Venerdì, 17 Maggio 2013 00:00

La sinistra può prendere in considerazione la realtà? #2

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“Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa.“ A. Gramsci

 

Nel precedente articolo di pochi giorni fa ho riflettuto su come cercare di ritrovare punti di riferimento stabili e non temporanei, su come costruire un progetto politico su basi solide, chiare, condivise.

 

 

Credo che abbiamo bisogno di fare ben due Rivoluzioni.

 

► Smetterla con la tattica, rifiutare con decisione le proposte di ripartenza che non ci convincono fino in fondo, prendere le distanze da chi si sente divinamente legittimato a proporci soluzioni immediate ma anche definitive. Non mi riconosco in chi propone di entrare o costruire contenitori di niente (associazioni e/o movimenti generazionali e/o estemporanei...), chi propone di saltare in altri partiti (Sel, Pd, Pdci...), chi cerca soluzioni ultra identitarie (Il PCCCC Partito Comunista Comunista Comunista Cazzo!) fino ad arrivare anche a dei geni che propongono di far finta che non sia successo nulla.

 

► Comprendere che senza serietà, aderenza alla realtà, efficienza, efficacia, chiarezza degli obiettivi ed organizzazione non si arriva a nulla ed è meglio a quel punto trovarsi altri passatempi diversi dalla politica.

 

Breve sviluppo del punto 1.  

 

Non credo che sia rispettoso per le persone che hanno voglia di impegnarsi ed ancora credono con il loro impegno di poter cambiare anche solo un pezzettino di questa società, essere presi e portati e sbattuti “qua e là” senza che siano definite regole, valori e obiettivi. 

Io non sono più in grado di sopportare e di tollerare i personalismi dei tanti leader e leaderini che a sinistra si sono visti in molti anni, i loro cambi d'umore e di linea politica, spesso misteriosi, spesso basati su riflessioni fatte in gran segreto, non condivise. 

L'esatto contrario dell'intellettuale collettivo.

 

Non sono più in grado di tollerare il fatto che in questo paese non si dimetta MAI NESSUNO, ma non perchè “c'è da punire qualcuno” ma perchè è triste vedere che nessuno rinuncia mai al briciolo di potere che ha, attaccandocisi come se fosse ciò da un senso alla sua vita.

 

Quando un partito in un qualsiasi paese dove si vota non riesce a raccogliere un consenso di almeno il 5% il gruppo dirigente DEVE DIMETERSI in modo irrevocabile.

 

Quando una azienda fallisce la colpa è SEMPRE del titolare e della direzione, SEMPRE, anche se non è fallita per le scelte fatte, ma magari perchè è cambiato il mercato, è comunque fallita per le scelte giuste NON FATTE. 

Nella vita non si può mai sapere PRIMA cosa andrà bene o cosa male, certo, si può provare a prevederlo, ma l'unico riscontro rimane sperimentare la cosa e vedere come và, con la consapevolezza che se va male si cambia, senza drammi ma si cambia. 

 

Per questo credo in modo molto fermo che bisogna fermarsi e riflettere bene, anche se fa paura, anche se molti hanno l'umana necessità del contenitore politico che gli conferisce un identità; non vorrei essere troppo crudele ma ricorderei a tutti che siamo qui per cambiare la realtà, non per fare socialità. Se la seconda è conseguenza della prima ben venga, se invece è ostacolo alla chiarezza ed alla messa in campo del progetto politico allora è bene rendersene conto ed andarsi a sbronzare, senza la pretesa di rappresentare alcuno.

 

Breve sviluppo del punto 2.

 

Nell'altro articolo ho banalmente ricordato che la sinistra nasce per “DARE FORZA”  organizzarsi, per massimizzare il contributo degli individui.

Non riesco a capire, se questo è tanto ovvio, come si faccia ad essere allergici a qualsiasi metodo organizzativo, a qualsiasi metodo di oggettivazione di percorsi e risultati, di efficienza ed efficacia, come si faccia a non preoccuparsi del tempo “buttato via”, abbiamo così poca stima di noi che non c'è mai passato per la testa che con una buona organizzazione potremmo avere molti più risultati con molta meno fatica?

 

Non so “dove” queste riflessioni potranno essere applicate, nascevano dalla mia analisi dello stato di salute di Rifondazione 8/9  mesi fa...

 

Partiamo per ordine, tanto è una schematizzazione... 

 

IL MILITANTE

Definizione: il povero compagno che si sacrifica, che c'è sempre, che garantisce l'apertura delle sedi, le fotocopie, i volantinaggi, che vive in federazione ecc.” 

Ci sono compagni che per possibilità personali di disponibilità, decidono di sacrificare tutto il loro tempo libero alla militanza. Non voglio stare a dissertare sui motivi che portano questi compagni a questo sacrificio, diciamo solo che, soprattutto per allargare le nostre fila, non possiamo aspettarci che tutti possano dare così tanto.  Anzi è controproducente.

 

Vediamo i nostri errori più comuni...


► Nel caso degli studenti è un fatto oggettivo (ed un enorme errore) che questi talvolta sacrifichino anche i loro studi per la militanza, diplomandosi o laureandosi, se ci riescono, con grave ritardo: un danno per la loro vita e una frustrazione quotidiana.
 

► Chi lavora, chi ha famiglia non può materialmente impiegare tanto tempo per il partito. Inoltre, se teorizziamo che quando uno è stanco lavora male, non si capisce perché da stanchi si dovrebbe fare un buon lavoro politico.

► Se uno è stanco e stressato può confondere il partito per lo “sfogatoio” delle sue frustrazioni, producendo un danno più che un beneficio. “Se stava a casa a riposare era meglio”.

► Attualmente è norma che ci si debba occupare di tutto, anche se magari non ce ne frega niente di uno specifico tema, non si capisce perchè non aprire le porte a chi è interessato anche solo ad un singolo argomento, senza doverlo costringere ad occuparsi di tutto. Preferiamo perdere un compagno per la strada piuttosto che accettare che a quello non gliene freghi niente magari delle elezioni comunali o dell'ambiente. Che senso ha? O tutto o nulla? Ce lo possiamo permettere? 

► “E' un buon militante colui che si sacrifica, vivendo per il partito”. Questa idea contiene ben due errori, il primo è che il compagno si distacca in parte dalle realtà, limitando a volte la sua socialità e i suoi scambi di idee solo agli altri iscritti e militanti, chiudendo la mente (ma questa è una scelta personale). Il secondo è l’agganciare un giudizio morale alla militanza: 

Ci sei sempre = bravo, ci sei meno = poco comunista. Fa ridere, ma è così.

 

► “Militare è patire”. Oppure, altra mostruosità, “se non vuoi andare a volantinare alle 6 davanti alla fabbrica non sei un buon comunista!” Ma è possibile che la militanza non possa essere Passione, Studio, Divertimento, Allegria, Energia, Socialità? Possiamo azzardare l’ipotesi che la militanza non sia solo una condanna autolesionista ma possa essere anche una cosa bella, divertente, di impegno, certo, ma mica tutte le cose che richiedono impegno devono essere depressive! 

Ideologia o morte. Le nostre radici ed il nostro essere comunisti spesso diventano un criterio insulso (e poco oggettivo) di incasellare i compagni entro categorie. Non siamo una setta, siamo un’organizzazione politica. Porre la questione ideologica come dirimente per l'affiliazione o la partecipazione ricorda le peggiori e più perverse dinamiche di gruppo sociale, diventiamo tifosi uniti da una fede, invece che persone che vogliono usare tutte le energie a disposizione per cambiare il mondo, in modo aperto ed in continua evoluzione, in continua Rifondazione. 

► Buoni per tutte le stagioni. La militanza 24 ore al giorno su tutto non produce necessariamente competenze su tutto. Nel lavoro o nello studio nessuno di noi pensa di poter sapere tutto o fare tutto, od occuparsi di tutti gli argomenti. Perché questo in politica non vale? La politica è occuparsi di tutti gli ambiti della vita, certo. Non si capisce però perché non si possano creare (anche come formazione dei giovani) competenze di alto livello (non esperti chiusi nei loro ambiti), eccellenze su alcuni temi. La fiducia nei compagni è fondamentale, se uno STUDIA un tema, poi applicherà le competenze acquisite su quel tema, sarà lui a proporre e declinare la linea politica che i preposti organismi decideranno. 

Dobbiamo aprire nuove possibilità di militanza, dissacrarne la definizione data più sopra.

La società capitalistica si basa sulla monetizzazione del nostro tempo. Quando siamo a lavoro abbiamo una paga oraria, il nostro tempo è prezioso, il tempo di vita stesso è prezioso, quindi dobbiamo cercare il più possibile di rendere efficiente il tempo che usiamo nella politica e se possibile renderlo anche gradevole.  

 

Le Riunioni – Troppe, male organizzate, inefficaci.

 

Abbiamo già detto che le persone non hanno molto tempo da dedicare alla politica e che, anche se lo avessero, non è né utile né produttivo che sacrifichino in toto la loro vita privata alla politica; questo determina uno scarso impegno di militanza e partecipazione, ma se l'impegno fosse concreto, diretto, razionale e soprattutto efficace potremmo davvero cambiare tutto.

 

Cose da non fare più:

► Riunioni di 3 ore su tutto e su niente, magari in orari allucinanti.

► Riunioni 3 volte alla settimana in cui tutti devono essere presenti.

► Riunioni in cui tutti devono intervenire anche se non hanno niente da dire.

Questo modo di gestire il confronto interno, di compiere scelte, di definire la linea non vuol dire partecipazione, non vuol dire condivisione, vuol dire solo disorganizzazione e mancanza di rispetto verso se stessi e verso gli altri.

 

Le riunioni semplicemente devono:

Avere un orario di inizio e di fine. Questi orari devono essere il più possibile rispettati.

Avere una durata ragionevole, massimo due ore se ci sono più di dieci persone coinvolte, massimo un ora se ci sono meno di dieci persone coinvolte.

Avere un ordine del giorno e rispettarlo rigidamente.

All'uscita della riunione ci devono essere risposte precise, compiti e tempi assegnati in modo completo e chiaro.

Alle riunioni devono essere invitate solo le persone che sono coinvolte nelle decisioni in oggetto: meglio una riunione in pochi che decide, che una riunione in tanti che non arriva a nulla. Meglio far muovere ed impegnare meno persone, se si può evitare di coinvolgere sempre tutti.

Non tutti devono partecipare a tutto: la delega, la fiducia sono fondamentali.

Più si riesce a mandare documenti, materiali, riflessioni con altri mezzi prima della riunione e meglio è, cosicché le persone possano prepararsi, informarsi, arrivare con un’idea già riflettuta. In questo modo si evitano interventi fuori dal mondo e si permette alle persone di documentarsi, se vogliono approfondire, o di evitare di partecipare se si ritiene di poter evitare.

Le riunioni devono essere itineranti sul territorio in modo da dividere equamente le distanze da percorrere per essere presenti.

La comunicazione merita un argomento ed un approfondimento totalmente a parte, non credo sia il caso di scimmiottare Grillo ed i suoi metodi (efficaci, moderni, funzionali) ma cercare con modestia di fare qualche passettino avanti..

Solo una considerazione, chi fa grafica di solito è un professionista, chi fa siti web idem, il 90% della comunicazione oggi è sul web, forse è il caso che chi vuol fare politica si attrezzi adeguatamente indirizzando in quella direzione “Soldi per pagare chi fa questo vero e proprio lavoro” e strumenti adeguati per farlo.

Un esempio sulla comunicazione cartacea... 2 mesi fa ero a Berlino, c'era una manifestazione su come riutilizzare gli spazi del vecchio aeroporto dismesso... il volantino conteneva una foto, era a colori e c'era le lista delle cose che volevano e che non volevano... era un ottavo di un A4... lo prendevano tutti quelli che passavano.

 

 

Conclusioni (?)

Codesto solo oggi possiamo dirti, 

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. 

Montale (Ossi di seppia)

 

Si è votato a fine febbraio, sono passati due mesi e mezzo ed ecco che emergono non una ma svariate linee che già ci indicano, alcune con assoluta certezza, la strada da fare. 

Buon per chi ha già una nuova linea da mettere a disposizione...  dove eravate nascosti in questi anni???

Mi dispiace io non ho queste certezze, non sono in grado di vedere il futuro, in questi 2 articoli infatti ho solo guardato il passato, ho cercato di applicare un metodo logico ed empirico per cercare di contribuire, seppur modestamente, al viaggio di chi, come me, sente ancora dentro di sé l'obbligo umano e morale di non fermarsi o di rimettersi in cammino.
 

Vedo intorno a me tante persone che lavorano, che studiano, che cercano lavoro, che parlano, che cercano di capire, che si arrabbiano... queste persone mi sembra di capire che se avessero per le mani un progetto vero, concreto, sincero, praticabile... da portare avanti... lo farebbero con grande entusiasmo ed energia.

Vogliamo proprio rinunciare?

Ultima modifica il Venerdì, 17 Maggio 2013 00:22
Enrico Pellegrini

Nasce a Pescia (PT) nel 1979, è presidente di una cooperativa e vice-presidente di un consorzio di cooperative. Grande appassionato di libri e film di fantascienza, forse non a caso si iscrive dal 2001 a Rifondazione Comunista...

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