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Martedì, 10 Giugno 2014 00:00

Come orientarci, dato il polverone

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Leggo di un deputato di SEL che entra nel PD e che lo fa perché si tratta del PD di Renzi. Il fatto è significativo dei problemi che attraversano la sinistra italiana, per molti aspetti cronici e per altri enfatizzati e modificati dalla nuova onda sussultoria a dominanza populista e infastidita dalla democrazia rappresentativa, che investe un sistema politico complessivo tutt'altro che stabilizzato. Quella cosiddetta II Repubblica, stando allo stile urlato e superficiale dei nostri mass-media, che aveva dinanzi a sé l'eternità in quanto “compiuta democrazia dell'alternanza”, si è rivelata essere un episodio a cui ne sta seguendo un altro, appena nato e le cui possibilità di sviluppo sono in molte direzioni, essendo contemporaneamente in campo le variabili della crisi economica, della crisi sociale e della crisi della costruzione europea.

Alcuni elementi di orientamento del capo populista veramente carismatico del momento, Matteo Renzi, vengono chiarendosi, dopo mesi di slogan comunicanti vitalismo giovanile e di superficiali elencazioni di problemi. Altri elementi rimangono invece nel vago più totale. Il carisma è stato moltiplicato sotto elezioni dalla capacità di Renzi di comunicare un'aggressività capace di affrontare i problemi di cui ai suoi elenchi e di indicare nemici od ostacoli da spazzare via. Il tono tuttavia in campagna elettorale non è stato più quello del rottamatore infuriato ma del responsabile uomo di stato. Il tono di Beppe Grillo ha invece continuato a essere il solito, trasmettendo non solo rabbia ma anche angoscia e impotenza, dato il carattere velleitario irrealistico e spesso anche ridicolo degli impegni (andiamo al Parlamento Europeo a imporre un rovesciamento in sede di politiche economiche, processeremo politici, capitalisti e giornalisti, faremo dimettere il Presidente della Repubblica, ne faremo eleggere un altro che scioglierà il Parlamento, passeremo alla democrazia diretta via web, ecc.). Dunque quaranta a venti per Renzi. Il popolo italiano, ma non era difficile capirlo anche prima, vuole a larga maggioranza un governo che affronti una serie di problemi, non la guerra civile, neanche quella finta via web; e la drammaticità dei problemi fa sì che gli vada bene anche solo l'elenco, purché accompagnato da un'immagine di effettività operativa degli impegni. Quasi inutile aggiungere che quanto a effettività c'era la prova ben tangibile degli 80 euro; su un altro piano, quello della civilizzazione del paese, ha invece funzionato mettere donne in testa alle liste di tutti e cinque i collegi. Si potrebbe obiettare che il realtà quasi metà dell'elettorato non è andato a votare: ma io credo che nell'astensione come nel voto a Grillo si combinino all'iconoclastia gridata nei confronti della politica anche una domanda ansiosa alla politica di darsi davvero da fare. Quindi se qualcosa di ulteriore il governo Renzi riuscirà prossimamente a fare, il consenso a esso potrebbe addirittura allargarsi, anche perché dagli altri versanti della politica o si grida ci sono anch'io o si grugniscono sparate velleitarie.

Qui entrano in campo i problemi italiani. Sul piano economico essi sono diventati una situazione al limite della deflazione, quindi della tendenza a un lungo periodo di stagnazione economica al livello a cui ha portato una recessione che ha abbattuto ben il 25% della produzione industriale e portato la disoccupazione giovanile al 46%. Si tratta di una situazione che significa che il complesso della condizione sociale continuerà a peggiorare, che non sarà facile uscirne in quanto ogni tentativo serio di farlo comporta il ricorso a risorse finanziarie e a politiche industriali e infrastrutturali di mano primariamente pubblica e che a ciò si contrappone il complesso dei contenuti dei Trattati europei, cioè non solo quanto in essi riguarda le politiche (ultrarestrittive) di bilancio. Per esempio anche le regole del mercato unico, che escludono i cosiddetti aiuti di stato alle attività produttive e impongono la libertà di trasferimento di investimenti e impianti sono un ostacolo alla ripresa, in Italia e in molti altri paesi. Ed è questo il problema numero uno del paese, che preoccupa la grande maggioranza della sua popolazione, ivi compresa una quota di imprenditoria piccola e media industriale, commerciale e bancaria. Se questo problema non riuscirà a essere efficacemente affrontato, definendo così anche inversioni di tendenza sul terreno della condizione sociale, la crisi sociale, quella politica e quella, che da ciò consegue, istituzionale precipiteranno nel buio. Alcuni buontemponi dentro alla sinistra ritengono che ciò porterà ineluttabilmente a grandi movimenti di massa che rovesceranno il capitalismo. Rammento che l'Europa ogni volta che si è trovata in situazioni analoghe (ultimo quarto dell'Ottocento, periodo in chiusura di prima guerra mondiale o immediatamente successivo) si è orientata a maggioranza popolare verso guerre e regimi autoritari di destra; e faccio presente il fatto che gli ingredienti che spingono oggi in questa medesima direzione hanno cominciato a esserci tutti, in molti paesi, tra i quali le cruciali Francia e Gran Bretagna.

Se gli 80 euro e le candidature femminili sono stati importanti per la vittoria del PD di Renzi, gli stessi toni di mezza sfida sul versante delle politiche ultrarestrittive di bilancio e dei loro tanto arcigni quanto stolidi portatori della Commissione Europea non sono stati irrilevanti. Se c'è un nemico da togliere di mezzo vero, prima di tutto, e ben individuato dalle popolazione europee sono proprio queste politiche e una Commissione Europea ultraliberista. L'Unione Europea dunque è vista da tempo dalle maggioranze popolari europee come matrigna insensatamente sadica, e Renzi ha dato mostra di condividere questo punto di vista e di essere orientato a battersi. Sicché ora la questione è cosa porterà a casa in tempi relativamente brevi. Inoltre se non otterrà nulla di minimamente adeguato, dal lato del Consiglio Europeo così come della Commissione Europea, il problema diventerà che dovrà scontrarsi molto duramente o dare forfait. Naturalmente (a me pare) se andrà allo scontro andrà appoggiato, quali che siano le altre sue posizioni politiche. Se darà forfait Renzi sarà solo una delle tante meteore che da tempo si avvicendano nel quadro italiano.

Questa questione dei risultati sul versante europeo va un po' argomentata. Si straparla da tempo sul semestre di presidenza italiana del Consiglio Europeo come momento risolutivo. La presidenza a rotazione da quando è stata affiancata da una presidenza stabile (quella, oggi a termine, di Van Rompuy) è diventata un fatto pressoché solo protocollare, cioè ha conta solo nella determinazione dei calendari di discussione; le decisioni ovviamente continua a prenderle il Consiglio, la cui gestione effettiva è della presidenza stabile. Puoi certo fare guerriglia e porre veti fin quando il Consiglio non molla qualcosa: ma questo lo puoi fare a prescindere dall'esserne il presidente. Qui quindi il rischio è di un semestre di strombazzate a uso e consumo massmediatico ma senza cavare fuori granché; e nelle circostanze attuali perdere tempo equivale a perdere consenso e, in ultima analisi, a dare forfait. Un altro modo ellittico di dare forfait è di farsi trascinare in una discussione in tema di riassetto globale dell'Unione Europea finalizzata a un nuovo trattato, ponendo così tale trattato come precondizione al rifacimento degli orientamenti di politica economica e di bilancio. Renzi qui potrebbe pretendere quanto vuole di sbrigarsi, il fatto è che nell'Unione Europea ci sono 28 paesi ognuno dei quali ha qualcosa da dire, da proporre, da rifiutare; dunque l'eventuale nuovo trattato verrebbe fuori in testo definitivo nel giro, se va bene, di tre-quattro anni. Non solo: alcuni paesi prevedono l'obbligo o la possibilità di referendum popolari di approvazione; e se in un solo paese il trattato è respinto, esso decade prima ancora di essere nato. Concludendo, le strade effettivamente utili alla situazione italiana sono, in termini di massima, due: la sospensione, con atto del Consiglio Europeo, dell'efficacia dei Trattati vigenti in materia di politiche economiche e di bilancio, accompagnata da una raccomandazione che indichi termini quantitativi, necessariamente ampi, in ogni caso, dello sforamento dei deficit di bilancio e nuove condizioni giuridiche, necessariamente elastiche, di nuove politiche di spesa, di investimento, ecc.; in alternativa, la decisione di scorporare dal computo dei deficit di bilancio gli investimenti produttivi e infrastrutturali. Naturalmente non sarebbe affatto male se a ciò si accompagnasse lo scorporo anche di una parte della spesa sociale, quella legata a diritti che l'Unione Europea stessa dichiara inalienabili. Naturalmente non sarebbe affatto male se alla Banca Centrale Europea fossero devoluti poteri superiori di finanziamento agli stati membri, per esempio sul terreno dell'acquisto dei loro titoli pubblici, inoltre il potere di emissione di titoli sovrani europei. Naturalmente non sarebbe affatto male se al finanziamento prossimo venturo della BCE ai sistemi bancari degli stati membri fossero accompagnate clausole cogenti stabilenti che questi soldi non possano andare ad alimentare il circuito finanziario ma debbano andare ad alimentare il finanziamento di imprese e famiglie e, prima di tutto, gli investimenti pubblici produttivi e infrastrutturali. Mi fermo qui, la questione può essere declinata molto meglio, in ogni caso l'idea è questa: si tratta di muoversi alla svelta e di ottenere risultati significativi, altrimenti sono guai enormi per Renzi come per l'Italia. Aggiungo che le possibilità di fare il risultato con queste elezioni europee si sono delineate, grazie al loro risultato complessivo. L'opposizione populista di destra o confusionaria a UE e/o euro ha raggiunto un tonnellaggio sufficiente a rendere ingestibile il Parlamento Europeo, bloccando i lavori nelle sue commissioni, e le forze politiche storicamente al comando dell'UE (socialdemocratici, popolari-conservatori, liberali) qualcosa dovranno pur inventarsi per evitare guai, non solo a livello europeo ma in molti tra i loro paesi. Il PD è diventato il principale partito del gruppo socialista e, addirittura, il primo partito europeo, e dovrà essere ascoltato. La Germania è abbastanza isolata, i suoi alleati o servi sciocchi sono in grandissime difficoltà (vedi Hollande); il governo tedesco è di coalizione, quindi come tale piuttosto debole.

Passando a ulteriore argomento, in via generale l'operazione politica facente capo a Renzi appare giunta alla possibilità, prima delle elezioni europee esigua, della costruzione di quello che Gramsci avrebbe chiamato un “blocco storico” sociale conservatore (cioè a dominanza borghese). Caratteristiche in Gramsci della riflessione sui “blocchi storici”, progressisti (cioè a dominanza proletaria) o conservatori, è di essere portatori di una capacità egemonica ampia nel tessuto sociale, anche avendo la capacità di fare proprie istanze avversarie e conquistando pezzi sul fronte sociale opposto. Sicché Renzi, conseguentemente alla sua posizione di fondo sul terreno di classe, da un lato ha detto che le politiche di concertazione tra stato, associazioni padronali e confederazioni sindacali è chiusa, mettendo così in angolo essenzialmente queste ultime; dall'altro ha prodotto gli 80 euro. C'è un'intelligenza politica in queste cose, e che faccia capo o meno a letture di Gramsci non significa niente. Naturalmente, ripeto, la costruzione oggi di un “blocco storico” borghese, dopo che tangentopoli sfasciò la possibilità che continuasse quello a gestione democristiana e il suicidio del PCI sfasciò la possibilità di un “blocco storico” popolare, è solo una possibilità, la cui effettività dipende dal fatto di portare a casa dal lato europeo da parte di Renzi qualcosa di significativo sul fronte economico.

Questo significa che un'opposizione di sinistra seria, a livello sociale così come nelle sedi istituzionali, tutto debba fare tranne farsi incantare oppure andare all'assalto baionetta in canna con l'obiettivo di travolgere la trincea nemica oppure starsene ad aspettare l'inevitabile insorgenza di massa. Il fatto stesso, cioè, dell'incipiente costruzione di un “blocco storico” conservatore, rispondente come tale alle idee che la parte avveduta e non ladra della grande borghesia italiana ha sia sul superamento della crisi che sull'ammodernamento del sistema economico, istituzionale e politico, obbliga a una politica, certamente di opposizione, ma molto manovrata, molto puntuale e molto capace di focalizzarsi sui punti di fragilità della posizione di Renzi, rappresentando effettivamente punti di vista e attese popolari e tutelando gli assetti democratici definiti dalla Costituzione rispetto a elaborazioni non democratiche della posizione populista di governo, tesa a bypassare i corpi intermedi, dai sindacati alle assemblee elettive, e a manomettere quel principio di rappresentanza effettiva delle posizioni popolari che la democrazia vuole informi queste ultime. Accanto alla riconquista della democrazia su questi terreni costituiscono obiettivi primari l'abolizione del precariato e quella della “riforma” delle pensioni realizzata dall'infame governo Monti-Fornero-Clini. La realizzazione di questi obiettivi quindi rappresenta la precondizione rispetto a qualsiasi possibilità di intesa politica tra centro-sinistra e sinistra. Al tempo stesso occorre che l'opposizione di sinistra porti proposte che consentano di velocizzare i funzionamenti istituzionali, aiutino a conquistare risultati significativi sul versante europeo e, in sede di ripresa economica, aiutino a realizzare politiche industriali e infrastrutturali attivate con strumenti pubblici e a imporre alle banche di appoggiare queste politiche così come le richieste delle famiglie.

Ultima modifica il Lunedì, 09 Giugno 2014 15:20
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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