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Domenica, 07 Aprile 2013 00:00

Elezioni? Occorre parlare di altro

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Sono tra quelli che in RIVOLUZIONE CIVILE ci avevano creduto e, aggiungo, i temi della legalità portati da Ingroia mi erano sembrati un recupero importante di un pezzo perduto della sinistra. Naturalmente parlavamo del superamento dello sbarramento del 4%, non della conquista di grandi consensi o della maggioranza elettorale. E l'operazione mi era sembrata anche furba dal punto di vista della comunicazione…il problema è che Ingroia è rimasto sui mezzi di informazione nei giorni immediatamente successivi alla decisione di candidarsi, poi è sparito e mediaticamente non ha più funzionato; paradossalmente a un certo punto è stata la parodia di Crozza a mantenerlo un po’ in vista.

Siamo destinati a restare fuori del Parlamento? Direi di no: negli altri paesi europei la Sinistra d’Alternativa è presente e se non lo è in Italia, il problema è qui: a partire da Rifondazione Comunista, che è la forza politica più consistente. Bisognerà prima o poi ripartire con l’analisi, dal dato specifico che caratterizza l’Italia rispetto agli altri paesi europei: siamo l’unico paese che ha visto auto-sciogliersi il Partito Comunista. Perché è successo? E cosa ne è derivato? Era inevitabile? Non c’erano altre strade? (Magri nel suo “il sarto di Ulm” ne fa una ricostruzione che a me appare feconda).

Elettoralmente e Istituzionalmente parlando, mi pare che la strada sia quella che ci indicano altri paesi: una Sinistra d’Alternativa cui va trasferita la sovranità, dove ogni testa conta un voto. Non mi pare che su questo piano ci sia da fare altro: sarebbe solo perdita di tempo. La presenza nelle istituzioni è importante e questo è il modo, di questi tempi, per starci. C’è poi il tema centrale della “Rifondazione Comunista”, appunto…

…PARLIAMO D’ALTRO

Per far questo forse è il caso di partire da un tema prettamente elettoralistico. Perché un precario avrebbe dovuto votare RC? Oppure un lavoratore in cassa integrazione, o un licenziato, o un disoccupato ec.ec.? Attenzione a non cedere alla banalità, per esempio rispondendo “perché siamo i più coerenti e conseguenti oppositori delle politiche liberiste e di chi le ha portate avanti!”. 

Le persone non ragionano così: nei modi più rozzi e senza arzigogoli raffinati, valutano l’utilità del loro voto proprio in relazione alla propria specifica condizione. Se vi fermate un attimo ed escludete l’adesione ideologica (in senso buono, non ci sputo certo sopra), non troverete un solo argomento pratico (non propagandistico) che possa portare una persona “normale” a considerare di poter votare RC: se penso alla possibilità di un lavoro, o di un reddito pur che sia, a ridurre la mia precarietà o a poter andare in pensione, a tutti penso meno che a RC. Se sono convinto che non ci sia altro da fare che caricarsi di altri sacrifici per lasciare aperta una prospettiva, voterò per il PD; se penso che sia tutta colpa della corruzione e che basterebbe far pulizia, voterò per il M5S; se penso che tutto debba essere lasciato com’è, consentendo che le cose si rimettano in moto per come sono sempre andate (secondo un sistema che permette anche a me salariato quantomeno di mangiare) voterò per Berlusconi.

Mi era capitato di dirlo in queste pagine: “che riesca o meno l’intelligente operazione politico-elettorale, vogliamo cominciare a fare i conti con la realtà?”

PROVIAMOCI ALLORA

Su cosa si basa tutta l’azione della sinistra e dei comunisti? Sull’idea (riassunta all’osso) che il lavoro salariato sia riproducibile. Attenzione! È esattamente quello che pensano tutti gli altri soggetti politici e sociali che sono in campo, direi dal PCL a Casa Pound, naturalmente con ricette diverse.

È vero che a sinistra alcuni sostengono che il sistema capitalistico sia in crisi strutturale e il processo di valorizzazione del capitale inceppato; ma affermano anche che l’azione dell’antagonista di classe può costringere il capitale ad agire diversamente e che comunque con la conquista del potere politico e grazie all’azione per perseguirla, si può ipotizzare la riproducibilità del lavoro salariato e, quindi, l’espansione e il rafforzamento dell’antagonista del capitale (come nei Paesi di nuovo sviluppo). Si pensa che esattamente come abbiamo fatto da oltre 150 anni guidando la classe operaia, possiamo garantire sviluppo all’umanità e proseguire sulla strada verso il socialismo.

Scusate la rozzezza, ma questo è quello che circola a sinistra: purtroppo però, anzi per fortuna, le cose non stanno per niente così!

Sfortunatamente per me non ho né titoli accademici né percorsi auto-formativi che mi consentano citazioni dotte, ma con la passione strettamente legata allo sforzo di ragionare, mi pare di poter invocare Carlo Marx (mi sembra dei grundrisse), quando afferma che lo sviluppo capitalistico ci porterà ad un punto in cui la ricchezza non si misurerà più dalla quantità di lavoro, ma dal tempo liberato.

In oltre 100 anni (fino a metà dei 70 del 900) il Movimento Operaio guidato dai socialdemocratici e dal 17 in poi dai comunisti, ha, con la lotta di classe, imposto al capitalismo un’ulteriore accelerazione dell’incessante movimento verso l’aumento della produttività: soprattutto con la lotta per la redistribuzione del reddito (salario e orario) e, poi, dopo il 17, con la sottrazione al Capitale del potere assoluto della conduzione dell’economia e della società, passato in parte al potere pubblico, alla politica.

Questo progresso, ascrivibile al rapporto dialettico imposto dal Movimento Operaio al Capitale nel suo antagonismo con il Lavoro Salariato, sembra giunto al suo apice. Mi spiego meglio: in passato qualcuno (p.e. Keynes) ipotizzava riforme di sistema che poi (continuo ad essere convinto che siano stati i bolscevichi, dal 25, i primi a costruire, non so quanto consapevolmente, il Welfare) hanno trovato la strada della concretizzazione. 

Oggi si fa un gran parlare di riformare il credito, la finanza, i regolamenti ec., ma non ci sono idee di riforma che possano far immaginare un’ulteriore fase di sviluppo al Capitale. Questo sistema potrà pure durare, ma, al contrario di quanto ha sempre fatto nella sua storia e da metà 800 grazie al conflitto messo in atto dal Movimento Operaio, non medierà ulteriore sviluppo per la società.

È sostenibile affermare che lo sviluppo delle forze produttive (processo rivoluzionario) abbia raggiunto un livello non più compatibile con gli assetti del sistema capitalistico, cioè con gli attuali rapporti di proprietà? E ancora, è ipotizzabile che se l’umanità non troverà la strada per un ulteriore cambiamento dei propri rapporti sociali, si produca una generale comune rovina? 

L’idea che, come sempre, il Capitale comunque si salverebbe e i borghesi continuerebbero a ingrassare (…resterebbe un problema di ordine pubblico e di comando…), tradisce l’intima convinzione che la società borghese sia la forma naturale dei rapporti tra gli individui e che solo “la volontà” degli antagonisti possa aprire la strada all’instaurarsi di una società più giusta. 

Certamente nessuno sa in cosa possa consistere questa comune rovina e come possa accadere (*1), ma qui è importante intendersi sulla tendenza.

A MENO CHE…

…non si riesca ad intraprendere un percorso che consenta l’avvio, consapevole, del rivoluzionamento dei rapporti sociali, cioè della proprietà e della forma dell’individualità che ad essi corrisponde.

Non è detto che questo possa riuscire, non è scritto da nessuna parte: quello che è certo è che se l’umanità non riuscirà a cogliere questo frutto maturo, rovinerà all’indietro, dato che non sembrano esserci possibilità di apportare modifiche, riforme, cambiamenti parziali, che permettano a questa determinata forma sociale di mediare ulteriore sviluppo.

Non possiamo prevedere i tempi, né quanto l’espansione nel mondo dei rapporti capitalistici possa rinviare la caduta rovinosa ma, non vedendo all’orizzonte elementi di possibile riforma, tale caduta è certa, la società si blocca progressivamente: non il crollo del capitalismo, ma la comune rovina dell’umanità.

Forse è arrivato il momento di guardarsi in faccia e chiedersi se Marx avesse sbagliato e il frutto maturo della sua speculazione fosse solo un’impostura. Ma se non lo fosse, e se il suo ragionare e usare il complesso interdisciplinare delle conoscenze con lo strumento del materialismo storico, fosse allora ed oggi il modo giusto di leggere la società e affrontare i problemi, allora abbiamo un problema: noi siamo in grave ritardo e le conseguenze, nello specifico l’inessenzialità generalizzata dei comunisti (intendo in occidente), si vedono tutte.

D’altra parte ne abbiamo la riprova. Non ho le competenze filosofiche, antropologiche e psicologiche per portare a fondo un ragionamento che, se lo facessero altri, penso sarebbe foriero di sviluppi fecondi. Diciamo spesso che il 900 è stato il secolo delle rivoluzioni e che i comunisti hanno rovesciato il mondo come un calzino ed hanno imposto al Capitale un percorso che ci ha portato a questi livelli di sviluppo. Possiamo dire che con la guida dei comunisti l’umanità ha portato lo sviluppo dei rapporti sociali a un livello sconosciuto prima ed ha risolto i problemi che aveva ereditato dalle generazioni precedenti, ovviamente creandone di nuovi (come stiamo sperimentando da 35-40 anni). Ma come possiamo pensare di affrontare questi nuovi problemi con gli strumenti che, risolvendo brillantemente quelli precedenti, li hanno creati? Il fatto che i comunisti, generalmente, continuino a proporre vecchie ricette, non sta a indicare che non sanno più che dire? 

IN CONCLUSIONE 

Sono favorevolissimo a che anche in Italia si costruisca una Sinistra d’Alternativa, che ci renda visibili come negli altri Paesi europei, e che a questo nuovo soggetto sia ceduta sovranità elettorale e istituzionale. Ma, come per tutto l’occidente, il lavoro più importante da fare è rileggere Marx, Engels ed anche Keynes, e confrontandosi verificare se la realtà (che forse abbiamo voluto leggere come più arretrata per riproporre formule tanto care quanto rassicuranti) non sia in verità molto più avanti di quanto abbiamo pensato. Ed è proprio così! La vecchia talpa ha ben scavato, ma le soluzioni non sono belle e pronte. 

(*1) Personalmente ritengo che una guerra, che si trasformerebbe in guerra nucleare a causa della perdita del controllo degli arsenali, con i rischi di estinzione della razza umana (come dicevano i pacifisti degli anni 50), magari provocata in Pakistan, o in Medio Oriente, non credo in Corea, rappresenti il modo più probabile con il quale possa innescarsi “la comune rovina”.

Immagine tratta da www.salon.com

Ultima modifica il Sabato, 06 Aprile 2013 13:33
Mauro Lenzi

Pensionato, una vita nella CGIL, di cui è stato anche nella segreteria regionale, consigliere provinciale per due mandati legislativi fino al 2004, successivamente nel Consiglio Comunale di Colle di Val d'Elsa, dove già era stato eletto nel 1980 è stato nominato Assessore nel corso di questo mandato.

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