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Venerdì, 21 Dicembre 2012 00:00

Le elezioni venezuelane del 16 dicembre

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Immagine tratta da talcuadigital.com

Le elezioni il 16 dicembre scorso negli stati federati che compongono il Venezuela hanno premiato assai le liste “patriottiche” dell’alleanza che appoggia il presidente Hugo Chávez, comprensiva del Partito Socialista Unito, del Partito Comunista (tranne che in 4 stati), di formazioni politiche minori, di associazioni.

Esse hanno infatti segnalato la crescita del consenso sociale all’orientamento socialista della presidenza Chávez: dei 28 stati che compongono il Venezuela ben 25 hanno dato la maggioranza alle liste “patriottiche”, mentre alle elezioni precedenti erano stati 20. 

Gli argomenti usati dall’opposizione sono stati la malattia di Chávez, che renderebbe il governo incapace di operare, il fallimento dell’obiettivo del contrasto alla criminalità, molto forte nella capitale Caracas, vari fenomeni di corruzione nello stato. Si tratta dei medesimi argomenti della recentissima campagna elettorale per l’elezione del presidente della repubblica, e che vi avevano avuto una certa presa. Quelli del fallimento nel contrasto alla criminalità e della corruzione sono in effetti argomenti reali. Quello che la malattia di Chávez ne renderebbe inerte il governo è invece pretestuoso, tuttavia aveva fatto breccia, in quanto sostenuto da un candidato giovane, Henrique Capriles, e da un programma che non si proponeva più la distruzione delle riforme sociali effettuate dalla presidenza Chávez (ma, vincendo Capriles, il Venezuela sarebbe stato restituito al dominio del mercato, non avrebbe più usato la rendita petrolifera per finanziare lo “stato sociale”, avrebbe tolto di mezzo la Costituzione socialista, avrebbe rotto con Cuba e gli altri governi socialisti latino-americani, ecc.: insomma avrebbe fatto del suo meglio per erodere le riforme sociali e poi toglierle di mezzo).

I punti forti della sinistra venezuelana sono rappresentati dal complesso delle misure adottate dal momento della prima vittoria elettorale di Chávez per la presidenza (nel 1998), che possono essere raggruppate sotto due voci: le riforme istituzionali, e cioè una Costituzione socialista, la riforma della rappresentanza (caratterizzata dall’abolizione di ogni privilegio, dal mandato imperativo da parte degli elettori e dal loro diritto di revoca dei propri rappresentanti), un sistema diffuso di organismi di potere popolare, in forma assembleare, consiliare, consultiva, ecc. (nei quartieri, nei paesi, nelle fabbriche, nella scuola, nella sanità, ecc.); e le riforme sociali, cioè, prima di tutto, la realizzazione di un sistema sanitario pubblico a cui possa accedere l’intera popolazione (la cui grande maggioranza, poveri che vivono nelle baracche delle periferie urbane e nelle comunità contadine o indigene non disponevano neanche di presidi sanitari minimi e quindi della possibilità di cure elementari) e la costruzione di un sistema di istruzione pubblico anche al quale potesse accedere l’intera popolazione.

Aggiungo che un grande sforzo è stato effettuato pure su obiettivi che in Europa occidentale risultano impensabili: il censimento della totalità della popolazione povera (buona parte dei bimbi nati nei barrios urbani e di quelli nati nella campagna marginale e nella selva non era denunciata alla nascita all’anagrafe, non solo perché nascevano fuori da ogni presidio sanitario ma anche perché lo stato era solo furto e brutale repressione antisociali); il censimento dell’immensa quantità di povera gente psichicamente devastata dalle condizioni di vita e la costruzione per essa di spazi aperti dove trovare la doccia, avere un pasto, dormire, riunirsi in assemblea a discutere dei propri problemi, eleggere propri rappresentanti; la costruzione di spazi analoghi per la grande quantità di “bambini di strada”.

Tenterò prossimamente di affrontare le caratteristiche del processo istituzionale venezuelano, anche per meglio argomentare l’effettività di tutto questo, con particolare attenzione a ciò che vi si intende (e si intende in altri paesi latino-americani) per “democrazia partecipativa”, inoltre di descrivere quello che è stato il particolarissimo processo di formazione della sua gestione politica organizzata (la rivoluzione socialista in corso in Venezuela è avvenuta senza avere dal proprio lato e a propria guida un grande partito di massa! Esso invece è in corso di costruzione da un certo tempo).

Il contesto venezuelano, come forse si intuisce, è molto diverso dal nostro: tuttavia può risultarci egualmente istruttivo.

L’ultima osservazione è che il Venezuela non sarebbe riuscito neanche a partire nel suo processo di riforme sociali senza l’aiuto di Cuba. Esso era un paese che produceva medici e insegnanti borghesi per la sua ridotta borghesia, per l’80% della popolazione non c’era nulla o quasi nulla (salvo che per i lavoratori del settore petrolifero). Cuba ha mandato in Venezuela 20 mila medici e 15 mila insegnanti! In cambio il Venezuela manda a Cuba petrolio e derivati a prezzi ridotti ai puri costi di produzione e trasporto.

Naturalmente l’opposizione venezuelana afferma che si tratta di denaro buttato via. Ma anche su come si sta sviluppando e istituzionalizzando la solidarietà, non solo politica, in America latina si tratterà di tornare.

Ultima modifica il Venerdì, 21 Dicembre 2012 15:24
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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