Domenica, 07 Maggio 2017 00:00

Pillole dal Giappone #184 – Tra aperture e provocazioni continua lo scontro con la Corea del Nord

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Più della metà degli insegnati delle scuole elementari sono esposti ai rischi del superlavoro. A denunciare questa situazione è stato lo scorso 28 aprile una ricerca dello stesso Ministero dell'Istruzione che ha rilevato come il 57,7% di questa categoria di docenti effettui più di venti ore di straordinario a settimana (per un totale di ore lavorate pari a 57 ore e 25 minuti settimanali) mentre per circa il 33,5% degli insegnanti delle scuole medie inferiori il numero di ore lavorate raggiunge e supera le 63 a settimana (la legge raccomanda per gli insegnanti un massimo di 40). La ricerca è stata condotta, tra ottobre e novembre 2016, su circa 20.000 docenti di 400 diverse scuole.

Il superlavoro è uno dei più grandi problemi che affligge il lavoro nel Sol Levante. Un caso di morte “da straordinario” (karoshi è il termine utilizzato in Giappone per designare il fenomeno) è stato riconosciuto venerdì scorso dall'Ufficio del Lavoro della Prefettura di Yamaguchi. Tomomi Saito, lavoratrice di Hofu, è deceduta per infarto nel novembre 2015 dopo sei mesi di lavoro quasi continuativo (durante tutto il periodo in oggetto ha usufruito unicamente di quattro giorni di pausa). Le ore di straordinario mensile effettuate dalla donna superavano le 70 al mese.

Frattanto diminuisce il numero di bambini. La popolazione sotto i 15 anni di età è scesa a 15.710.000 (il 12,4% del totale) al primo aprile di quest'anno. Il dato, -170.000 rispetto allo scorso anno, è il più basso dal 1950 e rappresenta il trentaseiesimo declino consecutivo della popolazione infantile.

Sulla vicenda coreana, a largo delle coste della Penisola, la marina nipponica, sulla base delle leggi belliciste approvate nel 2015, sta fornendo assistenza agli alleati statunitensi proteggendo le navi USA incaricate di trasportare carburante. A questo scopo il primo maggio è partita dal porto di Yokosuka la nave Izumo. Preuccupazione unanime per la tensione prodottasi nell'area è stata espressa al vertice ASEAN di Manila nel quale il padrone di casa (in tutti i sensi trattandosi di Duterte) ha invitato a “non minacciare con le armi nucleari”.

“Invitiamo la RPDC a rispettare immediatamente i propri obblighi derivanti da tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e sottolineamo l'importanza di esercitare autocontrollo al fine di mantenere la pace, la sicurezza e la stabilità nella regione e nel mondo. Riaffermiamo il nostro pieno sostegno alla denuclearizzazione della Penisola coreana e che le parti interessate esplorino tutte le vie per un dialogo” si legge nella dichiarazione finale del summit nella quale è stata affrontata - ma con le solite parole di circostanza - la spinosa questione delle contese nel Mar Cinese Merdionale.

Il mese di maggio è stato inaugurato dalle dichiarazioni concilianti del Presidente statunitense Trump (accompagnate però dal volo di due bombardieri strategici nei cieli sudcoreani in un poco sano miscuglio di rassicurazioni e provocazioni) che si è detto disposto ad incontrare Kim Jong Un.

“Qualora fosse appropriato incontrarsi io lo vorrei certamente e sarei onorato di farlo” aveva dichiarato il primo maggio il massimo rappresentate USA intervistato da Bloomberg. La dichiarazione è stata poi parzialmente corretta dal Portavoce della Casa Bianca che ha precisato che prima di discutere di colloqui diretti la Corea del Nord deve cessare azioni provocatorie.

L'apertura è stata apprezzata dalla Cina la quale “ha sempre creduto ad una soluzione pacifica basata sul dialogo e la consultazione come unica via e come giusta scelta per risolvere la questione nucleare coreana”.

Per parte sua la RPDC ha commentato in maniera prevedibilmente forte il dispiegamento dei missili del sistema THAAD in Corea del Sud. Il 3 maggio l'agenzia di stampa ufficiale KCNA ha qualificato il sistema di difesa antimissilistico come “motivato dalla neutralizzazione delle possibilità di Russia e Cina di ritorsione nucleare e volto ad acquisire l'egemonia nella regione” e ragionevolmente è impossibile dare torto a questa asserzione.

Da sempre e anche negli ultimi giorni il Ministero della Difesa della Federazione Russa aveva sottolineato come i missili del sistema THAAD possono colpire obiettivi russi e la Cina. Di nuovo lo scorso 2 maggio il Portavoce degli Esteri della Repubblica Popolare Geng Shuang ha ribadito che essa “ha già espresso una ferma posizione sulla questione del THAAD: siamo contrari al suo dispiegamento da parte degli USA in Repubblica di Corea e ci appelliamo alle parti interessate affinché lo interrompano immediatamente. Prenderemo inoltre con fermezza quelle misure necessarie alla difesa dei nostri interessi”.

Nuove rimostranze nordcoreane sono giunte anche il 6 maggio all'indirizzo di Stati Uniti e Corea del Sud accusate di voler “sostituire la dirigenza” del Paese anche mediante l'omicidio di Kim Jong Un. Il giorno prima sempre la RPDC aveva condannato un test missilistico statunitense qualificato come “provocazione”.

“Gli Stati Uniti sostengono che loro possono effettuare lanci missilistici mentre la RPDC no e che i loro lanci siano un contributo alla pace mentre i nostri una provocazione che aumenta la tensione. Questi sofismi rappresentano un grosso doppio standard” ha affermato un Portavoce degli Esteri di Pyongyang.

Nel contempo a Vienna si è svolta la prima sessione di colloqui per la Convenzione di Revisione del Trattato di Non-Proliferazione che si svolgerà nel 2020. Per un rafforzamento del regime di non-proliferazione si è appellato il ministro degli Esteri nipponico Fumio Kishida. Una posizione poco credibile, quella assunta dal Sol Levante - unico Paese ad ever sperimentato gli effetti di un bombardamento atomico (o meglio di due) - dopo l'indisponibilità nipponica a prendere parte al Gruppo di Lavoro - promosso tra gli altri da Messico, Irlanda e Sud Africa - volto alla stesura di un trattato per il bando totale delle armi atomiche. Vinse in quel caso la riproposizione della strategia che vede il Giappone protetto dall'ombrello nucleare USA (e proprio gli USA insieme a Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna hanno boicottato il Gruppo di Lavoro). Al centro del discorso viennese di Kishida proprio le nuove minacce nordcoreane.

Intanto, anche i parlamentari cinesi del gruppo parlamentare di amicizia sino-giapponese hanno ribadito - durante colloqui svoltisi a Pechino e guidati da Yu Zhengsheng, Presidente della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, e dal vicepresidente del PLD Masahiko Komura - l'intenzione della Repubblica Popolare di far terminare il programma missilistico e nucleare nordcoreano. “Qualora si realizzasse la fine delle ambizioni missilistiche e nucleari della Corea del Nord il Giappone ed il mondo intero riconoscerebbero merito alla Cina” ha affermato Komura.

In ambito economico la multinazionale Sharp, operante sotto l'omberllo della casa madre del colosso taiwanese Hon Hai, ha comunicato di aver registrato lo scorso anno profitti operativi per la prima volta da tre anni a questa parte. Profitti, per 864 milioni di dollari, nel primo trimestre dell'anno anche per il gigante automobilistico Honda. Un passo da gigante rispetto alle perdite (pressapoco della stessa entità) registrate dalla società nello stesso trimestre dell'anno precedente (quando l'azienda fu costretta al richiamo di moltissime vetture per problemi sugli air-bag). Nello stesso trimestre le vendite sono cresciute del 2,9%, per un totale di 33,9 miliardi di dollari rispetto al 2016 mentre per quanto concerne l'anno fiscale (che in Giappone va da marzo a marzo) Honda ha realizzato profitti record: 616,5 miliardi di yen, contro i 344,5 miliardi del precedente anno fiscale, vendendo cinque milioni di veicoli (+300.000).

Crescita nello stesso trimestre anche per Sony che nello stesso periodo dell'anno precedente aveva avuto perdite per 88 miliardi di yen. Le vendite, sempre paragonate col medesimo periodo, sono cresciute del 4,4% per un totale di 1.900 miliardi di yen. Lo scorso anno i terremoti che hanno colpito il Giappone meridionale avevano obbligato la società sospendere la produzione in diversi dei propri stabilimenti e a ciò si era sommato un periodo di cambi non favorevoli per lo yen che avevano danneggiato le esportazioni.

Il cinque maggio, nel contempo, i Governatori delle Banche Centrali di Cina, Giappone e Repubblica di Corea, hanno riaffermato di voler “resistere ad ogni forma di protezionismo”, formula già usata dal Presidente cinese Xi durante il summit di Davos e recentissimamente dal ministro Wang recatosi in visita in Australia. Il trilaterale si è tenuto ai margini dell'annuale incontro organizzato dalla Banca Asiatica per lo Sviluppo tenutosi a Yokohama. “Continueremo ad avere un alto livello di comunicazione e coordinamento tra i nostri Paesi al fine di affrontare una possibile instabilità finanziaria in un contesto di crescente incertezza globale dovuta a tensioni economiche e geopolitiche” si legge ancora nella dichiarazione conclusiva.

Nell'ambito del commercio internazionale non viene dato per morto dai nipponici nemmeno il TPP. Mercoledì scorso, durante un round di negoziati a Toronto (un altro incontro si terrà in Vietnam a fine mese) il Giappone ha riproposto un TPP ad undici (quindi senza gli Stati Uniti che con uno dei primi atti del governo Trump si sono ritirati dall'accordo). Una strada che appare poco praticabile a fronte delle numerose opzioni (tra cui una serie di trattati bilaterali) messe in campo dal premier canadese Trudeau.  Venerdì, intanto, la Commissione USA per il Commercio Internazionale ha ritenuto il prezzo dell'acciaio venduto dal Giappone e da altri sette Paesi (tra essi anche l'Italia) negli Stati Uniti come non equo e ciò avrebbe “materialmente danneggiato” la produzione statunitense.

In politica interna un'accelerazione alla riforma della Costituzione (emendata nei fatti dalle leggi belliciste del 2015 mediante l'astruso concetto della “autodifesa collettiva”) sembra gungere dalle parole di Abe pronunciate lo scorso martedì in un video-messaggio in occasione del settantesimo anniversario della Carta. Per la prima volta il premier ha infatti indicato una data, il 2020, come termine nel quale si prefigge di modificare la Costituzione proponendosi inoltre di inserire un riferimento esplicito all'esistenza delle Forze di Autodifesa le quali sono teoricamente incostituzionali e la cui esistenza viola la Dichiarazione di Potsdam. 

“Lo bloccheremo sicuramente” è stato il commento del Presidente del Partito Comunista Shii mentra la leader democratica Renho ha provocatoriamente chiesto se con ciò il premier lascerebbe “una buona eredità” del suo mandato.

“Ci mobiliteremo ancora nei prossimi mesi” ha dichiarato Tetsuya Murata del gruppo civico Studenti per un'Azione di Emergenza per la Democrazia Liberale, una delle realtà associative più presenti nelle proteste contro i disegni di legge bellicisti.

“Il cambiamento che Abe intende portare avanti ci farà tornare indietro rispetto alla positva rotta pacifista del Giappone postbellico rinverdendo un passato militaristico che ha portato molti danni al Paese” per Koichi Ishikawa ricercatore all'Università Cristiana Internazionale di Tokyo.

A difesa del testo costituzionale lo scorso 3 maggio sono scesi per le strade della capitale circa 55.000 cittadini.

(con informazioni di asean.org; usitc.gov; fmprc.gov.cn; xinhuanet.com; kcna.kp; asia.nikkei.com; bloomberg.com; japantimes.co.jp; the-japan-news.com; asahi.com; mainichi.jp)

Ultima modifica il Sabato, 06 Maggio 2017 15:34
Roberto Capizzi

Nato in Sicilia, emiliano d'adozione, ligure per caso. Ha collaborato con gctoscana.eu occupandosi di Esteri.

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