Il vertice del Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles il 7 marzo avrebbe dovuto sciogliere il nodo dell'emergenza migranti che l'Europa sta vivendo. Nei fatti, come prevedibile, si è optato per l'ennesima toppa che può arginare il problema, senza però prendere in considerazione né le cause né le conseguenze di queste decisioni.

Il vertice, svoltosi alla presenza dei 28 capi di stato e di governo dei paesi membri e del Primo Ministro turco Davutoğlu, è stato concluso con l'annuncio che l'afflusso attraverso la cosiddetta rotta balcanica (Siria, Anatolia, Grecia) sarà chiusa ma per i dettagli il Consiglio si è aggiornato al 17 marzo. La necessità di un nuovo incontro è dovuta alle nuove richieste messe sul tavolo dalla Turchia: altri 3 miliardi di euro (in aggiunta ai 3 già concordati) per gestire l'emergenza umanitaria, l'eliminazione dell'obbligo di VISA per i cittadini turchi per entrare nei paesi UE già da aprile (invece che in autunno), il rilancio della trattativa per l'ingresso del paese nell'Unione Europea ed infine un accordo che preveda la regolarizzazione su suolo europeo di un rifugiato presente in Turchia per ogni rifugiato riaccolto dal paese dalla Grecia.

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Giovedì, 21 Gennaio 2016 00:00

In Xylella veritas?

In Xylella veritas?

Ci sono regioni di questo paese trainate (non è un eufemismo) da prodotti tipici e altamente riconoscibili. Territori caratterizzati da tempo immemore, luoghi da dove arrivano specialità vere e proprie. Uno dui questi è il Salento, l'ultimo lembo della Puglia riconosciuto e tra i più importanti produttori d'olio italiano, competitivo su tutti i mercati, da sempre. Quell'economia, come purtroppo abbiamo imparato ad apprendere è minacciata da una “misteriosa” presenza; il batterio della Xylella. In tanti si sono espressi sulla tragica situazione che attraversa le campagne del Salento, momenti bui per una comunità che vive anche grazie all'olivocultura e che oggi si vede costretta a “ripensare” il proprio futuro.

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Venerdì, 09 Ottobre 2015 00:00

Dalla Grecia al nuovo soggetto

Dopo circa 15 giorni trascorsi dalla vittoria di Syriza in Grecia ripensare al modello greco e alle possibili similitudini tra quella esperienza e il dibattito in corso nella sinistra italiana, senza peraltro dimenticare Podemos e Jeremy Corbyn nuovo segretario dei Laburisti Inglesi, mi sembra un’operazione perlomeno necessaria, doverosa. Per questo ho deciso di rendere un po’ più organici appunti presi durante un dibattito e di condividerli senza per questo aver la pretesa di convincere.

Non sono tra quelli che aspettano un qualsiasi messia, penso da comunista che il consenso sia frutto di un agire comune, di un lavoro collettivo e corale per questo non mi annovero tra coloro che hanno visto in Alexīs Tsipras un novello salvatore, un modello da copiare pedissequamente ma nello stesso tempo non ho pensato che fosse un traditore quando ha dovuto cedere ai dettami della troika. Entrambe le posizioni mi sembrano banali o perlomeno prive di analisi sia sulla situazione greca sia su quella italiana e quella europea.

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La nascita di una alternativa al Partito Socialista Europeo è la chiave per una svolta significativa in Europa

La federazione europea non si proponeva di colorare in questo o quel modo un potere esistente. Era la sobria proposta di creare un potere democratico europeo”.

Con queste parole Altiero Spinelli descriveva la sua idea di un'Europa unita. Oggi ci ritroviamo a vivere in un soggetto politico europeo che di politico ha ben poco. L'Unione Europea di oggi, nonostante i propositi e le buone parole spese in questi anni, non si è evoluta. Rimaniamo ancora strettamente legati a quel processo di unificazione prima di tutto monetario e economico, privo di una solida base politica che impedisce uno sviluppo egualitario dei suoi stati. Un processo che per la sua struttura economica e monetaria ha inevitabilmente portato benefici ai due maggiori stati europei, Francia e Germania, che dalla nascita dell'Unione si sono sempre contesi il controllo della linea politica da dettare a tutti gli stati. Insieme ovviamente al predominio economico e alla ricerca delle migliori condizioni per i propri paesi di diventare le locomotive del continente.

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Mercoledì, 29 Luglio 2015 00:00

Grecia, il segno di una sconfitta

La Grecia e la sua crisi usciranno dalle scalette dei telegiornali e dalle prime pagine dei giornali italiani. È una regola dell'informazione: “tirare” troppo una notizia stufa il lettore, approfondirla lo annoia. Finiti gli aspetti scenografici - la tensione sul volto di Tsakalotos, la giacca di Tsipras - restano sul tappeto i problemi dei greci e della loro economia.

In questi anni, prima a sinistra, poi persino in un pezzo delle élite conservatrici, si è affermato che le politiche di austerità imposte all'economia ellenica e accettate - e seguite parzialmente o totalmente - da Pasok ed ND hanno peggiorato la malattia che affligge la Grecia.
PIL crollato, domanda interna e condizioni di vita della popolazione ellenica drasticamente peggiorate, nessun risultato apprezzabile sul fronte occupazionale e del contrasto all'evasione (anzi l'esatto opposto).

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Sabato, 11 Luglio 2015 00:00

Chi ha votato no al referendum in Grecia

Chi ha votato NO al Referendum Greco

La vittoria del “NO” al Referendum greco del 5 luglio scorso è stata giustamente salutata come un passaggio di enorme rilevanza nella storia recente della Grecia. Sebbene i cittadini ellenici siano stati semplicemente chiamati a votare se accettare o meno il piano dei creditori internazionali in cambio di un nuovo programma di aiuti, le implicazioni politiche del voto sono decisamente più ampie e riguardano l’idea di Europa e di società alla quale si vuole aspirare: da una parte chi ritiene che l’Europa della austerità e del primato della finanza non possa essere messa in discussione, dall’altra chi invece pensa che un progetto unitario vado costruito dal basso, mettendo al primo posto il benessere dei popoli e non quello degli istituti di credito.

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La vicenda greca si trascina dal 2009 con continui, settimanali, colpi di scena, stalli nelle trattative, artifici retorici e toni minacciosi da entrambe le parti. Lo scontro, la tifoseria, il parteggiamento per i contendenti seduti ai tavoli europei si è esteso alla società, e come sempre l'esaltazione allontana la pacatezza della riflessione. In primo luogo nella discussione sul debito sono da bandire le semplificazioni.

Una volta la sinistra esaltava il pensiero complesso, magari sintetizzandolo in slogan, ma senza privarlo degli agganci con la realtà. Il “non pagare il debito”, può apparire soluzione semplice, banale, conveniente per tutti, ma così non è.
Le nazioni, tutte, hanno la necessità di finanziare il proprio debito pubblico sul mercato. È - allo stato attuale delle cose - un dato di fatto, discutibile ma non ignorabile.

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"L'Europa non ha ancora trovato un modo efficace per rendere Israele responsabile del modo in cui mantiene l'occupazione. È tempo di dimostrare seriamente alle due parti quanto seriamente l'opinione pubblica europea consideri le violazioni della legge internazionale, la perpetuazione di atrocità e la negazione di diritti acquisiti”.

Queste parole, rivelate dal quotidiano inglese The Guardian, sono state rivolte da personalità che hanno rivolto ruoli di rilievo nella gestione della politica internazionale dell’UE, come i due ex ministri degli Esteri francesi, Hubert Vedrine e Roland Dumas, gli ex primo ministri olandese Andreas Van Agt, francese Michel Rocard e irlandese John Bruton e lo spagnolo Javier Solana, all’attuale Alto Rappresentante della Politica Estera europea Federica Mogherini.

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Ucraina, Donbass: i crimini di guerra della Giunta di Kiev
Recensione del libro di Enrico Vigna “Ucraina, Donbass” (Zambon Editore)

Ottobre 1941. Nel contesto dell’Operazione Barbarossa e dell’occupazione dell’Ucraina da parte delle forze dell’Asse, a Odessa decine di migliaia di ebrei e oppositori politici vengono brutalmente sterminati.
Maggio 2014. Dimostranti federalisti vengono attaccati e inseguiti dai neonazisti del “Prawy Sektor” fino alla Casa del Sindacato di Odessa, dove entrano per cercare rifugio. È un massacro: gli inermi cittadini vengono trucidati senza pietà uno alla volta e poi l’edificio è dato alla fiamme.

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Lunedì, 22 Dicembre 2014 00:54

Sulla definizione di terrorismo

L’11 settembre 2001 un gruppo armato legato al potere talebano in Afghanistan si impadronì negli Stati Uniti di quattro aerei di linea e riuscì a scaraventarne due contro le Twin Towers di New York, uccidendo tremila persone. Tra i numerosi effetti politici di quest’atto ci fu la partenza di una discussione tra i governi europei e nelle sedi dell’Unione Europea, oltre che sul da farsi in termini di prevenzione rispetto a rischi conformi per le proprie popolazioni, anche su ciò che andava considerato formalmente “terrorismo”. Si trattava infatti di dare una base legale adeguata ad azioni di prevenzione, forme di indagine, poteri degli inquirenti, misure di repressione, ecc. Il Parlamento Europeo, di cui ero allora membro, passò alcuni mesi a discutere, con scarsi risultati: l’unica cosa su cui c’era convergenza unanime era che atti distruttivi di vite civili che partivano da motivazioni politiche, come l’attentato dell’11 settembre, erano da considerare

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