Martedì, 26 Dicembre 2017 00:00

Sull'affossamento dello ius soli

Sull'affossamento dello ius soli

Sabato 23 dicembre il Senato ha registrato la mancanza del numero legale sullo ius soli e si è aggiornato al 9 gennaio. Se, come probabile, il Presidente della Repubblica scioglierà le Camere entro la fine dell’anno, la proposta di legge non sarà mai dibattuta a Palazzo Madama e per una riforma del diritto di cittadinanza si dovrà attendere eventualmente la prossima legislatura. Le assenze massive dei partiti di destra (M5s, Lega, Forza Italia) e quelle sparse nel centrosinistra (Pd, A1-Mdp) hanno riacceso la polemica già attizzata tre settimane fa dalla tarda calendarizzazione del provvedimento.


Niccolò Bassanello

Incredibile il livello di vigliaccheria che caratterizza il dibattito politico italiano, specchio fedele di un Paese in cui minoranze di invasati (nel silenzio e grazie al menefreghismo della maggioranza) si sentono in diritto di alzare barricate per impedire a qualche sparuta famiglia straniera di entrare in casa o di fruire di servizi pubblici. Sulla pelle di esseri umani reali le istituzioni rappresentative della repubblica si sono coperte di ignominia ancora una volta, tra mandatari del potere sovrano del popolo che disertano le aule per affossare la blandissima legge che avrebbe conferito la cittadinanza ad un pugno di persone nate e cresciute in Italia e rappresentanti del potere popolare che gongolano sulla stampa del danno arrecato all'iter della legge con migliaia di emendamenti "fuffa".

Meglio stendere poi un velo pietoso sui peggiori "partiti" - se si può abusare di un termine nobile usandolo per designare l'attuale magma informe - della storia unitaria, a sinistra ridotti a simulacri pseudo-liberaldemocratici a corto di idee e di forza politica, assolutamente incapaci di assolvere alla funzione che spetterebbe loro da costituzione, e a destra (m5s compreso) più vicini alle consorterie della destra eversiva sudamericana che al conservatorismo europeo. La costituzione, il parlamento e la democrazia trasformate in un teatrino da libera repubblica di Bananas.

Una reazione di civiltà minimamente progressista non può e non deve partire dall'accettazione, nemmeno tattica, del presente. Non ci possono essere compromessi, costasse pure un decennio di traversata del deserto. L'idea di trovare scorciatoie populistiche per le stanze del potere (ma poi, per fare cosa?), è una pia illusione. È invece necessario e irrinunciabile ricostruire dal nulla spazi in cui la solidarietà umana, i legami costruiti dalla partecipazione ad un progetto emancipatorio ed il valore nobile della politica possano esistere e dare un volto al socialismo del nostro secolo. Tutto il resto è abbandonarsi al male.


Alex Marsaglia

E così mentre il premier non eletto annuncia da una portaerei militare il rilancio delle missioni militari all'estero a scopo umanitario, con la costruzione di ponti umanitari addirittura dal Niger, si scatenano gli alti lai di chi lamenta l'affossamento dello ius soli come gesto di inciviltàLa costruzione di mercati sulle migrazioni globali invece resta un gesto di umanitarismo da preservare e rafforzare, secondo molti.

In realtà, ad aver determinato l'affossamento dello ius soli è un puro calcolo utilitaristico da parte di chi ha incrementato l'integrazione forzata in questi anni. Infatti, una legge che allarga la platea dei nuovi cittadini, favorendo l'integrazione, concedendo la cittadinanza ai nuovi nati sul suolo italiano, andava a destrutturare tutta l'architettura che fino ad oggi ha portato a costruire profitti sulle vite di chi è in fuga dal proprio paese e cerca un rifugio altrove.

Insomma a determinare l'impossibilità degli stranieri nati in Italia di acquisire la cittadinanza alla nascita è un calcolo rivolto a preservare gli interessi di chi ha speculato sull'integrazione forzata. Il vero paradosso è che una forza come il PD considerata pro-immigrati dall'opinione pubblica abbia preferito mantenere norme sulla cittadinanza basate sullo ius sanguinis, pur di preservare e garantire rendite determinate dall'afflusso di chi cerca di accedere ad uno status tanto agognato. La difficoltà di accesso alla cittadinanza resta quindi un criterio da preservare per non erodere le quote di interessi costruite in questi anni, nonostante i bei discorsi dei liberali sull'eguaglianza di diritto per tutti alla nascita.


Dmitrij Palagi

Antonio Socci sostiene che Papa Francesco è ossessionato dai migranti. Tralasciando i dibattiti surreali all'interno del mondo cattolico, non si può ignorare come l'odio per chi si occupa dei "diversi" abbia un radicamento, almeno apparentemente, più forte che in passato.

Si tende a confondere i piani da ormai un decennio a questa parte. Quello umanitario, spazzato via nel senso comune dall'eccesso di "politicamente corretto" in tempi di crisi economica, riesce a essere con fatica recuperato in chiave ironica e dissacrante, a esempio, dallo spot dei The Jackal per ActionAid (vedi qui), ma si ferma alla comunicazione dei buoni sentimenti per il volontariato. Esiste poi il livello politico, che dovrebbe fondarsi su lettura della società e dei processi produttivi/economici. Da tempo però l'analisi della sinistra di classe (ma anche di quella di governo) si è abbandonato alle parole da vuote trasmissioni televisive in prima serata.

Lo Ius Soli era diventato merce di scambio tra Renzi e Pisapia, poi magari avrebbe convinto la Boldrini a non candidarsi con Grasso. Adesso ci si concentra di nuovo sul Movimento 5 Stelle, che avrebbe fatto mancare i numeri per l'approvazione di una legge, accusata dai suoi detrattori di giungere in momento meramente elettorale.

Ci sono due battaglie da condurre: una culturale, che riguarda il disarmo della guerra tra poveri fomentata dal sistema di informazione (dove il pietismo non fa che aizzare chi vive in difficoltà contro il proprio vicino, perché i buoni sentimenti e l'educazione sono ormai associati all'idea di lusso), l'altra politica, che sia capace di riaffrontare i problemi reali del sistema economico e sociale.

Lo Ius Soli rischia di essere un tema da "chiacchiere e distintivo" per l'imminente campagna elettorale, sulla pelle di esseri umani. Magari riflettere anche sul diritto di voto di chi paga le passe in questo Paese potrebbe innervosire, ma sarebbe funzionale a una corretta discussione.


Jacopo Vannucchi

L’ora sembra dunque scaduta per lo ius soli in questa XVII legislatura, a meno di un colpo di scena che prorogando a metà gennaio lo scioglimento delle Camere consenta un’approvazione lampo – del tutto improbabile visto il costo politico che comporterebbe elettoralmente per il centrosinistra e vista anche la volontà di Mattarella di andare alle elezioni con Gentiloni non sfiduciato.

Questa legislatura è stata in realtà ricca di buoni esiti nel campo dei diritti civili: divorzio breve, introduzione del reato di tortura, “dopo di noi”, unioni civili, testamento biologico. Il fatto che lo ius soli sia rimasto vittima illustre di un fuoco di fila, mentre sugli altri temi non vi sia stata una opposizione sostanziale se non da parte di frange integraliste, è indice dell’importanza che le pulsioni egoiste hanno nella società italiana: da un lato si vogliono estendere i confini della libertà per chi ne gode, dall’altro si vuole recintare la platea di questi soggetti. Non sono mancati ovviamente i falsi di propaganda come ad esempio la “cittadinanza automatica” evocata immediatamente da Giorgia Meloni a mezzo Facebook.

Un altro dato su cui riflettere è il crescente declino della presa ideologica della Chiesa cattolica: la quale, pur essendo lontani i tempi delle crociate del cardinale Ruini, ha promosso con forza l’approvazione dello ius soli mentre non ha certo appoggiato le unioni civili o il biotestamento. Non sono certo casuali le parole rese dal papa nell’omelia della notte di Natale, in cui ha indicato Gesù come «Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza»: un riferimento non soltanto alla situazione italiana ma anche alla politica xenofoba dei Paesi cattolici dell’Est Europa, ai quali ha rinfacciato anche lo «spalancate le porte a Cristo!» con cui nella Messa di insediamento al soglio Giovanni Paolo II chiamava all’attacco al blocco comunista.

Infine merita attenzione l’opinione popolare sul tema. In primo luogo è da evidenziare che, ferme restando le convinzioni personali in materia di cittadinanza, sbalordisce il toccare con mano come molte persone siano realmente convinte della propaganda fascista secondo cui con lo ius soli si dà la cittadinanza a chiunque metta piede sul territorio italiano. Chi ha una conoscenza minima, che solitamente ci veniva insegnata a geografia in prima media, sa che anche la forma più radicale di ius soli riguarda semmai i nuovi nati e non gli immigranti. In secondo luogo, lo ius soli è impopolare anche presso gli elettori di sinistra: è sufficiente frequentare i luoghi di ritrovo e gli esercizi di una qualsiasi periferia “rossa” per averne la prova. L’avvertimento di Alfano (considerare i costi politici dell’approvare o non approvare la riforma) è, più che ignavia, una lezione di realismo pur se cinico.


Alessandro Zabban

Il crollo della socialdemocrazia in quasi tutti i Paesi occidentali ha portato all'emergere di una serie di partiti di centrosinistra quasi tutti caratterizzati da una politica economica e sociale del tutto in sintonia con le logiche neoliberiste: si vuole gestire e rafforzare l'economia di mercato piuttosto che contrastarne le distorsioni. L'unica differenza con la destra è spesso costituita da una maggiore attenzione ai diritti civili, secondo la strada indicata e intrapresa da Blair.

Il PD si è dimostrato per lo più in sintonia con questo modello e in effetti Renzi e Gentiloni verranno ricordati per l'approvazione di riforme inequivocabilmente neoliberiste come il Jobs Act e La Buona Scuola e per alcune conquiste di civiltà importanti come le unioni civili e il reato di tortura. In questo contesto il fallimento nell'approvazione dello Ius Soli resta una macchia indelebile di questa legislatura che ha messo tutta la sua forza riformista e ha puntato tutto ciò che resta della sua identità di sinistra su questi aspetti politico-sociali. La defezione anche di parlamentari del Pd e le discussioni surreali nella "società civile" (ormai ridotta a talk show patinati e teatrali e a sfoghi social), dimostra, al di là di tutto, che, anche in quella che dovrebbe essere la sinistra, c'è una diffusa attrazione nei confronti della retorica sempre più aggressiva dei vari Salvini e Meloni. La disorganizzazione patologica della sinistra di classe rafforza l'amara convinzione che di Ius Soli non ne sentiremo parlare più per molti anni e che ci attendono tempi molto bui.


 Immagine liberamente tratta da www.fanpage.it

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Martedì, 21 Novembre 2017 00:00

Italia: sinistre che non si incontrano

Italia: sinistre che non si incontrano

Nell’ultima settimana Pisapia e il suo Campo Progressista hanno di fatto trovato un accordo con il Pd, con l’autorevole benedizione di Prodi. In un’altra area, il duo Falcone-Montanari ha disdetto l’assemblea del Brancaccio in polemica con il patto a tre fra A1-Mdp, Si e Possibile, giudicato verticistico, esclusivo di altre realtà “scomode” (Rifondazione, L’Altra Europa), privo di radicamento popolare e sostanzialmente non davvero alternativo al Pd.

Come sempre dal 2008, quindi, la sinistra si presenterà ancora divisa (stavolta in tre blocchi?) e, in diversi casi, verosimilmente con poche prospettive di proseguimento post-elettorale – si ricordano la Sinistra-l’Arcobaleno, la Federazione della Sinistra, Rivoluzione Civile.

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Sabato, 23 Settembre 2017 00:00

Quale processo unitario a sinistra?

Quale processo unitario a sinistra?

1. L’incertezza culturale che sino a tutto agosto ha fatto perdere tempo

I due fattori culturali di quest’incertezza: la complessità della crisi sociale e politica italiana, la vischiosità del rapporto tra posizioni liberal-democratiche ed élites della sinistra politica.

Il primo fattore dell’incertezza è dato da qualità, determinazioni e vissuti popolari della crisi sociale italiana (ma, si dovrebbe aggiungere, dell’intera Europa mediterranea e degli Stati Uniti). In breve, si tratta del quesito se questa crisi risalga semplicemente a una caduta delle condizioni di vita popolari causata dalla perdita di posti di lavoro, dalla precarizzazione della condizione lavorativa, dall’abbattimento dei diritti del mondo del lavoro, dalla gigantesca disoccupazione del Mezzogiorno, dunque risalga un po’ alla storia e un po’ a trent’anni di neoliberismo e di libero scambio incontrollati; oppure se a questa caduta si unisca un ulteriore fattore altrettanto decisivo, quello (recuperando a figure di studiosi che di ciò si occupano anche da tempo) della dissoluzione dei “mondi di vita” popolari e dell’impossibilità di ricostituirli, poiché ogni tentativo in questo senso è automaticamente contrastato dalle condizioni sistemiche create da neoliberismo e libero scambio.

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Riflettendo sulla proposta del ddl Fiano

Talvolta qualcuno si riferisce a Boeri come ad un Ministro delle Pensioni, scherzando sull'inconsuenta ingerenza del Presidente dell'INPS nel dibattito pubblico. Nelle librerie è uscito anche un suo libro su "Populismo e stato sociale". In generale il tenore medio delle sue dichiarazioni è un misto tra posizioni progressiste ("senza migranti non andremmo avanti") e tesi da anni egemoni (sulla non sostenibilità di un sistema pensionistico che ci avrebbe portato a vivere al di sopra delle nostre possibilità per anni ed anni, leggi qui e qui).

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Riflettendo sulla proposta del ddl Fiano

Sta facendo discutere il ddl Fiano sull'apologia di fascismo, che, se approvato, comporterebbe pene più dure per chi inneggia al regime, anche e soprattutto sui social. Mentre Pd e sinistre difendono l'intervento legislativo il movimento 5 stelle è compatto nel bocciarlo, in una significativa convergenza con le destre. Di questo discutiamo nel 10 mani di questa settimana.

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Mercoledì, 12 Luglio 2017 00:00

Alla vigilia di una renziana svolta populista

Dal monetarismo di destra neoliberale al neopopulismo europeo di destra: la metamorfosi in gestazione di Matteo Renzi. Alla quale va reagito in modo serio e adeguato

Non mi pare che si stia prestando attenzione adeguata ai passaggi in corso negli orientamenti e nei comportamenti di Matteo Renzi: pesantemente attardati come siamo dal tentativo di fare di Pisapia la figura che miracolosamente ci condurrà alle prossime elezioni a un risultato a due cifre, quindi attardati da uno sforzo teso a fargli emettere qualche sillaba di sinistra sulle questioni che interessano le classi popolari, e di conseguenza condizionati dalla necessità di una periodica elencazione di obiettivi socio-economici immediati a copertura di un ritardo sempre più grave in sede di creazione di un programma formale di partito.

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L’orizzonte della sinistra unita: ma chi guarda più al Sole?

Clima politico incandescente nel nostro paese. In questi giorni si sta marciando a ritmi serrati verso l’approvazione della riforma elettorale, frutto del compromesso dei maggiori partiti presenti in Parlamento. Chissenefrega se c’è un governo che dovrebbe portare a termine delle leggi come la confisca dei beni ai corrotti equiparati ai mafiosi, la legge sul fine vita e tutte quelle riforme di cui Renzi si vanta ma che decide di abbandonare. O almeno questi sono i segnali di queste ultime settimane. Approcciandomi in toni colloquiali, confesso che sto scrivendo queste righe con quella nausea che non provo nemmeno quando per la mia tesi leggo testimonianze di stupri e fosse comuni balcanici.

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Martedì, 06 Giugno 2017 00:00

A proposito di legge elettorale

A proposito di legge elettorale

La vertiginosa accelerazione sulla riforma elettorale a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni è il frutto della convergenza fra PD, FI, Lega e M5S su una serie di emendamenti che hanno modificato sostanzialmente il testo base del Rosatellum nella direzione di un sistema proporzionale che ha diverse somiglianze, ma anche significative differenze, con il modello tedesco. L’ampia maggioranza parlamentare di cui godono i simpatizzanti della proposta di legge potrebbe portare ad una approvazione piuttosto rapida e c’è allora da chiedersi se questo sia il preludio a un’imminente crisi di governo e al conseguente voto anticipato in autunno che molte forze politiche sembrano volere.

Sicuramente intanto però molti aspetti della riforma stanno accendendo una polemica infuocata: se da una parte lo sbarramento al 5% è indigesto a molti partiti piccoli, ed è proprio su questo punto che si è consumata la rottura fra Renzi e Alfano, dall’altra è forte la preoccupazione per un sistema che renderà difficile trovare un’ampia maggioranza parlamentare. Non meno significativo, fra le altre cose, è anche il nodo sui meccanismi di elezione dei parlamentari, soprattutto dopo che gli emendamenti proposti per introdurre il voto disgiunto e le preferenze nel listino proporzionale sono stati bocciati. Su questa delicata situazione politica, il “10 mani” di questa settimana.


 Niccolò Bassanello

Esistono due nodi del “caso italiano” che il dibattito parlamentare sulla legge elettorale non è riuscito a sciogliere: l'incertezza della legge e il problema del trasformismo. Per quanto riguarda il primo nodo, dopo il “mattarellum” (1993) il “porcellum” (2005) e l'“italicum” (2015) e successive mutilazioni per incostituzionalità, il meccanismo elettorale italiano non ha avuto pace, con leggi successive che hanno di volta in volta ricalcato più gli interessi di parte degli estensori che l'attenzione a criteri di razionalità tecnica. In questo contesto da un lato la Corte Costituzionale si è trovata a supplire al ruolo del legislatore, rischiando di diventare quella “terza camera” non elettiva paventata a suo tempo da Togliatti. Quella che, salvo ennesime giravolte, dovrebbe essere la nuova legge elettorale persevera nell'errore, costruendo un sistema pasticciato e poco chiaro unendo elementi disparati di ispirazione proporzionale o maggioritaria. Più che “modello tedesco”, modello Frankenstein. Meglio, a mio parere, sarebbe stato fare una scelta netta licenziando una legge più semplice possibile, magari maggioritario uninominale o proporzionale con sbarramento, per poi apportare eventuali aggiustamenti nel lungo periodo.

Per quanto riguarda il secondo nodo, basti dire che attualmente un parlamentare su tre ha cambiato gruppo, e che tutte le aree politiche dell'arco parlamentare, dal 2013 ad oggi, hanno subito scissioni, cambi di casacca o espulsioni di massa. I partiti in parlamento si sono sbriciolati e moltiplicati, spesso totalmente all'insaputa degli elettori, che davanti a sigle come “alternativa libera”, “civici e innovativi” o “conservatori riformisti” non possono che rimanere spaesati.

Considerato questo contesto desolante, lo sbarramento al 5% previsto dalla nuova legge elettorale è probabilmente l'unico elemento positivo, rendendo sostanzialmente impossibile la rielezione di conventicole di potere e scissionisti minoritari di ogni persuasione. In ogni caso non bisogna farsi illusioni, nonostante sia necessario fare il possibile per metterci una pezza, le cause della frammentazione sono sistemiche, e non risolvibili con artifici elettorali.


Alex Marsaglia

Le principali forze politiche parlamentari stanno trovando una convergenza su una nuova legge elettorale, lo stesso PD sembra disposto a concedere persino una maggiore proporzionalità, ispirandosi al modello tedesco. Quest'ultimo però prevede una maggior selettività nella rappresentanza con una soglia di sbarramento innalzata al 5%, ma pur di andare al voto sembra andare bene.

Il sistema, pur andando verso una maggior proporzionalità, certamente non è privo di tranelli poiché mantiene i capilista bloccati, per cui l'eletto risulterà quindi non il più votato ma il candidato indicato preventivamente dalle forze politiche. Inoltre, la principale conseguenza di una tale soglia di sbarramento è che i partiti presenti in Parlamento inevitabilmente si ridurranno. PD, M5S, Forza Italia e Lega Nord oltre ad essere coloro che approveranno tale sistema elettorale dovrebbero essere anche le uniche forze politiche in grado di ottenere un minimo di rappresentanza. Il vero dato di questa legge elettorale tuttavia non deriva dal solo lato tecnico, ma da quello politico. Infatti, la stessa decisione di varare una legge elettorale è sintomo della volontà politica di sfruttare il vento di Macron per riportare il nuovismo socialdemocratico al governo, tagliando fuori dai giochi ogni pericolo populista. La volontà di isolare determinate forze politiche, nella fattispecie quelle populiste, è l'unica ragione ad aver mosso Renzi e i suoi accoliti nella direzione di una nuova legge elettorale che inevitabilmente sbloccherà la situazione portandoci a nuove elezioni.

Così si prefigura già un'ammucchiata di governo pronta per approvare una legge di stabilità austeritaria in grado di recepire le indicazioni di Bruxelles e Francoforte. La gestione dei Piigs nel fine stagione del quantitative easing sembra così condurci alla melassa democristiana più torbida.


Dmitrij Palagi

Sono i rapporti di forza che determinano l'impianto normativo di un sistema. C'è poco da fare. L'interpretazione delle leggi nei tribunali, l'orientamento esecutivo del Governo, quello legislativo del Parlamento... non si può agire all'interno delle regole date pensando di poterle mutare a proprio favore se non si hanno dei rapporti di forza adeguati. In questo la sinistra italiana pare molto arretrata, impegnata come è a scandalizzarsi per questo o quel dettaglio (sia la soglia di sbarramento o il meccanismo dei collegi).

Il grande scandalo dei nominati è sorprendente. Quante persone oggi sarebbero in grado di proporsi con una capacità di mobilitazione in grado di garantire la propria elezione in Parlamento, escludendo le prime file (comunque molto limitate numericamente)?

Se la destra ha da regolare i conti al proprio interno, a partire dal ruolo dei moderati e del centro, nell'opporsi all'asse FdI-Lega Nord, Renzi ha gioco facile nel rafforzare quella linea di autosufficienza che è alla base della nascita del Partito Democratico (Bersani è un mezzo - falso - passo indietro rispetto a Veltroni). Il Movimento 5 Stelle ha dei rapporti di forza che gli permettono di giocare un ruolo a prescindere dalla legge elettorale (e nemmeno hanno validi motivi per sperare di governare da soli o ritrovarsi "obbligati" a cercare alleati, come Tsipras in Grecia insieme ai nazionalisti).

In tutto questo il "quarto polo" della sinistra non decolla non certo per colpa della legge elettorale. Manca un progetto. Se i due governi Prodi vengono giustificati con l'assenza del proporzionale nel Paese, sarebbe il caso di chiedere ai dirigenti DS-PRC di allora quale è stato il progetto complessivo che hanno proposto all'Italia tra gli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio.

Il Sole 24 Ore ha provocatoriamente iniziato a intervistare i "candidati premier" (che il nostro impianto costituzionale non prevederebbe) chiedendo per cosa si dovrebbe andare a votare. I vari Renzi e Di Maio devono giocarsi la partita nel sistema mediatico dato. A chi si propone come "alternativo al sistema" si consiglia di prendere spunto dal 5 Stelle, capace di apparire senza sussistere, a prescindere dalla legge elettorale. Apparire e sussistere: sarebbe una rivoluzione (parziale).


Jacopo Vannucchi

L’accordo tra i quattro principali partiti, che rappresentano assieme circa il 90% dei votanti, su una variante del sistema tedesco inaugura di fatto una situazione di armistizio tra le forze politiche che segnala come l’Italia non sia riuscita, in questi anni, a venire a capo della propria situazione interna.

Nel messaggio alla nazione del 31 dicembre 2013 l’allora Capo dello Stato ricordò che nel corso dell’anno l’Italia aveva visto messa a rischio la stessa natura democratica del sistema istituzionale – un evidente riferimento alle manovre eversive del Movimento 5 Stelle a cui, d’altro canto, non aveva corrisposto una reazione determinata degli avversari. Venuta meno con il Governo Letta la formula del “fronte repubblicano” (o “larghe intese”) l’alternativa a Grillo si era manifestata nel Governo Renzi e nel 41% raccolto dal Pd a maggio 2014. Fondandosi su quel consenso eccezionale il Presidente del Consiglio aveva promosso numerose riforme con l’obiettivo di far venir meno le radici del consenso popolare al M5s.

Sconfitto questo disegno nel referendum costituzionale, bocciato l’Italicum dalla Corte Costituzionale, e con una stampa di opinione sempre più ostile alla «classe politica» (sic), l’Italia torna al punto di partenza del 2013, ma con una vistosa differenza: il nuovo sistema proporzionale renderà di fatto certa, prima del voto, l’ingovernabilità del Paese e il necessario ricorso a coalizioni spurie. Se a questo dovesse affiancarsi la riedizione di esecutivi a guida “tecnica” – scenario paventato da Renzi stesso in caso di vittoria del No – è evidente che il consenso al M5s potrebbe imboccare una nuova fase di crescita.

E anche l’accorato allarme lanciato da Romano Prodi – «Non ho dedicato la mia vita politica a costruire alleanze con obiettivi talmente disomogenei da diventare improduttivi», in riferimento a un futuro governo Pd-Fi – ha almeno due pecche: 1) non considera che invece di Pd-Fi al governo potrebbero andare gli altri, ovvero M5s-Lega; 2) evita di puntualizzare che una maggioranza omogenea sarebbe per certo scaturita con l’Italicum e il suo contenuto premio maggioritario (54% dei seggi alla Camera).


Alessandro Zabban

Sebbene probabilmente andrà incontro ad altre modifiche, l’assetto generale della nuova legge elettorale è piuttosto chiaro. Il modello sostanzialmente proporzionale, ma con la presenza di collegi uninominali, vorrebbe ricalcare quello tedesco ma in realtà poco si adatta all’assetto istituzionale italiano così come sancito dalla nostra Costituzione che prevede il bicameralismo perfetto e un numero fisso di parlamentari.

Si vuole dunque importare un modello che rischia di non funzionare nel contesto italiano dove tradizionalmente le coalizioni di governo, quasi sempre necessarie con questo sistema elettorale, durano molto poco. Sembra inoltre profilarsi un meccanismo che di fatto rende molto limitata la possibilità di esprimere una preferenza sulla scheda elettorale (soprattutto visto che molti parlamentari verranno eletti all’interno delle liste proporzionali bloccate), cosa che allontana ancor più la nuova riforma dal modello tedesco e soprattutto fa emergere una inconsueta e cinica realpolitik del M5S, pronto a rinunciare alle preferenze, suo tradizionale cavallo di battaglia, pur di andare subito al voto e massimizzare un risultato elettorale di rilievo che, sondaggi alla mano, sembra potersi concretizzare.

A ben vedere però, con questo sistema, i pentastellati potrebbero andare incontro a una vittoria di Pirro in quanto nessun partito, allo stato attuale, sembra essere in grado di governare da solo. Il M5S che per sua natura tende all’autonomia politica, difficilmente potrà allearsi con un’altra forza politica (gli elettori non lo perdonerebbero) e ciò potrebbe significare rimanere all’opposizione dato che il sistema premia chi riesce a mettersi in coalizione dopo l’esito elettorale, a giochi fatti. A meno di una clamorosa alleanza Lega – M5S, stando così le cose, il più probabile scenario è quello di una coalizione di governo PD – Forza Italia (fa una certa impressione sentire molti esponenti del PD definire Berlusconi come un baluardo contro l’avanzata del populismo!). Sono dunque queste le forze che di fatto stanno uscendo vittoriose dal confronto parlamentare sulla riforma. Ma nel lungo termine la mancanza di un premio di maggioranza potrebbe rendere l’azione di un governo nato sotto il segno del Nazareno poco efficace. Questa riforma mette in luce che le principali forze politiche hanno più paura di perdere che voglia di vincere. La loro mossa però farà strage di partiti piccoli, non in grado di superare la soglia si sbarramento. La sinistra radicale è avvertita.

Immagine liberamente ripresa da images2.corriereobjects.it.

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Giovedì, 04 Maggio 2017 00:00

L’urne de' forti si sono incrinate

L’urne de' forti si sono incrinate

Il pomeriggio della domenica delle primarie del Pd mi sono trovato per caso a passare da un circolo Arci in cui era stato allestito un seggio, nell’occasione ho ritrovato alcuni vecchi compagni del PCI, tutti ultrasettantenni, con i quali mi sono intrattenuto. Com’era ovvio l’argomento della conversazione sono state le primarie, che intanto si stavano svolgendo in una sala attigua al bar dove eravamo.

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Scomposizioni e ricomposizioni. Acque mosse per il centro sinistra?

Doppia scissione nelle sinistre parlamentari: lascia il Pd una parte della minoranza, mentre il congresso di SI si chiude con l’uscita dell’ala destra e della maggioranza del gruppo alla Camera. Ancora da definire le identità delle nuove formazioni o, forse, di una formazione unica (dopotutto sia Scotto sia i fuorusciti dal Pd sono ex Ds). Al di là dei punti di convergenza (l’opposizione netta a Matteo Renzi e il vagheggiamento di un “nuovo centrosinistra”) resta da sciogliere il nodo del rapporto con il Governo Gentiloni.

Se la divisione di SI rischia di essere un fenomeno tutto sommato poco influente – le intenzioni di voto per Si unita sono al 3-4% – è invece da vedere se gli scissionisti Pd riusciranno a ritagliarsi un qualche peso politico o finiranno, come tutte le promettenti scissioni passate (Api, Fli, Ncd…), per ridimensionarsi drasticamente. Di certo Renzi sembra soddisfatto di essersi liberato di un peso dentro il partito, riuscendo anche a provocare una scissione nella scissione con la permanenza nel Pd di Michele Emiliano.

Pubblicato in A Dieci Mani

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