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Mercoledì, 14 Marzo 2018 00:00

Dopo il voto

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Dopo il voto

I dati ci danno l’esatta immagine del paese. Basterebbero quindi i numeri per comprendere la volontà del popolo italiano.

Ci basterebbe sapere che in definitiva, dal 2013 a oggi, non è cambiato molto nell’elettorato del centro destra; potremmo soffermarci sul fatto che gli ex astenuti e i giovani che si son affacciati per la prima volta al voto hanno scelto non tanto il centro destra, dove un tempo regnava incontrastata Forza Italia, quanto la Lega di Salvini: l’8% di chi si era astenuto e il 18% delle nuove leve. Mentre un quarto di elettori del partito di Berlusconi ora guarda verso le politiche più aspre ed estremiste di Salvini.

Certo queste elezioni hanno visto affermarsi la vittoria del Movimento Cinque Stelle, ma hanno aperto anche il piccolissimo problema legato alla difficoltà di donare un governo al Paese. Come era successo, seppur in modo e metodo diversi, nel 2013. Qualcosa non torna nel sistema, nella legge elettorale. Per cui il primo punto del nostro governo, a guida di un qualsiasi tecnico a caso, sarà quella di dotare il paese di una legge che garantisca un minimo di governabilità subito dopo le elezioni.

Detto questo, per quanto possa essere interessante valutare i numeri, le percentuali, dietro al voto ci sono le classi e quindi le persone. Lo specchio di queste ultime votazioni ci danno l’immagine di un paese arrabbiato, in cui il clima di odio tanto denunciato genera una ignobile guerra tra poveri. E una più larga e subdola guerra anti-popolare.

Tuttavia questo clima, questa deriva non è colpa o figlia del governo Renzi. O meglio: non è solo colpa sua. Renzi ha portato avanti coerentemente, colle sue idee, una politica liberista che è stata avvertita dalle classi meno abbienti e da una parte della borghesia come causa primaria dei problemi reali e durissimi che vivono ogni giorno sulla loro pelle. La precarietà del lavoro, la crisi che ha colpito e affondato piccole attività e negozi – nonostante il governo abbia precisato che il paese stesse vivendo un momento di ripresa, la gran parte della popolazione non ha creduto a questo.

Un problema di comunicazione, certo, ma di questi tempi è proprio con la comunicazione che si vince o perde, e con tutta la gente creativa e brillante che sostiene il renzismo, fa specie che si possa perdere anche per questo. Tuttavia non è solo comunicazione o – come piace pensare ai renziani – il popolo bue, cretino, incapace e invidioso che non capisce nulla e ci bastona. La crisi che vede coinvolti classi dominanti e classi meno abbienti comincia a fine anni 80 e peggiora durante tutta la fine del secolo scorso e questi anni 2000.

Il problema è che la fine delle ideologie porta ad adagiarsi su politiche legate a una sola visione del mercato, dell’agire politico, che da una parte si tramuta in aggressione verbale e di pensiero contro i diversi, gli ultimi, i sindacati e le sinistre e dall’altra una battaglia fatta col fioretto mentre gli altri ti bombardano con l’aviazione. In questi anni la sinistra ha cercato di mostrare al Capitale e al capitalismo internazionale di saper fare benissimo il lavoro delle destre, anzi di applicarlo meglio. Non sono il governo di Renzi e i “renziani” che si son dimenticati delle classi meno abbienti, ma loro riprendono una tradizione decennale e, visto la loro natura di arricchiti provinciali, questa lontananza l’hanno solo marcata più degli altri.

Da questa debolezza e confusione ideologica e d’azione non può che uscirne una sinistra, centro-sinistra debole e chiuso in una sua roccaforte di numeri, algoritmo, statistiche, che non tengono conto del caos con cui le leggi vengono vissute dai lavoratori e dai ceti meno abbienti e dalla stessa borghesia. Quello che è avvenuto nel centrodestra dovrebbe far riflettere. Non c’è stato l’abbandono di massa dell’elettorato di Forza Italia, ma una buona fetta di berlusconiani, che fanno a capo a quella borghesia piccola e media, anche media alta nelle zone lombarde, le quali per decenni hanno sognato nel nome del berlusconismo, votati a un ottimismo rozzo e feroce a discapito di altri, e che oggi si ritrovano impoveriti e incazzati.

La crisi della borghesia unita alla deriva delle classi meno abbienti ha premiato una parte che, in definitiva, non è affatto portata a solidarizzare per queste classi. Eppure il negoziante e l’operaio hanno creduto, con ragioni diverse, nel “salvinismo” come risposta ai loro problemi. Basterebbe leggere con attenzione un solo tweet di Salvini per capire che costui non va oltre alla propaganda di grana grossa. Fa tenerezza vederlo festeggiare come se stesse governando lui, mentre lontana è l’ombra del governo.

I renziani, un vero e proprio flagello sociale e politico che speriamo scompaia presto, vedono questa vittoria del centro destra sotto l’ottica dell’odio di classe per il proletariato. Non una parola di autocritica da parte degli elettori, militanti, dopo questa ennesima fortissima sconfitta. Da subito hanno ripreso a criticare il Movimento Cinque Stelle con toni e metodi assai infantili. Dando l’idea di un bimbo viziato il quale, non sopportando di aver perso a calcio contro il figlio dello stalliere, se ne va dicendo: “il pallone è mio, voglio vedere come fai a giocare ora”. L’aver dato spago e tanto spazio alla bufala degli assalti al Caf, per quanto da parte loro voleva essere un attacco ai Cinquestelle, di fatto è vissuto come l’ennesimo sberleffo e insulto alle classi più disagiate e povere del paese. Se non un vero e proprio attacco al Sud.

Il “renzismo” ha causato grossi danni all’unico grande partito di massa che abbiamo nel Paese. Spostandolo sempre più su politiche liberiste con qualche concessione ai diritti civili, pagando idee balorde come l’alternanza scuola-lavoro e il Jobs Act. I lavoratori sono spariti dall’agenda politica, apparendo di tanto in tanto nelle bacheche di qualche simpatizzante o militante, ma sempre una certa categoria (i laureati), sempre appartenenti a una certa classe sociale: quel ceto medio semi colto in crisi continua.

Il clima di odio si crea per problemi di natura economica e sociale, nel Paese reale che ogni giorno vive sulla sua pelle le crisi e la ristrutturazione del capitale. Una buona politica dovrebbe provvedere ad essi, dar dei diritti sociali precisi: una certa stabilità lavorativa, istruzione e sanità pubblica. Quando dite che ci sono i soldi, che ci siamo ripresi, il popolo vuol vedere questa ripresa nella sua vita concreta. In questo clima post-ideologico ci si attacca a una indignazione imprecisa, si dà sfogo alla rabbia e alla follia, causando anche morti innocenti, come i recenti fatti di Firenze testimoniano

Fa pensare che si sia fatta più polemica per le fioriere rotte che per la morte di un uomo. Questo è il Paese: indignato per le urla di una giovane maestra, di cui il solerte Renzi chiese la testa, senza approfondire minimamente cosa sia successo prima. Nessuna interrogazione parlamentare, nulla su cosa abbia combinato la polizia per far arrabbiare quella donna. Come nessun commento degno di nota sulla follia che ha portato un uomo ad uccidere un senegalese regolare e ben voluto da molti. Si preferisce, non comprendendo la sconfitta subita, a tenersi stretti il ruolo di borghesucci piccini, scandalizzati dalla violenza, ignorando che essa è figlia delle politiche economiche che da oltre venti anni indeboliscono parte della borghesia e tutto il proletariato.

Queste politiche ci fanno capire come solo la destra peggiore, incapace, cialtrona, sia in grado di fornire nemici e motivazioni a una grossa parte del paese. Una parte che non è composta solo da ignoranti fascisti, ma anche da lavoratori stanchi di lavoretti precari, di vivere nella paura che il padrone chiuda la fabbrica per aprirla all’estero, di essere dimenticati dai partiti di sinistra. Il problema è proprio questo: parlare del popolo, conoscendolo dai testi di qualche libro o avendone una vecchia immagine in testa.

Si avverte una certa distanza, la quale non premia nemmeno quelli che durante la campagna elettorale hanno passato il tempo a denigrare i falsi comunisti. Loro che son rivoluzionari duri e puri non appaiono nemmeno nei sondaggi. Cosa più preoccupante, non hanno un minimo aggancio con le masse. Non basta nemmeno chiamare un’esperienza di rinascita della sinistra radicale col nome di una bellissima canzone dei Banda Bassotti: Potere al Popolo. Al di là di tutti i problemi legati alla nascita di una nuova formazione, la campagna elettorale, lo spazio minore riservato in tv, tutto quello che volete, dobbiamo affrontare le dinamiche con severità e serietà. Il risultato è stato disastroso. Sia rispetto alla Sinistra Arcobaleno, sia rispetto a Rivoluzione Civile.

Questo vuol dire buttare in aria un progetto comunque interessante? No. Dico solo di stare attenti a certe dinamiche, richieste e capetti. Che il collettivismo universitario e il linguaggio dei centri sociali non fanno presa su quel popolo a cui dovremmo dare il potere. Anzi, questi elementi giocano un vero e proprio ruolo di distacco tra settori “ribelli, spontaneisti, avventuristi” e un popolo stanco, desideroso di soluzioni ai suoi problemi. In questi tempi è più facile per un sottoproletario dar retta a chi attacca gli zingari, visto che abita vicino al campo rom di turno, che a uno studente o ricercatore universitario e il suo linguaggio “sinistrato”, ben consolidato e riconosciuto come parolaio e poco concreto. D’altronde sono figli di quelli che non stavano “Né col PCI né colle brigate rosse”, non che abbiano combinato molto di buono costoro.

Non ha aiutato nemmeno veder i dirigenti festeggiare brilli una sconfitta sonora per la sinistra radicale. Detto questo da Potere al Popolo dobbiamo continuare la strada per correggere il tiro, imparare a incrociare davvero la stima e il sostegno delle classi popolari e far tornare i voti dei compagni che, poveri pirla illusi, hanno votato il Movimento Cinque Stelle. Cioè una delle formazioni politiche più bislacche e inconcludenti mai esistite nella storia della politica mondiale. I quali ci porteranno in un governo colla peggior destra di sempre. Mentre i “renziani” combattono contro le fake news, cascandoci a loro volta, isolati e sconfitti.

Io credo in una sinistra popolare e che sia alla guida di quelli che stanno alle Piagge, Osmannoro, Isolotto, Novoli, Esquilino, Bastoggi, Quarto Oggiaro. In grado di agire concretamente sulle piccole cose attraverso azioni di solidarietà sociale e di classe, che non abbia la fretta di entrare a cazzo di cane in Parlamento e che non si lasci condizionare, manovrare, guidare da libertari allo sbaraglio o da quelli che ti fanno fare tutto il lavoro, per poi negare la presenza di bandiere e simboli del nostro partito e del comunismo. Mi auguro che il nostro lavoro paziente, in una formazione che oggi esce pesantemente sconfitta, ci porti a ridiventare credibili agli occhi non dei borghesi, ma del proletariato. La lotta di classe è necessaria più che mai, in questi tempi confusi e reazionari.

 

Immagine ripresa liberamente da cassaedilepescara.it

Ultima modifica il Martedì, 13 Marzo 2018 16:09
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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