Lunedì, 13 Novembre 2017 00:00

BordaFest2017: cronache dal Pianeta Diyfforme

BordaFest2017: cronache dal Pianeta Diyfforme

Si è svolta nella bella cornice del Baluardo San Martino di Lucca la IV edizione del BORDA!FestProduzioni Sotterranee, l’altro festival del fumetto di Lucca, evento ormai balzato alle cronache nazionali per la positiva ventata di sottocultura, all’interno del panorama artistico italiano. Un’iniziativa che, come si legge dal sito ufficiale, vuole essere- “Un festival lucchese auto-organizzato delle Produzioni visive, musicali e letterarie Sotterranee, appuntamento annuale di rilevanza nazionale che risponde al bisogno di un altro festival, indipendente e gratuito, con un’importante offerta culturale per la città”, interessante quindi risulta capire, come esso si è inserito all’interno della complessa realtà del Lucca Comics&Games.

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L'eleganza del tanuki: di appropriazione culturale e romanzi cult

L'idea di appropriazione culturale è uno di quei concetti teorici appartenenti alla galassia del politicamente corretto, un gruppo estremamente variegato che spazia da idee eccellenti di cui si era a lungo sentito il bisogno, ad altre che sono perlomeno opinabili, ad altre ancora che si stanno rivelando più dannose che utili per lo sviluppo di un discorso generale sulla cultura. Tra i tanti, il concetto di appropriazione culturale è uno dei più discussi, sia nel bene che nel male. Chi lo difende sostiene che sia uno strumento indispensabile per riequilibrare il discorso culturale in un mondo sempre più intensamente interconnesso, bilanciando il predominio indiscusso di cui negli ultimi due secoli almeno ha goduto la cultura genericamente occidentale e bianca (si potrebbe aggiungere, di segno anglosassone). Chi lo condanna, al contrario, denuncia come assurdo un approccio che ritiene completamente superato dalla cultura del cosiddetto melting pot, in cui elementi provenienti da diverse tradizioni e diverse aree geografiche devono necessariamente entrare in contatto e essere condivisi da tutti per poter generare qualcosa di nuovo.

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Di tempo e potere, una conversazione con Valerio Evangelisti

L'autore dell'intervista si assume la responsabilità per eventuali errori od imprecisioni nella trascrizione della conversazione.

(DP) Il ritorno al ciclo di Eymerich, dalla trilogia del Sole dell’Avvenire, ha un valore molto particolare per chi ti segue, ma offre l’occasione per tornare a chiederti del tuo rapporto con la storia. Lasciato alle spalle il Novecento hai riabbracciato il Medioevo e la dimensione distopica, scegliendo di andare molto in avanti con la dimensione del futuro, ma sempre rifiutando il fantasy. Grande attenzione per la ricostruzione del passato ed elementi fantascientifici ritornano insieme all’inquisitore... 

(VE) Per quanto riguarda il perchè ho ripreso il personaggio di Eymerich posso dire che ero arrivato ad una specie di punto morto. Non sapevo come andare oltre il Sole dell’Avvenire, in qualche modo. Poi c’è da dire che la nuova formazione del mio editore, che ha cambiato personale e quadri molte volte, non aveva amato affatto il Sole dell’Avvenire, non lo aveva promosso, sembrava un peso morto.


(DP) Comunque è andato bene!

(VE) Sì, sì, anche se si può notare il fatto che stanno ritardando la pubblicazione degli Oscar del terzo volume, che invece è richiestissimo, soprattutto nelle regioni di cui tratta il libro...

Quindi c’era questa svogliatezza da parte dell’editore e, da un’altra parte, c’era il mio desiderio di recuperare una parte del pubblico precedente che era rimasto perplesso rispetto all’operazione del Sole dell’Avvenire. Sentivo, al di là delle pressioni che ricevevo, l’impulso a tornare al mio personaggio più tradizionale, quasi come un ricominciare da capo. Ci sono stati poi altri motivi secondari, oltre a quelli monetari (ero sicuro che Eymerich avrebbe venduto più di ogni altra cosa).

Per quanto riguarda la concezione del tempo ed i vari piani che si intrecciano: è la continuazione di un discorso già avviato con i precedenti romanzi, che potrebbe riassumersi nel tema che tutto si tiene, tradotto dal francese tout se tientOgni cosa ha un precedente e delle conseguenze. A volte c’è come un girare su se stesso del tempo, per cui i riflessi di cose che sono state, o che verranno, li possiamo constatare nella nostra quotidianità.

La concezione della storia che metto in scena, malgrado questa circolarità, quasi mistica, in realtà è abbastanza strettamente materialistica. Nulla di quanto avviene è dovuto a circostanze esterne, ad un intervento divino od altre cose di questo tipo, bensì è frutto di rapporti materiali nelle diverse società. Io resto legatissimo al marxismo come concezione di interpretazione della storia e se uno legge bene si accorgerà che anche nei momenti più legati al passato c’è sempre un discorso di analisi delle classi, in qualche misura. Nell’ultimo romanzo c’è una classe di emarginati totali, ci sono lotte tra feudatari, la Chiesa e così via.

Dunque credo di essere rimasto coerente a quello che era il progetto originale. Adesso vedremo gli sviluppi, perchè poi io non li conosco. Li costruisco di volta in volta, ma a partire sempre da come vedo la storia e le cose.

(DP) Non so se sei d’accordo, ma mentre rispondevi mi veniva in mente come con il cristianesimo si superi in qualche modo l’idea di circolarità del tempo, mentre tu scegli di recuperarla senza il suo elemento mitologico del mondo antico. Mi verrebbe da dire che la tua visione del tempo recupera dal cristianesimo il portare la storia nel mondo terreno, mentre lo emancipa dalla religione attraverso il tutto si tiene, senza un Dio sovrastante, con noi come unici protagonisti.

(VE) Sì, va detto che la concezione del tempo, propria della Chiesa, era di derivazione aristotelica, sostanzialmente. Il pensiero aristotelico ha immobilizzato praticamente il pensiero ecclesiastico per tantissimo tempo, con qualche eccezione. Ad esempio io cito spesso Origene, che era un pensatore piuttosto anomalo fra i padri della Chiesa.

In ogni caso non è che io creda in una circolarità del tempo. Credo in una circolarità dei meccanismi di causa-effetto. Andrebbe visto non come un cerchio ma come una spirale, perché ogni volta si spinge un po più in là. Un fattore che in fisica è detto tau. Questo è molto importante per capire sia il libro che ho appena scritto, sia quello che scriverò.

Non è tutto così calcolato. Volendo evitare il genere fantasy e volendo invece rimanere ancorato alla fantascienza, pur mettendoci dentro tantissime cose, era inevitabile che mi interessassi alle evoluzioni del pensiero scientifico, anche se ritengo che siano tutte, per ora, approssimative e prive di prove sperimentali. La concezione del tempo nella scienza è cambiata molto più in fretta di quanto non sia cambiata nella Chiesa: il tempo diventa una dimensione, non è più esattamente lineare, sono teoricamente possibili anche balzi all’indietro, … Ma soprattutto è la questione causa-effetto, che diventa nel mio caso poco aristotelica

(DP) Non hai mai la tentazione di proporre richiami più espliciti e strumentali nei tuoi romanzi rispetto a situazioni contemporanee, a costo di ignorare l’effettivo svolgersi della storia? In Eymerich risorge il riferimento al Movimento No Tav è evidente, ma dopo il Sole dell’Avvenire avresti potuto volere un richiamo più macroscopico.

(VE) Non potevo farlo più esplicito, a meno di non falsare il corso degli eventi. In generale poi dirò una cosa: c’è una grande esaltazione da parte di alcuni di queste forme di eresia. La realtà è che l’eresia non avrebbe costruito praticamente nulla. Se fossero stati i valdesi a governare il cristianesimo, il tentativo di ricostituire l’impero romano in altre forme non sarebbe mai passato.

Alcuni teorici, piccoli teorici, della Val di Susa, vanno a recuperare queste esperienze antiche, pensando che siano i prodromi di quello che fanno loro. Il problema attuale, legato molto all’evoluzione tecnologica, non deve essere affrontato con lo spirito di ritorno a mitiche origini, che non ci sono mai state, ma con tutt’altro spirito. Io perchè ho inserito la Val di Susa? Per dimostrare in qualche modo simpatia verso quello che fanno, ma non è che io aderisca a tutto quello che ci costruiscono attorno. Soprattutto io sono lontano da forme di anarchismo, con tutta la simpatia possibile. Sono come le eresie, danno soddisfazione a chi le professa, ma della società non cambiano una virgola. 

(DP) Fra Dolcino reso grande da Dario Fo...

(VE) Fra Dolcino è grande per come è morto, grazie ai suoi nemici. I nemici erano senz’altro peggio di lui, però che proponesse di qualcosa di fattibile… Anche DeriveApprodi mise fuori una rivista dolciniana, che era simpatica, ma non se ne traeva molto di particolarmente significativo.

(DP) Rispetto alla categoria del potere ti faccio l’ultima domanda. Nel Medioevo la sua rappresentazione era più evidente, mentre oggi si è fatto tutto meno chiaro. Dopo i disastri del Novecento è passata l’idea, a sinistra, che sia bene rifiutare il potere, senza intenderlo come possibilità di incidere e mutare il presente. C’è una sorta di resa, per cui si contesta ma non si costruisce per timore di sporcarsi le mani?

(VE) In realtà ci si sporca le mani anche peggio. È un discorso complesso. Le forme di potere, oggi, non è che siano radicalmente difformi dal passato. Cambia l’assetto, perché il potere si distribuisce, diventa meno visibile e si sparge questa idea di democrazia, completamente diversa da quello che era il concetto originale di democrazia. Noi oggi vediamo quasi dappertutto delle oligarchie al potere. L’inganno pericoloso di questa cosa è che una parte del movimento antagonista ha assunto, senza accorgersene, degli aspetti di liberalismo, di pensiero liberale

In realtà senza un discorso preciso politico, tutto finisce semplicemente in cambiamenti di costume, che sono importanti ma non automaticamente portano a cambiamenti politici (anche se magari ci riescono nel tempo). Secondo me, anche se ha tanti aspetti sgradevoli, la politica resta necessaria. Io posso rifiutare totalmente le istituzioni, mettermici contro, ma se faccio così cambierò magari me stesso, ma ben difficilmente cambierò il contesto sociale.

Non bisogna finire per accantonare il problema di chi comanda sul lavoro e chi invece deve lavorare, cioè il problema di classe, magari mettendo avanti istanze peraltro giustissime (il femminismo, la parità sessuale in tutte le sue forme od altri aspetti certamente fondamentali). Se non parti da un problema di classe non vai da nessuna parte o rischi addirittura di finire dall’altra parte. Ad esempio, i cosiddetti rossobruni sembrano dire cose simili alla sinistra, ma non citano mai l’elemento delle classi subalterne. 

E nessuno mi venga a dire che tutto il lavoro è cognitivo, significa non vedere la realtà. Certe mansioni una volta tipiche dei ceti medi si sono proletarizzare, come gli stessi ceti medi. Ma questi non vuol dire che il meccanismo di fondo sia diverso da quello che il marxismo aveva identificato. Tu lo potrai raffinare il discorso marxista, adeguare, et cetera, ma non sostituirlo con una visione puramente liberale o libertaria. 

(DP) Rispetto a quello che dicevi sulla politica e le istituzioni, mi viene in mente la scelta di Socrate, nel rifiutare di fuggire dalla città pur essendo condannato a morte. Rigettare il modo in cui è organizzata la società vuol dire mettersi fuori dalla città (intesa come comunità politica), mentre per cambiarla occorre agire al suo interno...

(VE) Concordo totalmente con Socrate, ma anche con il buon senso.


Immagine liberamente tratta da it.pinterest.com

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Circoliamo: un progetto per diffondere la cultura della bicicletta

Una giornata in omaggio ai libri e alle biciclette. Ieri, 22 aprile presso il circolo Arci di Ponterotto il Comitato dell'Arci Empolese Valdelsa ha presentato il progetto "Circoliamo", un'iniziativa per diffondere cultura e mobilità sostenibile attraverso l'uso della bicicletta. Infatti in nove circoli Arci del circondario saranno disponibili libri concessi da una decina di case editrici - che li hanno messi a disposizione dei circoli gratuitamente o con prezzi molto popolari - che potranno girare tra gli stessi circoli in maniera libera e totalmente gratuita, senza che ci sia alcun bibliotecario. In altri tre circoli invece (Anselmo, Turbone e Pontorme) sono messe a disposizione sei biciclette (due per circolo) per potersi muovere liberamente e spostarsi tra i vari circoli anche per prendere i libri. Il tutto è stato reso possibile anche grazie al sostegno della Ciclofficina. In occasione del lancio del progetto, non poteva essere più indicata la presentazione del nuovo libro di Emiliano Gucci, "Sui pedali tra i filari. Da Prato al Chianti e ritorno".

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Mercoledì, 19 Aprile 2017 00:00

S.O.S. Beni culturali

S.O.S. Beni culturali
L’assemblea di Bologna: lavoro, diritti e riconoscimento

La splendida sala dell’Ulisse, luogo pregevolissimo del celebre Museo di palazzo Poggi a Bologna è stata la cornice ideale per l’assemblea nazionale (tenutasi Domenica scorsa) della campagna, nata ormai da un anno e mezzo, denominata “Mi Riconosci. Sono un professionista dei beni culturali”. Una giornata veramente importante per quel che riguarda l’intero panorama dei beni culturali del nostro Paese, settore troppo strategico per essere abbandonato a un destino crudele (e beffardo).
Innumerevoli le presenze registrate: liberi professionisti, studenti, funzionari ministeriali, accademici ed esponenti politici (Claudia Pratelli per la segreteria di Sinistra Italiana e Andrea Maestri deputato di Possibile), a testimonianza della voglia di rilancio che attraversa l’intero “movimento” travalicando di per sé le categorizzazioni che hanno da sempre caratterizzato l’intero comparto.

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#PLaC. Un codice Etico per i lavoratori della Cultura

Nella giornata del prossimo 2 Febbraio, la campagna “Mi Riconosci? Sono un professionista dei Beni Culturali” presenterà, con l’iniziativa di lancio, presso la sala delle conferenze a Montecitorio, PLaC, un codice etico elaborato per l’annosa questione del settore dei beni culturali del nostro Paese e dei lavoratori dell’intero comparto. Sarà un momento importante in cui questa campagna, nata da oltre un anno e attiva anche con la denuncia verso bandi legati al “protagonismo” dei volontari ai danni dei professionisti, proverà ancora una volta a dire la sua all’interno di un dibattito notevole per il futuro sviluppo del Paese.

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[Continua da qui]

Ecco, detto questo, credo che non sia comunque sufficiente intravedere nel basso livello di cultura, i motivi che hanno spinto gli abitanti di Goro e Gorino a costruire le barricate per impedire l’arrivo delle dodici donne, così come non riesco ad addurre quell’azione soltanto al clima di esasperazione generale e alla propaganda xenofoba di cui accennavo prima, per quanto entrambe rappresentino una componente parecchio significativa. Secondo me davvero, in questo caso dobbiamo leggerlo anche come uno specchio del fatto che una parte del nostro paese stia cominciando a legittimare e a dare per scontata una forma di male che sembra debba essere fatto, che è giusto sia fatto in nome della “rispettabile voce della società” poiché il non commetterlo o il non fare niente per sventare il pericolo rappresentato dall’altro straniero, costituirebbe una minaccia o un attacco  alla società stessa, alla propria comunità, così che, inteso in questo modo, il male, non è più riconoscibile o bollabile come male, ma appunto come dovere. Gli abitanti di Goro e Gorino si sentivano come dei rivoluzionari, che agivano in difesa della libertà e della “buona società”.

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Qualcuno li ha definiti eroi, quel centinaio di cittadini di Goro e Gorino che hanno costruito delle barricate di pancali per “resistere” all’“invasione” di dodici donne straniere (a cui poi si sarebbero dovuti aggiungere otto minori) che avrebbero dovuto esser ospitate nell’ostello di Gorino – l’Amore-Natura, di proprietà della provincia di Ferrara. L’Italia, che ha conosciuto la resistenza di partigiani che lottavano per la libertà dal nazi-fascismo contro le ingiustizie e le discriminazioni, ha visto, attraverso questo amarissimo specchio rappresentato dalla maggior parte della comunità di Goro e Gorino, una resistenza che porta con sé un significato totalmente ribaltato rispetto a quella partigiana: la difesa del proprio piccolo pezzo di orto contaminata dal razzismo più barbaro e becero.

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Giovedì, 05 Maggio 2016 00:00

Educazione tra Lisbona ed Europa 2020

Educazione tra Lisbona ed Europa 2020

Intervista di Diletta Gasparo a Chiara Agostini, ricercatrice per il Centro Einaudi pubblicata sul numero cartaceo L'educazione ai tempi dell'Unione Europea di febbraio

Sin dalla definizione della Strategia di Lisbona del 2000, l'Unione Europea ha fatto dell'istruzione e della formazione (ET, Education and Training) uno dei più importanti campi di azione e intervento. Come riassumeresti le indicazioni e gli stimoli elaborati da Bruxelles?

Nel quadro della strategia decennale per la crescita e l’occupazione lanciata nel 2000 (Strategia di Lisbona), l’istruzione e la formazione professionale erano concepite come elementi chiave di un modello di sviluppo basato sull’economia della conoscenza. Fin da quegli anni l’UE ha sostenuto l’idea che investire in istruzione e formazione equivalesse a investire nel capitale umano e quindi a promuovere il progresso economico e il miglioramento della competitività delle economie. Se però inizialmente tutto questo si accompagnava a un’idea forte di crescita inclusiva, con il passare del tempo il focus si è spostato sempre più sull’idea di “crescita” economica e meno sugli aspetti legati all’inclusione.

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Giovedì, 14 Aprile 2016 00:00

Valle dei Templi o valle degli scempi?

Valle dei Templi o valle degli scempi?

"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
‪Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione."

Un dogma, non solo per chi lavora nel settore dei beni culturali, ma anche e soprattutto per i cittadini e le cittadine dello stivale stabilito dall'articolo 9 della nostra Costituzione. Non è un caso che termini come tutela paesaggio e patrimonio siano interconnessi assieme all'interno di una legge fondamentale dello Stato, del resto tutelare il territorio significa difendere le collettività che per secoli hanno caratterizzato lo stesso.

Pubblicato in Territori e beni comuni

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