Appresa la notizia che la Borsa di Milano in meno di un mese e mezzo ha bruciato un quarto del suo valore (oltre 140 miliardi di euro) bisognerebbe interrogare a fondo i nostri politici (anche europei, vedi le dichiarazioni di ieri di Dijsselbloem) e per prima cosa chieder loro conto di tutte le balle sparate in questo mese e mezzo sulla "volatilità". Infatti se c'è un crollo verticale dei valori azionari non c'è volatilità e incertezza, le due cose si escludono vicendevolmente a meno di non voler negare i numeri e la matematica.

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Venerdì, 29 Gennaio 2016 00:00

Per un'analisi di classe del mondo del lavoro

Di Alex Marsaglia per il numero cartaceo di dicembre

L'ultimo studio di ampia portata che tentò di delineare l'impatto del progresso tecnologico e di altre forze come la direzione scientifica del lavoro sullo sviluppo del capitalismo, nell'accezione monopolistica è quello di Harry Braverman nell'ormai lontano 1974. In “Lavoro e capitale monopolistico. La degradazione del lavoro nel XX secolo” l'autore descriveva gli effetti sul processo lavorativo del neocapitalismo, appoggiandosi alla concezione di questo definita nel 1966 da Paul A. Baran e Paul M. Sweezy ne “Il capitale monopolistico”. Nella prefazione al libro di Braverman, lo stesso Sweezy ricordava come non vi fosse altro argomento tanto importante per il capitalismo come quello di nascondere la verità sulla natura del lavoro e la composizione della classe lavoratrice, rimproverando “l'ingenuità di aver tranquillamente bevuto il mito di un enorme declino della percentuale di forze di lavoro non qualificate negli ultimi cinquant'anni”.

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Forme architettoniche postmoderne aggressive ed esuberanti, spaziosi pavimenti dai colori sgargianti, altissimi soffitti con maestose volte d’acciaio e vetro, in un incontro continuo fra terra e acqua, oriente e occidente, è quello che si presenta agli occhi dello spettatore che non può non rimanere incantato di fronte alla abbagliante magniloquenza e ai continui richiami retro-futuristi del Dubai Mall, inaugurato sei anni fa nel cuore della città degli Emirati. Si tratta del più grande centro commerciale al mondo per superficie totale, uno sconfinato spazio contenente 635 negozi, un hotel con 250 camere di lusso, 22 schermi cinematografici e 120 fra negozi e ristoranti che, pur nella loro smisuratezza, impallidiscono al cospetto dell’enorme acquario e zoo sottomarino del mall, con i suoi 10 milioni di litri d’acqua e le centinaia di specie marine contenute o di fronte al grandioso parco tematico SEGA Republic, dedicato ai videogiochi della celebre casa produttrice giapponese.

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Domenica, 17 Maggio 2015 00:00

È Bene! Quando è comune.

È Bene! Quando è comune.

La redazione di questo personale contributo non vuole, nelle intenzioni di chi scrive, portare alla solita riflessione esegetica sul significato dei beni comuni oggi declinandolo sul piano nazionale, o essere l’ennesima pagina di un dibattito aperto da tempo e mai (purtroppo) concluso.
La riflessione prende spunto dall’avanzata in questi ultimi anni di azioni umane determinate da quello che si può perfettamente classificare come turbocapitalismo, un processo di totale smembramento delle collettività. La storia, del resto, ha insegnato; chi detiene il potere sia politico ed economico deve necessariamente dividere. Dividi et Impera dicevano i romani, a cui seguiva la frase pre-confenzionata: Parcere subiectis et debellare superbos (in soldoni “buoni” con i sottomessi, e cattivi fino a debellarli con i superbi). Non è mia intenzione partire seguendo un’iperbole storica lunga duemila anni, del resto il nostro mondo si basa ovviamente, su presupposti completamente differenti.

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Mercoledì, 13 Maggio 2015 00:00

Il nostro perché

Il nostro perché

Come molti di voi sapranno, quando ho chiesto suggerimenti relativamente al contenuto di questo intervento, mi è stato detto di parlare “dell’uomo, del socialismo, del capitalismo”. Generiche e dispersive, queste tematiche solo in fase esplorativa richiederebbero ore e ore di discussione, ma sono in realtà anche un ottimo punto di partenza per una piccola riflessione del rapporto che lega la realtà sociale con Il Becco e il suo progetto.

Uomo, socialismo, Capitalismo. Indubbiamente l’unico di questi concetti a godere di una certa salute è il terzo: capitalismo. L’uomo è stato modernamente lacerato nella sua identità individuale, ormai in frantumi o liquefatta, le sue fondazioni metafisiche che lo consideravano soggetto ordinatore razionale del mondo, autocosciente, libero e autonomo sono state prima messe in crisi dai “filosofi del sospetto” e poi disintegrate dalle filosofie strutturaliste e post-strutturaliste; anche il socialismo, con la caduta del Muro di Berlino, quando non considerato un offesa o un insulto, è nel migliore dei casi interpretato come la fine della modernità ovvero come l’infrangersi del sogno di progresso ed emancipazione dell’occidente. A dominare un contesto in cui la storia non è finita ma non sta neanche troppo bene, resta solo il capitalismo.

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Scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo […], scegliete la vita”.

Tutti questi pressanti imperativi sociali, efficacemente descritti nella scena iniziale di Trainspotting e a cui il protagonista Mark Renton cerca disperatamente di fuggire, sulle note di Lust for Life di Iggy Pop, in nome di una vita più autentica e più libera, sono già il passato. Il sistema non ti chiede più di rispettare un orizzonte normativo ristretto e monotono; al contrario: la società e le forme economiche che la sorreggono gridano in coro la tua libertà rispetto alle istituzioni tradizionali, la tua autonomia e autenticità rispetto all’automatismo fordista, la tua originalità rispetto al livellamento massimalista prodotto dal welfare state, la tua flessibilità rispetto alla ripetitività del posto fisso.

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Lunedì, 16 Febbraio 2015 00:00

Capitalismo e crisi fra Ideologia e Utopia

Capitalismo e crisi fra Ideologia e Utopia
Cronache del tentativo di assolutizzare la libertà di mercato e dei suoi fallimenti recenti

 

Mai come oggi viviamo in un mondo dominato dall’ideologia. Il trionfo del neoliberismo e la caduta del muro di Berlino hanno reso la rappresentazione del mondo fondata sul libero mercato l’unica egemone rendendo sempre più difficile all’individuo, in mancanza di altre visioni del mondo verso cui indirizzarsi, sfuggire alle sue maglie. Essendo così inserito all’interno di una cultura unitaria e priva di dialettica, l’individuo è indotto a ritenere che tutte le grandi ideologie siano morte e che qualsiasi altra alternativa utopica sia condannata al fallimento, in quanto la libertà del mercato rappresenterebbe una condizione naturale e necessaria.
La metanarrazione del capitalismo contemporaneo insomma funziona proprio tramite un processo (ideologico!) in cui ideologia e utopia vengono sempre più delegittimare come categorie filosofiche e spinte ai margini della riflessione politica. Questo oblio permette al neoliberismo di attribuire la falsificazione ideologica solo ed esclusivamente a chi si oppone alle logiche dell’economia di mercato e di raffigurare l’utopia come un sogno perverso destinato al fallimento.

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Lunedì, 20 Ottobre 2014 00:00

Riprendere Marx per evitare la rovina comune

I primi giorni dello scorso anno, commentando su queste pagine l'avvio dell'avventura elettorale con Ingroia (qui), provavo a proporre ai potenziali interlocutori che la questione, al di la delle tattiche elettorali, era altra e ci costringeva a tentare di tornare a discutere con Marx. Nonostante una serie di interventi, alcune iniziative di confronto e seminariali, mi sembra che da un po' di tempo si sia caduti, su questo, in una fase di stanca.

Vorrei proporre di riprendere un dibattito secondo me vitale. Ripropongo un approccio a Marx un po' (tanto) rozzo ma che spero sia capace di produrre reazioni. So che Marx è un autore complesso, che sulla sua opera c'è un dibattito mai concluso e iniziato prima che egli morisse: tuttavia non mi pare arbitrario sostenere che ci sia, nella sua riflessione e nella sua produzione, una effettiva coerenza e che invece chi ha tentato di rilevarne contraddizioni sostanziali non abbia avuto ragione.

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Martedì, 07 Ottobre 2014 00:00

La sinistra di fronte al rischio globale

Quando nel 1986 il sociologo tedesco Ulrich Beck conia l’espressione di “società del rischio” già il mondo viveva da diversi decenni in un contesto di crescente incertezza e angoscia rispetto al destino dell’umanità: genocidi, armi di distruzione di massa, crisi economiche avevano fortemente messo in discussione l’ingenua e superficiale fiducia nel progresso e nella crescita del livello di sicurezza individuale e collettivo.

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