Parlare delle condizioni in cui versa il vecchio continente oggi è possibile solo facendo la dovuta premessa: siamo in una fase ampiamente post-democratica, in cui le élite economiche hanno ormai preso largamente il sopravvento su di una cittadinanza frastornata che si dibatte tra l'apatia politica e i rigurgiti populisti, che alterna il consenso sottomesso alla logica delle élite all'insoddisfazione permanente verso la classe politica. Sono tutte sfaccettature di un fenomeno complesso che occorre studiare, per cambiare, e che quando non crea strane forme di Sindrome di Stoccolma amplia comunque a dismisura la sterilità del dissenso politico.
Firenze in questi giorni è tornata ad essere al centro della discussione di quello che potrebbe diventare un importante movimento a livello nazionale.
Anche questa volta, ahinoi, tutto è partito dal caro ex simbolo: Renzi, che è approdato in Europa con la solita, lagnante retorica di “Firenze, la città più bella del mondo”, ha pensato bene di proporla, questa città, per il prossimo vertice del G7.
Vai a Bruxelles alla fine della settimana durante la quale la Commissione Europea ha discusso l'accordo del TTIP e resti amareggiata constatando che il disinteresse nei confronti dell'argomento che regna in Italia non è così estraneo oltre le Alpi.
Eppure, il fatto che le discussioni portate avanti dalla Commissione Europea siano segretate e che nella gestione dello scandalo sullo spionaggio da parte dell'NSA sia avvenuta trattenendo al massimo i nervi onde evitare decisioni affrettate e rotture tra le due sponde dell'Atlantico dovrebbero essere dei segnali. E invece no, in Italia quasi nessuno parla del Transatlantic Trade and Investment Partnership, l'accordo che permetterà di creare un'unione doganale tra Europa, Stati Uniti e Canada dando così realizzazione al recondito sogno della “NATO del commercio”.
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