefante vittorioso smantellerà come successo in passato il sistema assistenziale e ridurrà drasticamente la spesa pubblica per garantire una forte riduzione delle tasse, non sempre indice di ripresa economica.

Immagine liberamente tratta da cdn.thedailybeast.com

Ultima modifica il Sabato, 19 Novembre 2016 00:53
Marco Saccardi

Nato a Bagno a Ripoli (FI) il 13 settembre 1990, sono uno studente laureato alla triennale di Storia Contemporanea presso l’Università di Firenze, adesso laureando alla magistrale di Scienze Storiche. Appassionato di Politica, amante della Storia, sono “fuggito” dal PD dopo anni di militanza e sono alla ricerca di una collocazione politica, nel vuoto della sinistra italiana. Malato di Fiorentina e di calcio, quando gioca la viola non sono reperibile. Inoltre mi ritengo particolarmente nerd, divoratore di libri, film e serie tv.

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