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Sabato, 18 Maggio 2013 14:48

Siria. Mussalaha: la soluzione che non si vuole vedere

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Di ritorno da Libano e Siria

Mussalaha significa, in arabo, riconciliazione, fra parti che si contrappongono anche in armi. All’opposto, musallaha significa lotta armata e musallahin uomini armati. Un po’ come salàm significa pace e àlam dolore, e la guerra non è sinonimo di dolore?

In Siria esistono molti musallahin fra i quali circa 50mila combattenti stranieri provenienti da oltre venti paesi, attirati sulla via di Damasco chi dalla remunerazione (Qatar e Arabia Saudita principali datori di lavoro) chi dalla prospettiva del paradiso con fiori e ragazze, chi dal sogno di un emirato universale. Ma in Siria esistono anche molti “combattenti disarmati per la pace”, molti mussalahin! E in sostegno alla mission impossible di questi attori del dialogo – religiosi e laici – una delegazione di pacifisti ed esperti di soluzione dei conflitti si è recata in Siria, guidata dalla premio Nobel per la pace nord-irlandese Mairead Maguire.

Nei giorni libanesi, prima di entrare in Siria, la delegazione ha voluto incontrare attori politici regionali e locali ai quali veicolare il messaggio di riconciliazione popolare dal basso, che presuppone però la fine delle ingerenze esterne belligeranti, e il sostegno internazionale a un vero dialogo.

Per questo gli organizzatori hanno contattato perfino le ambasciate in Libano del Qatar e dell’Arabia Saudita, due ambasciate che in Italia sono state oggetto, l’anno scorso, di nostre manifestazioni: i due paesi sono in prima linea insieme alla Turchia nel sostenere fin dall’inizio della crisi e in tutti i modi  l’opposizione armata che si è impossessata delle parole d’ordine “democrazia, diritti umani”. Ma l’udienza non è stata concessa, con scuse. Incontriamo invece, a parte l’ambasciatore siriano, il politico libanese Michel Aoun e l’ambasciatore iraniano. Incontri sul che fare; e sul che cosa non fare.

Michel Aoun: “Ricordare le contrapposizioni per non ripeterle”

Michel Aoun, ex generale cristiano, è il leader del Free Progressive Movement alleato con Hezbollah. Evoca la destabilizzazione che può provocare in Libano il grande afflusso di rifugiati dalla Siria, 400mila registrati più altri: “E’ come se negli Stati Uniti di colpo arrivassero decine di milioni di persone. E’ anche un questione di ordine pubblico. E gli aiuti al paese per fronteggiare l’emergenza sono scarsissimi”. E c’è il grande fenomeno dei cristiani che lasciano il Medio Oriente, non solo nel caso dell’Iraq. “L’emigrazione di cristiani da tutto il Medio Oriente cambierà la fisionomia dell’area. Faccio l’esempio di Israele, terrasanta, dove i cristiani rimasti sono pochissimi e i loro luoghi di culto sono diventati siti turistici amministrati dagli israeliani. Stato confessionale e razziale, Israele. Una situazione che si potrebbe generalizzare arrivando perfino alla creazione di staterelli confessionali. Usa, Unione Europea, Israele e alcuni stati arabi sono responsabili di una catastrofe. Del resto Condoleezza Rice non parlò nel 2007 di anarchia costruttiva’ in Medio Oriente come della situazione più conveniente per gli Usa?”. Sull’attacco israeliano alla Siria, Aoun dice: “C’era una tregua in corso, lo stato ebraico ha fatto un atto gravissimo e chissà a cosa potrebbe portare”.

E in Siria: “C’è una guerra per procura in corso, per controllare l’area. Non è più una guerra fra siriani, da fuori sono venuti in tanti a cambiare tutto lo scenario, ciascuno per i suoi obiettivi.  La Siria era più vicina alla Russia ed ecco perché la guerra in Siria è sostenuta dai paesi più vicini agli Usa – la cosiddetta Coalizione siriana dell’opposizione è un pupazzo nelle loro mani – mentre  la Russia fa resistenza a un intervento diretto.  Ci vuole un dialogo costruttivo fra tutte le parti. Ma come portare le parti al dialogo? Lo impedisce l’arrivo di armi da fuori, l’ingerenza di paesi per nulla democratici. Bisogna imporre un vero cessate il fuoco, il che in teoria è possibilissimo, ma chi parla di negoziati sta poi fomentando il contrario. Così la Siria è un campo di battaglia dove gli imperatori usano il pollice verso. Vogliamo che la smettano”.

Ma dopo tante lacerazioni, è mai possibile mettere una pietra sopra e riconciliarsi, anche se finissero le ingerenze esterne? Per sottolineare quanto sia possibile la riconciliazione, Aounricorda la sua storia: “Quando in Libano c’erano le truppe siriane, io ero nella resistenza. Ma dopo il loro ritiro, a guerra finita, era giusto e positivo costruire relazioni pacifiche e ricostruire insieme un futuro fra paesi confinanti che condividono cultura e storia. Ricordando quei giorni per non ripeterli”.

Pace dal basso o dall’alto?

Michel Aoun dunque ritiene che la prima tappa, per il negoziato fra le parti verso una soluzione politica, sia un cessate il fuoco: “e sarebbe del tutto possibile determinarlo, con l’influenza  internazionale”.

Ma il premio Nobel per la pace 1976 Mairead Maguire si chiede: “Una tregua decisa dall’alto, mentre fra la popolazione i rancori, la diffidenza  non si sono scioli, potrà durare? Potrà essere costruttiva, superare la guerra? In Irlanda del Nord con Peace People, abbiamo fatto il percorso inverso: la riconciliazione fra comunità, casa per casa, fondata sulle donne. Calmatevi, deponete le armi, parlate. La Siria si riconcilierà quando le comunità si metteranno insieme a lavorare per la pace. Le comunità, il popolo faranno allora pressione sui governi. Alla fine dopo il lavoro per la pace dal basso, ci si sono messi anche i governi irlandese e britannico, ad agire per la fine del conflitto. E abbiamo avuto bisogno di loro, per convincere i loro alleati locali a smetterla”.

Aoun non è d’accordo sulle priorità temporali: “Finché non si smette di combattere e non si calmano le cose, non si riuscirà a fare la pace fra la gente, la pace dal basso! Ci vuole un cessate il fuoco, anche affinché le ferite causate dalle atrocità degli scontri si rimarginino e la gente si convinca ad arrivare a odiare che è dietro la guerra. Ma senza tregua, non può succedere”. E quanto al ruolo dei governi esterni e della cosiddetta “comunità internazionale”, “rispetto all’Irlanda le ingerenze che fomentano la guerra in Siria sono molto più gravi e provengono da tante parti”. Ma sarebbe “proprio la comunità internazionale a poter garantire se lo volesse il cessate il fuoco, che altrimenti sarebbe violato come già successo in passato”.

Mairead sottolinea poi che si deve creare una situazione winwin anche in Siria: “La gente che scendeva in strada per le riforme deve pensare che non ha perso, le riforme vanno fatte e i prigionieri liberati”, ma è d’accordo che gli stati devono smettere di sostenere i gruppi armati finanziariamente, militarmente e politicamente e agire per il dialogo: Usa, Unione Europea, paesi arabi, smettano questa follia della loro interferenza, e Israele smetta di compiere atti di guerra”; “Un singolo stato non può portare la pace, un comunità di stati sì”.

Comunque, come dice un’altra irlandese della delegazione, Anna Patterson, “è la pace che è la condizione normale, bisogna che le persone capiscano questo. La guerra è anormale”.

Piani di pace e i sei punti ignorati dell’Iran

E’ utile riportare le parole dell’ambasciatore dell’Iran in Libano perché, interessi del suo paese a parte, riassumono una proposta condivisibile e logica. Premessa: “Siamo al terzo anno di guerra, perché i paesi occidentali e del Golfo fin dall’inizio hanno detto ‘non c’è più tempo per le riforme’. In realtà a quei paesi non interessano  democrazia, diritti umani e riforme; c’è il fatto che la Siria sostiene la resistenza contro Israele, e ci sono gli interessi geostrategici”. E l’Iran che fa? “Ci dicono che siamo dalla parte del governo siriano contro la popolazione. Ma da tempo gli scontri sono in realtà fra esercito e gruppi armati teleguidati dall’esterno. E l’esercito è aiutato da cittadini di ogni età che di notte e di giorno presidiano i checkpoint”. Cosa fa l’Iran perché finisca la guerra e il popolo siriano possa prendere decisioni autonome? “Nella conferenza del Movimento dei non allineati (Nam) svoltasi nel 2012 a Teheran l’Iran si è detto pronto e ha offerto una iniziativa di pace in sei punti. Stop alle violenze. E per arrivarci, stop all’arrivo di fondamentalisti  e uomini e denaro dal fuori: gli Usa devono ordinare a Qatar, Arabia Saudita e altri di smetterla. Se si smette il  sostegno esterno ai gruppi armati, la violenza si fermerà, il cessate il fuoco potrà essere applicato. Quando Kofi Annan ottenne che l’esercito si ritirasse dalle città, i terroristi ne approfittarono per occupare e insediarsi. Con un vero cessate il fuoco, si aprirà la strada al dialogo. Il dialogo, chiedono gli occidentali, deve farsi senza Assad. Ma non possiamo accettare che siano decisioni esterne. Per noi la sovranità nazionale è sacra. La democrazia si può fare solo con un governo eletto dai siriani stessi. Tutte le parti devono essere coinvolte. Quindi dopo il cessate il fuoco e con il dialogo, si arriverà prima alle elezioni legislative trasparenti, sotto egida internazionale, poi alle elezioni presidenziali.

Mairead Maguire è d’accordo che demonizzare il leader e pensare che rimosso quello, ci sarà la democrazia, è folle. E ribadisce la necessità di empowerment delle comunità per la riconciliazione dal basso.

Ma l’Iran, che chiede di smettere la fornitura di armi e aiuti all’opposizione armata, una fornitura in effetti illegale dal punto di vista del diritto internazionale, è disposto a smettere di fornire armi al governo siriano anche se questo commercio fra stati è legale? “Questo è irreale. Abbiamo visto cos’è successo quando l’esercito si è ritirato su richiesta di Annan. I gruppi si sono impossessati delle città. L’esercito siriano è un esercito formale, ha anche l’obbligo di garantire la sicurezza del paese. Gli altri sono gruppi armati irregolari”.

Il sostegno militare russo e iraniano al governo siriano è evocato da altri paesi come scusa per non interrompere la fornitura di armi agli oppositori, che devono poter “difendere i civili”. E questa scusa sarà usata finché non si riuscirà a far passare l’idea che la contrapposizione fra un esercito anti-popolo e il popolo più un’opposizione pro-popolo (con conseguente “necessità” di armare quest’ultima per proteggere il popolo) è falsa, che la situazione è ben più complicata e che è assolutamente necessario per il bene della pace e del popolo smettere di sostenere i gruppi armati.

 Immagine presa da: www.laporzione.it

Ultima modifica il Sabato, 18 Maggio 2013 15:07
Marinella Correggia

Ecoattivista e attivista per la pace. È anche giornalista e scrittrice: è stata in numerosi paesi del Medio Oriente (oltre che nei balcani), collabora con il Manifesto e il sito www.sibialiria.org

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