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Mercoledì, 18 Gennaio 2017 00:00

Zero virgola

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Zero virgola

Provo qui a commentare la situazione sempre più critica in cui versa l’Unione Europea, in ragione dei suoi elementi obiettivi di grande fragilità politica e istituzionale, del panico che serpeggia, sotto alle prese di posizione superdure, nei suoi effettivi poteri del momento, che sono il governo tedesco, la Commissione Europea e l’Eurogruppo, dell’incapacità di questi poteri, vuoi per ragioni elettorali, vuoi per cultura politica (ultra-liberista, ultra-liberoscambista), vuoi per posizione di classe (ultra-antisociale), di affrontare con qualche ragionamento che stia in piedi il disastro possibile: il collasso dell’UE, divenuta, a seguito della svolta statunitense prossima ventura, il classico vaso di coccio tra vasi di ferro (Stati Uniti, Cina, Russia: tre stati, non tre baracconate). Poiché mi trovo da tempo ai margini della politica, nessun danno verrà a chicchessia se sbaglierò analisi e conclusioni.

L’attuale querelle scatenata contro l’Italia, profittando delle sue difficoltà economiche e politiche (che non si chiamano per nulla “debito”: gli Stati Uniti e il Giappone, cioè la prima e la seconda potenza economica del pianeta, lo hanno ben più alto, e sono tali grandi potenze proprio grazie all’uso del debito), ha un significato paradigmatico. La querelle ha due leit-motiv, uno più pretestuoso e inconsistente dell’altro. Il primo è lo sforamento rispetto a impegni precedentemente presi in materia di deficit di bilancio 2017 con la Commissione Europea di nientepopodimeno che dello 0,2% del PIL, che ha portato il commissario Moscovici, francese ex socialista di sinistra, a minacciare persino l’apertura di una procedura d’infrazione, che potrebbe teoricamente portare a sanzioni pecuniarie sino al 2% del PIL, date le regole dissennate di quel fiscal compact che l’Italia, unica nell’UE, collocò addirittura, tramite l’infame governo Monti, nella nostra Costituzione (si tratta dell’impegno al pareggio di bilancio: una cazzata impossibile, non praticata da nessuno dei governi del pianeta), con la giustificazione (falsa come Giuda) che l’Italia era prossima a diventare una seconda Grecia. Alla posizione di Moscovici si è subito unito il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem, laburista olandese di ferrea fede tedesco-liberista. Il secondo leit-motiv della querelle è l’ordine del governo tedesco all’Italia di consegnare alla Commissione Europea, anziché gestirsela in proprio, la questione delle emissioni emesse da una parte della produzione FIAT-Chrisler, superiori al dichiarato. Si tratta di una realtà che coinvolge la totalità delle grandi case automobilistiche, a partire dalla tedeschissima Volkswagen: i cui trucchi sulle emissioni furono ovviamente affrontati in casa. E’ interessante notare come la Commissione Europea si sia immediatamente accodata alla pretesa tedesca.

Insomma l’Italia è sotto tiro, addirittura è riuscita a ricomporre lo schieramento già più che sfilacciato dei poteri europei: questo perché sta violando qualcosa, a parte gli impegni sul deficit? Ma l’Italia non sta violando niente (come invece dovrebbe fare per uscire dai suoi guai economici e sociali), e, aggiungo, anche a livello di deficit di bilancio 2017, se andiamo seriamente a vedere.

Un primo livello di obiezioni alla posizione assunta in materia dalla Commissione Europea può essere questo (mi pare, anzi, che sia quanto stia sostenendo il governo italiano, tramite il ministro Padoan): abbiamo avuto una serie di guai nel corso del 2016, quali l’aumento dei migranti (che l’UE, al di là delle chiacchiere, ha scaricato addosso a Italia e Grecia); abbiamo avuto un’ondata devastante di terremoti; adesso siamo a temperature nordiche. Tutte queste cose costano. Inoltre l’Italia è tuttora in una situazione di deflazione (ciò che giustifica incrementi del deficit stando persino al fiscal compact). Sicché Padoan ha di primo acchito deciso di “trattare”, e Gentiloni a sua volta è in procinto di andare a trovare Angela Merkel e di chiederle di calmare i suoi camerieri. Noto però che successivamente le dichiarazioni di governo, cioè dello stesso Padoan, si sono indurite. Ritengo che sia intervenuto Renzi, preoccupato di come possa reagire politicamente, cioè a tutto danno ulteriore del PD, la nostra popolazione , che ne ha giustamente piene le tasche dell’Unione Europea e della Germania. A sua volta Del Rio ha protestato contro l’ukaze tedesco riguardante le emissioni FIAT-Chrisler.

Ma, a parte che una qualche transazione sul deficit alla fine potrebbe funzionare, cioè non è da escludere che si avvii una trattativa tra governo italiano da una parte e Commissione Europea ed Eurogruppo dall’altra suscettibile, per dire, di concordare uno sforamento dello 0,1% anziché dello 0,2, si tratta di una cosa seria, sul piano del ragionamento economico? Cioè, concretamente, si tratta di cifre queste che significano davvero qualcosa? O esse non significano in realtà nulla? Risposta: si tratta ci cifre che non significano proprio nulla. L’“errore standard” (il margine statistico di errore) dentro ai calcoli che portano a definire andamenti del PIL, del deficit, del debito di un paese è grosso modo attorno all’1%: in conclusione, la situazione italiana potrebbe essere in realtà caratterizzata da un incremento ben superiore del deficit rispetto agli impegni a suo tempo presi, oppure caratterizzata dal fatto di non aver sforato niente, oppure dal fatto di avere ridotto significativamente il proprio deficit rispetto a tali impegni. Non basta: l’Italia è in deflazione, cioè ha una parte congrua del suo sistema dei prezzi che li vede calanti, e questo significa che il calcolo statistico tende a dilatare il suo deficit di bilancio. Il PIL è misurato tenendo conto dei valori di mercato della totalità dei beni e servizi prodotti in un anno: se essi calano è come dire, facendo i conti a fine anno, che si è prodotto in valore meno di quanto si sarebbe prodotto a prezzi stabili o, a maggior ragione, a prezzi crescenti.

Siccome è da presumere che queste cose Commissione Europea, Eurogruppo, governanti tedeschi le sappiano, giova chiedersi: perché un tale polverone?
Penso questo: che si tratti di una reazione al panico determinata da ben altri fatti (li indicherò tra poco) la cui forma, data l’arroganza padronale dell’attuale ceto politico europeo di comando, ultra-liberista, amorale, antisociale, è quella della chiamata alle armi e della minaccia di ritorsioni ai refrattari, siano essi tali perché i loro paesi sono molto inguaiati (dunque sono molto inguaiati, ormai, i loro governi, i loro partiti, la loro credibilità nelle popolazioni): e l’Italia, e con essa il resto del versante meridionale dell’UE, è tra questi paesi. Se essa segue le pretese della Germania e dei suoi camerieri il paese sprofonda e, ancor peggio, dal punto di vista dei nostri attuali ceti di governo, sprofondano i loro partiti e vengono fatti fuori dal Movimento5Stelle; ma se essa non segue le pretese della Germania, ecco che tocca a Merkel, al suo futuro risultato elettorale, alla tenuta del suo sodalizio con la socialdemocrazia, alla continuazione del suo protettorato economico sull’UE di, quanto meno, vacillare.

I guai tedeschi non vanno per niente sottovalutati. Fondamentalmente, l’ho accennato, si tratta del fatto che l’UE è la grande realtà politica ed economica che ha oggi il ruolo del vaso di coccio, prima di tutto perché non è uno stato, e dunque se vi si disgregano la solidarietà, la cooperazione e la complicità tra i suoi ceti e partiti tradizionali di governo non funziona più niente. E questo ruolo, che sin dall’inizio della crisi del 2008 aveva cominciato a palesarsi, non solo è venuto via via aggravandosi, data la superiore capacità di reazione degli altri grandi sistemi, in quanto stati, ma è diventato adesso uno dei punti su cui picchia Trump senza riguardo alcuno, anzi sollecitando la disgregazione stessa dell’UE, come mostra l’incoraggiamento a una brexit radicale da parte della Gran Bretagna (mentre sul versante geografico opposto Putin, che probabilmente ha in mano Trump, tende a catturare Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Moldavia, Turchia, Cipro). Lasciamo perdere il realismo o meno delle dichiarazioni e posizioni di Trump ed evitiamo di fare profezie su quel che effettivamente combinerà su una serie di terreni: ciò che mi pare abbastanza chiaro è che egli ha un disegno di reindustrializzazione degli Stati Uniti, che ciò ritenga praticabile solo ricentralizzando gli investimenti statunitensi e rinegoziando i trattati commerciali liberoscambisti che vincolano da più lati e in più modi gli Stati Uniti, dunque, in concreto riducendo le importazioni da parte dei grandi esportatori planetari. Fino a ieri Trump aveva preso a bersaglio la Cina: ma la Cina non è più, da un anno circa, il maggiore esportatore del pianeta, il primo grande esportatore è diventata la Germania. Donde il recente duro attacco a questo paese, ovvero al fatto (assolutamente vero) che esso ha succursalizzato ai suoi interessi economici l’intera UE. Ora, la Germania esporta il 40% del suo PIL, certamente soprattutto negli altri paesi dell’UE, ma per un buon 20% negli Stati Uniti. Si tratta soprattutto di alta tecnologia: un sacco di soldi. E che cosa succederà se, per esempio, Trump metterà dazi sulle importazioni estere, obbligherà le industrie statunitensi a spostare investimenti all’estero sul proprio paese, ecc. (anzi quest’ultima cosa è già cominciata)? Succederà che lo sbilanciamento assolutamente irrazionale del modello produttivo della Germania subirà grandi scossoni e grandi guai, che il suo surplus commerciale (al 9%: in deroga al Trattato di Maastricht) si ridurrà e di parecchio, e che, se è vero che essa potrà tentare di esportare in Europa tali scossoni e guai, riuscirà a farlo solo faticosamente e in parte. Grandi guai economici, dunque; e suscettibili molto facilmente di trasformare in grandi guai sociali e politici quelli che per adesso sono solo piccoli guai.

L’UE si rivelerà una risorsa o, ancor più di oggi, per come è orientata e gestita, un cappio al collo delle economie più deboli, come quelle dell’est, o più fragili, come quella italiana? Certamente se i metodi della Commissione Europea e dell’Eurogruppo, ma, più in generale, se l’UE non riuscirà a ridefinirsi, democratizzandosi e rovesciando i suoi attuali indirizzi di politica economica e sociale, una regressione della situazione complessiva dei suoi paesi e dei rapporti tra essi è da mettere tutta in conto.
Il problema della sinistra europea, anziché continuare a essere pavida e subalterna oppure sbizzarrirsi su cose che non è per niente in grado di valutare e ancor meno di controllare e di determinare, come il superamento o meno dell’euro, dovrebbe essere quello di portare le classi popolari europee e di quelle stesse medie ad aprire nei confronti dei poteri dell’UE scontri molto concreti, e in questo senso “limitati”, sui terreni i cui andamenti siano percepiti da tali classi come fondamentali dal punto di vista delle loro condizioni di vita, di lavoro, ecc. Lo sfascio dell’UE può essere prevenuto, io penso, se interverrà in tempi politici, quindi rapidamente, un tale orientamento delle sinistre.

Per fare un esempio di come dover operare, occorrerebbe respingere da parte italiana ogni tentativo di imporre una revisione del deficit di bilancio 2017 e dichiarare, dinanzi a ogni minaccia di procedure di infrazione o d’altra natura, che esse verrebbero rinviate al mittente e che l’Italia potrebbe formalmente sfiduciare Commissione Europea ed Eurogruppo. Il fiscal compact è accompagnato da poteri di intervento diretto della Commissione Europea sulle leggi di bilancio dei paesi della zona euro e dalla possibilità che alle procedure di infrazione segua una multa salata: occorre che appaia molto chiaro che l’Italia respingerà ogni tentativo in questo senso. Sottolineo: o le sinistre o chicchessia si muoveranno così, in Italia e altrove, o lo sfascio dell’UE, e una serie di disastri a catena di ogni tipo, sarà molto difficile evitarli.

Ultima modifica il Martedì, 17 Gennaio 2017 17:10
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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