Prosegue, lentamente ma inesorabilmente, il cammino compiuto da Abe per trasformare il Giappone in una potenza militare impegnata all'estero. A fine maggio si è avuto il tentativo di allentare le misure che impediscono alle Forze di autodifesa dispiegate all'estero (principalmente con compiti logistici e di supporto) di entrare in aree dove si combatte. Lo scorso 6 giugno il governo è nuovamente intervenuto sul tema presentando, nell'ambito della politica del cosiddetto “diritto all'autodifesa collettiva”, tre nuovi criteri riguardanti il dispiegamento di truppe all'estero.
“Qualora il governo cambiasse la corrente interpretazione della Costituzione Tokyo non sarebbe in grado di rifiutare richieste da parte di Washington per il dispiegamento di truppe delle Forze di Autodifesa all'estero”, a dichiararlo Kiyohiko Koike, dal 1995 sindaco della cittadina di Kamo (Prefettura di Niigata) ed ex alto dirigente dell'Agenzia per la Difesa (oggi Ministero della Difesa), intervistato dal periodico comunista Akahata. Akahata ha anche raccolto le opinioni di tre ex appartenenti alle forze di terra delle FAD: “l'essenza della “autodifesa collettiva è: uccidere o essere uccisi” ha affermato Takao Izutsu, un ex sergente.
Sulla spinosa vicenda delle contese isole Paracel (un gruppo di isole nel Mar Cinese Meridionale rivendicate principalmente dalla RPC e dal Vietnam) è intervenuto anche il Presidente del Partito Comunista Giapponese Shii invitando i due Paesi a risolvere la questione per via diplomatica nell'ambito della Dichiarazione sul comportamento tra le parti nel Mar Cinese Meridionale. Le molte isole contese dalla Cina Popolare e da altre nazioni dell'area sono fonte costante di tensione internazionale.
“Né la corte distrettuale né quella Suprema hanno mai preso in considerazione il diritto all'autodifesa collettiva. È scandaloso che il governo usi una sentenza della massima Corte come base per autorizzare l'esercizio del diritto all'autodifesa collettiva”, questa l'opinione dell'ex giudice (tra gli autori, insieme al giudice Date, di quella sentenza) nonché professore emerito presso l'Università Dokkyo di Soka Ichiro Matsumoto, intervenuto in merito all'uso strumentale da parte del governo Abe di una sentenza della Corte Suprema del 1959 riguardante l'espansione della base militare statunitense di Sunagawa.
Una situazione a tinte fosche quella descritta dai sindaci di Futaba, Okuma, Tomioka e Naraha (Prefettura di Fukushima) intervistati l'11 aprile dal periodico comunista Akahata. I quattro primi cittadini segnalano che numerosi cittadini delle loro comunità permangono sfollati attendendo la ricostruzione di abitazioni ed altre infrastrutture fondamentali per la ripresa delle attività economiche.
I sindaci hanno anche espresso la propria preoccupazione per i tentativi del governo di riattivare gli impianti nucleari spenti nel 2011: “credo che il Giappone debba ridurre la propria dipendenza dal nucleare e smettere di usare quest'energia in futuro” ha dichiarato il sindaco di Okuma Watanabe.
Non cessa la preoccupazione dei comunisti giapponesi per la recente decisione del governo Abe di permette l'export di armi e tecnologie militari: un passo decisivo nella demolizione di ogni residuo riferimento alla tradizionale (dal secondo conflitto mondiale in poi) politica nipponica in tema di relazioni internazioni.
Durissima l'opposione del Partito Comunista: il segretario Yamashita ha affermato che questa decisione è frutto della sudditanza del Giappone alle esigenze degli Stati Uniti (i quali hanno sempre più necessità di un alleato a pieno titolo, dunque anche militare, in quella parte del Pacifico) e mira a costruire, anche attraverso uno svuotamento di senso dell'articolo 9 della Costituzione, una nazione impegnata in conflitti militari al di fuori dei propri confini.
“L'aumento della tassa sui consumi (avvenuto il primo aprile di quest'anno) porterà molte più persone alla povertà”: questa la denuncia del Partito Comunista che in un comunicato della segreteria sottolinea come questa decisione sia “devastante per le condizioni di vita delle persone e dei piccoli operatori commerciali”.
“Vietare pratiche lavorative illegali nella decontaminazione di Fukushima” questa la richiesta – ed insieme la denuncia – del vicepresidente del Partito Comunista Ichida che lo scorso 17 marzo, durante una seduta della Commissione Ambiente della Camera alta, ha mostrato i risultati di un'inchiesta dell'Ufficio del Lavoro della locale Prefettura secondo la quale 709 imprese coinvolte nei lavori di decontaminazione dell'area hanno violato le leggi in materia di lavoro. Tra le violazioni riscontrate numerosi sono i casi di non rispetto delle normative in tema di sicurezza del lavoro oltre a casi di buste paga fittizie.
Le vicende che hanno coinvolto l'Ucraina ed in particolare la Crimea hanno fatto discutere anche i comunisti giapponesi: il 19 marzo il Presidente del PCG Kazuo Shii ha rilasciato una durissima dichiarazione contro l'annessione alla Russia della penisola meridionale a maggioranza russofona.
Nel comunicato la politica russa sulla vicenda Ucraina viene giudicata “aggressiva” ed in violazione del diritto internazionale.
L'undici marzo è una data che è entrata a far parte della storia giapponese, tre anni fa, proprio in quella data il Sol Levante veniva colpito da un terremoto (con conseguente tsunami) che ha strappato la vita di migliaia di giapponesi, distrutto l'economia di intere Prefetture e causato un disastro nucleare che non cessa di destare preoccupazione nell'opinione pubblica mondiale.
A tre anni di distanza migliaia di vittime di quella catastrofe vivono ancora in abitazioni temporanee a causa delle difficoltà economiche che hanno colpito molti degli abitanti di quelle Prefetture, le cui fonti di reddito sono state spesso distrutte insieme alle case, numerosi sono coloro che non possono permettersi un affitto e che attendono case in edilizia residenziale pubblica che debbono ancora essere costruite.
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