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Martedì, 02 Maggio 2017 00:00

La Francia verso l'enarchia?

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La Francia verso l'enarchia?

Tutti sanno che l’anarchia è l’assenza di qualsiasi governo, potere o autorità; l’enarchia è invece il governo dell’ENA (École nationale d'administration), la scuola che prepara l’alta e l’altissima dirigenza della Repubblica francese, che dal 2005 – sarà un caso? – è stata trasferita da Parigi a Strasburgo.

Non si tratta come molti potrebbero credere di semplice tecnocrazia o burocrazia, a differenza di queste (soprattutto nel caso italiano), vanta un’efficienza a tutta prova.
Se volessimo fare un paragone essa ha oggi pressoché lo stesso ruolo che nell’ancien régime avevano la nobiltà di toga, o di spada, o l’alto clero; anzi si potrebbe affermare che è proprio a quest’ultimo che può essere paragonata, i suoi esponenti sono veri e propri vescovi, arcivescovi, abati e cardinali del culto della Dea Efficienza, che non solo non è quello cattolico, ma neanche quello della Dea Ragione, anche se vorrebbe assomigliargli.
Inoltre l’enarchia ha da tempo conquistato solide posizioni, dei sette presidenti succedutesi alla guida della Republique dal 1958 ad oggi, ben tre (Giscard d’Estaing, Chirac e Hollande) provengono dall’ENA, mentre solo uno (De Gaulle) dalla prestigiosa accademia militare di Saint Cyr.
Hanno inoltre frequentato l’ENA sette premier e numerosi ministri, nonché … attenzione … Emmanuel Macron il candidato euro centrista che ha serie possibilità di conquistare la presidenza.

Comunque la Le Pen non è stata con le mani in mano, ed incassato il suo appoggio al ballottaggio, ha designato come primo ministro Nicolas Dupont-Aignan, candidato che al primo turno ha ottenuto il 4,7%), anche lui proveniente dall’ École nationale d'administration.
Il fatto è che i diplomati di quella che i francesi chiamano l'école du pouvoir hanno già conquistato posizioni importanti, ma l’impasse politique che si preannuncia, potrebbero conquistarne assai di più, forse fino al punto di cambiare la stessa fisionomia istituzionale della Francia.

Questo scenario, sia pure con diversi percorsi evolutivi, può verificarsi sia nel casi di vittoria dell’uno e dell’altra dei due candidati andati al ballottaggio. A questo punto è necessaria un richiamo alla legge elettorale per la camera dei deputati, al quadro politico e ai poteri presidenziali.
Le elezioni in Francia avvengono in collegi uninominali, per essere eletto deputato un candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti validi in un numero pari almeno ad un quarto degli elettori iscritti. Se nessun candidato assolve a questo doppio requisito, si va a ballottaggio, al quale accedono i candidati che hanno conseguito suffragi pari almeno ad un ottavo degli elettori iscritti, se nessun candidato raggiunge questo quorum vanno al secondo turno i due più votati. Si tratta di ballottaggio “aperto”, che può risolversi in duelli triangolari o quadrangolari e non solo fra due contendenti.
Per essere eletti al secondo turno è sufficiente la maggioranza semplice.

Questo sistema può funzionare e assicurare stabili maggioranze parlamentari alla condizione che il quadro politico, pur in un ambito pluripartitico e non semplicemente bipartitico, si registra la preminenza di una forza politica nell’ambito di uno schieramento.
Così è stato per decenni per i socialisti nell’ambito della gauche e dei gollisti in quello della droite, attraverso la cosiddetta disciplina repubblicana, ovvero il ritiro a favore della candidatura meglio piazzata, anche quando i voti ottenuti avessero permesso l’accesso al ballottaggio.
Allorquando però queste condizioni vengono a mancare o per l’emergere di una forza politica non assimilabile ad uno schieramento esistente o per il ribaltamento dei rapporti di forza in un altro, il sistema entra in crisi e non può più garantire maggioranze omogenee e stabili. Macron e la Le Pen posso accedere alla presidenza, ma non è affatto assicurato che possano conseguire una maggioranza alla Camera dei Deputati omogenea con quella presidenziale.

Macron perché non dispone di una sua propria solida organizzazione politica, ed è costretto a “prendere in prestito” il sostegno interessato del notabilato socialista e dell’entourage di Fillon, finendo per apparire agli occhi dei francesi un demiprésident. La Le Pen, che invece dispone di un partito politico organizzato, rischia invece di trovarsi senza maggioranza parlamentare per il semplice motivo di un totale isolamento.
In ogni caso la coabitazione è una soluzione non più praticabile, essa poteva funzionare tra forze politiche in pratica della stessa consistenza che condividevano scelte fondamentali di politica estera, difesa ed politiche economiche, ma con la questione Europa di mezzo, è del tutto impossibile questa ipotesi con l’elezione della Le Pen, sostituibile con quella di una grande coalizione con quella di Macron che darebbe maggiori assicurazioni di renaissance a gollisti e socialisti. La stesa promulgazione di un referendum sull’Unione europea e sull’euro ad esempio, che è uno dei cavalli di battaglia di Marine Le Pen, risulterebbe impossibile in quanto il presidente può promuovere un referendum solo su proposta del governo o congiunta delle due camere.

Rimane il ricorso allo stato d’eccezione previsto dall’articolo 16 della costituzione allorquando: “… le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della Nazione, l’integrità del territorio o l’esecuzione degli impegni internazionali sono minacciati in maniera grave ed immediata e il regolare funzionamento dei poteri pubblici costituzionali è interrotto, …”; disposizione costituzionale a cui è stato fatto ricorso solo una volta, dal 23 aprile al 29 settembre 1961 nel corso della crisi di Algeri, anche se messa in atto più contro il PCF che i generali golpisti. Inoltre non mancherebbero i problemi per un presidente che volesse avvalersene: l’assemblea nazionale non può essere sciolta durante il periodo di stato d’eccezione, il parlamento può continuare a riunirsi di pieno diritto, sessanta deputati e senatori possono ricorrere al Consiglio costituzionale che deve pronunciarsi entro termini rigorosamente.

Eppoi oggi i colpi di stato si fanno in maniera diversa, in un paese avanzato come è oggi la Francia i Massu o i Saint Arnaud che muovono le truppe non servono, servono uomini che muovano capitali, che manovrino la finanza, che gestiscano le banche, ecc. ecc., in maniera dolce e persuasiva, che riescano a cambiare tutto affinché nulla cambi, che è poi un motto di spirito francese preso in prestito dal principe Fabrizio di Salina. Ecco perché il futuro francese si giocherà sul ruolo che assumeranno i gran commis pubblici e sulle loro relazioni con i grandi manager privati. Meno male che alle presidenziali siano emersi poderosi anticorpi, contro il fascismo lepenista e contro l’Europa dei grandi poteri economici e finanziari.
In ogni caso la V Repubblica è finita, comincia un grande compito per la sinistra francese, quella vera, lottare affinché la VI sia davvero più libera, più uguale e più fraterna.

Per chi volesse leggere qualcosa di insolito sull’argomento e sulla mentalità di una certa Francia, consiglio due testi:
1) Tecnocrazia e politica di Jean Meynaud; traduzione di Maria Teresa Bellinzier; introduzione di Franco Ferrarotti. Datato, ma interessante per chi voglia conoscere gli intrecci tra alta dirigenza e potere.
2) Il diario di una cameriera: romanzo di Octave Mirbeau; introduzione di Michel Mercier; traduzione di Anna Franchi. Per chi volesse approfondire il clima e l’ambiente in cui si crea la mentalità lepenista.
3) Dallo stesso romanzo il film di Louis Bunuel (1964) con Jeanne Moreau e Michel Piccoli.

Ultima modifica il Lunedì, 01 Maggio 2017 22:17
Francesco De Collibus

Nato a Pescara nel 1979, vivo a Milano. Curo la parte del Becco Affilato

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