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Giovedì, 11 Ottobre 2018 00:00

Verso le primarie del PD: i candidati la sfida antipopulista

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«Ogni Stato è una dittatura, e ogni dittatura presuppone non solo il potere di una classe, ma un sistema di alleanze e di mediazioni, attraverso le quali si giunge al dominio di tutto il corpo sociale e del mondo stesso della cultura, così come ogni Stato è anche un organismo educativo della società, negli obiettivi delle classi che dominano»
Palmiro Togliatti, Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci, Convegno di studi gramsciani a Roma, 11-13 gennaio 1958

Le candidature al momento annunciate per il congresso del Partito Democratico possono essere così disposte lungo un asse destra-sinistra:
1. All’estrema destra, Francesco Boccia e la linea del dialogo con il Movimento 5 Stelle;
2. Sul centro, la proposta di Matteo Richetti che sembra rivendicare l’eredità movimentista del primo Renzi, tenendo insieme le preoccupazioni frontiste di Calenda;
3. Nel centro-sinistra, Cesare Damiano, che rappresenta la vecchia guardia sindacale e che con i suoi incoraggiamenti al governo sulla Fornero guarda molto agli operai leghisti;
4. A sinistra, Nicola Zingaretti con il rilancio della radicalità sociale e il recupero presso le aree popolari di prevalenza cinquestelle;
5. All’estrema sinistra, Dario Corallo con una prospettiva di radicale rinnovamento e di coinvolgimento non solo di LeU ma anche di PaP.

In un panorama tanto frammentato, e in alcuni casi di aperta simpatia verso il governo (Boccia verso il M5S, Damiano verso la Lega), non solo risulta andata deserta l’auspicata soluzione unitaria caldeggiata da Renzi ma, anche, si rischia di non riuscire a tenere fermi quali saranno i punti fondamentali del confronto.
Il confronto congressuale del Partito Democratico non interessa la sola linea politica del partito e le sole sorti del PD, bensì impatta in generale sul tipo di opposizione che si intende costruire al Governo Conte, alle sue politiche, ai partiti che lo compongono, alle forze rappresentate da tali partiti.
Anzitutto è necessario recuperare, se qualcuno ha letto il «Corso sugli avversari»1, la distinzione tra base di massa e base di classe. Se Togliatti apre il «Corso» dicendo che avversari sono non le masse fasciste bensì le organizzazioni fasciste2 è proprio perché vi è una differenza tra masse e organizzazioni, in quanto le masse vengono fornite dalla piccola borghesia e in parte da operai e lavoratori agricoli (base di massa), mentre l’elemento organizzativo è alto-borghese e serve gli interessi, nella celebre formula di Dimitrov, degli «elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario» (base di classe)3.
Questa presa d’atto rende improponibile qualsiasi dialogo o trattativa, se non forse il più contingente e il più tatticista di essi, con le forze di governo, proprio nel momento in cui si cerca di recuperarne elettori e sostenitori. In un articolo non certo tenero verso Renzi, da parte di un suo antico oppositore, questa linea è formulata con chiarezza: «Realismo vuole che il tentativo di spaccare il fronte del governo si accompagni a una lotta senza quartiere al medesimo»4.

Come si conduce, quindi, questa lotta contro le organizzazioni fasciste, contro le basi di classe del fascismo?
Il primo esponente ad aver dichiarato apertamente la necessità di una simile lotta e ad aver avanzato una proposta sul come è stato l’ex ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, che in un’intervista al «Corriere della Sera» il 29 maggio (erano i giorni dell’incarico a Cottarelli) ha prospettato la formazione di «un fronte repubblicano molto ampio, che abbia un unico obiettivo: tenere l’Italia in Occidente e in Europa»5. I dettagli di questo fronte furono poi esposti da Calenda in un manifesto pubblicato su «Il Foglio» il 27 giugno6 e al cui commento partecipai nel “Dieci mani” della settimana seguente7 (rimando ad esso per il dettaglio delle mie opinioni in proposito). L’idea di un’aggregazione costituzionale che facesse perno sul centrosinistra, contro «i nuovi barbari da fermare»8 era già stata la campagna elettorale con cui il senatore Casini era stato candidato e rieletto nel collegio di Bologna.

La seconda proposta è giunta invece dal Presidente del Lazio, che già il 20 marzo aveva pubblicato su «Il Foglio» un manifesto dedicato alla ricostruzione del PD e del centrosinistra9. Le modalità di lotta al fascismo sono state da lui definite con maggior nitidezza in un’intervista a «la Repubblica» il 31 agosto10. L’intervista fu pubblicata con il titolo “Meno Macron e più equità: il mio Pd non sta con l’élite”, ma il ragionamento di Zingaretti era più articolato: sì ad un’alleanza con Macron per la difesa dell’Europa, no al replicare in Italia il modello di En Marche!. Alcuni riferimenti a un elettorato del M5S che poteva essere recuperato e a un presunto disaccordo di fondo tra M5S e Lega attirarono a Zingaretti l’accusa di caldeggiare un’alleanza tra il PD e il partito di Casaleggio, accusa che egli respinse nettamente due giorni dopo11.
L’intento di Zingaretti è di riposizionare il PD su un linguaggio maggiormente radicale, rafforzare i contorni classisti del partito quale organizzazione delle classi deboli, ricostruire una nuova coalizione con gli altri partiti di sinistra.
Anche la proposta di Dario Corallo sembra essere una variante più radicale di quella di Zingaretti, apportando un giudizio di inadeguatezza sull’intero gruppo dirigente12.

Quanto al senatore Renzi, definito «il convitato di pietra del prossimo Congresso»13 – in effetti, bersaglio polemico fuori e dentro il partito nonostante non ricopra alcuna carica né nel partito né nel gruppo parlamentare –, ha fatto di recente sapere tramite Delrio di prediligere una “soluzione unitaria”14.
Essa può però prendere due forme: una forma a priori come candidatura unitaria del gruppo dirigente, una forma a posteriori come sintesi programmatica tra le varie sensibilità emerse dal confronto congressuale. La prima presenta il vantaggio di evitare la produzione e l’approfondimento di linee di frattura nel partito; la seconda, quello di consentire una partecipazione della base alla costruzione del programma unitario e una condivisione reale dei temi del dibattere. Gli svantaggi sono, naturalmente, gli inversi.
I due grandi temi, su cui si stanno qualificando le posizioni di maggior rilievo (non solo tra i candidati), riguardano il radicamento popolare e le alleanze sociali.
Per ora la spinosa questione delle alleanze è stata proiettata sul meno impegnativo (ma solo apparentemente!) piano europeo. La formula «da Macron a Tsipras» è stata ripetuta da Gentiloni15, Martina16, Renzi17, Pittella18, solo per citare gli esponenti più in vista. Questa alleanza, che dovrebbe tenere insieme la famiglia socialista e socialdemocratica, il centro, un pezzo di sinistra radicale, assomiglia molto ai fronti popolari degli anni Trenta.
Essi si presentarono alla prova delle urne in Spagna nel febbraio 1936, ottenendo il 47% dei voti e il 60% dei seggi, e in Francia nell’aprile dello stesso anno, riportando il 57% dei voti e il 63% dei seggi. Sembrava che la lotta al fascismo avesse trovato la sua formula vincente, aggregando consensi maggioritari attorno a uno schieramento di partiti progressisti.
Eppure, entrambe quelle esperienze giunsero ben presto a una triste fine. La Spagna subì nel luglio 1936 la sedizione di settori fascisti dell’esercito, che si impadronirono completamente del Paese nel giro di due anni e mezzo, contando su un ingente supporto dell’Asse, sull’aiuto finanziario di capitalisti americani e sulla cieca neutralità degli anglo-francesi, senza che il governo legittimo riuscisse mai a rompere il proprio isolamento internazionale. In Francia, il centro di potere nella coalizione si spostò dai socialisti ai radicali, i quali bloccarono le riforme finanziarie e decretarono la morte del fronte firmando con Chamberlain, Hitler e Mussolini l’accordo di Monaco che dava ai nazisti mani libere in Europa centrale.
Quali furono gli elementi di debolezza di quei fronti? Quali insegnamenti possiamo trarne per la lotta di oggi? Quelle esperienze suscitarono grandi speranze di giustizia sociale e di pace, ma si rivelarono entrambe terribilmente incapaci di assicurarsi il consenso del centro, del centro politico moderato come del centro sociale piccolo-borghese, e di estendere la propria egemonia sulla società. In entrambi i Paesi la rottura del fronte popolare aprì la strada alla fascistizzazione, che in Francia fu spazzata via dalla sconfitta del Reich e in Spagna, invece, solo dalla morte di Franco nel 1975.

Il fascismo, però, essendo la destra estrema, di per sé è abbracciato solo da percentuali fortemente minoritarie della popolazione. Se e quando il fascismo vince, lo fa non con il proprio consenso, ma con un consenso che non gli è proprio e che gli proviene dai moderati, dal centro, dai conservatori, oltre che dagli sbandati in genere che si ritrovano nella piccola borghesia pauperizzata o a rischio di pauperizzazione, nel proletariato, nel sottoproletariato.
Per battere il fascismo, quindi, è necessario privarlo di questo supporto che fornisce alla base di classe una base di massa su cui appoggiarsi e prosperare: la borghesia moderata, il centro, il centro-destra, la destra democratica, settori di proletariato e di sottoproletariato esposti alla propaganda della demagogia sociale. Tagliandogli questi appoggi uno ad uno si respinge il fascismo, gli si fa intorno terra bruciata, lo si isola sempre di più, gli si stringe intorno un cerchio che lo confina nell’angolo minimale che fisiologicamente gli compete.
Trump ha vinto, negli Stati Uniti, perché è stato in grado di mozzare via dalla Obama coalition settori sociali strategici che gli hanno fornito la maggioranza: prevalentemente, la classe operaia populista19 e gli agricoltori bianchi. Allo stesso modo, le più insperate vittorie conseguite dall’opposizione a Trump – il seggio senatoriale per l’Alabama a dicembre 2017 e quello di deputato per il 18° collegio della Pennsylvania a marzo 2018 – si sono basate sul recupero di questi settori e, pur essendo elezioni suppletive e quindi con un’affluenza decisamente ristretta da parte dei ceti inferiori, hanno riportato quei territori a una rappresentanza del Partito democratico dopo venti o trent’anni.
A differenza dei fronti popolari, i fronti nazionali costituiti durante la Seconda guerra mondiale dai movimenti resistenziali europei si rivelarono vittoriosi, sebbene il sorgere della guerra fredda abbia poi determinato il loro sfaldamento nel dopoguerra. Nel caso italiano, ad esempio, il fascismo è stato battuto non dall’Aventino istituzionale del 1924, non dalla Concentrazione antifascista del 1927, e neppure dal solo Partito comunista, bensì dal Comitato di Liberazione Nazionale del 1943. La ricostruzione di quella unità, rotta per ordine statunitense nel 1947, fu per i decenni successivi l’obiettivo del PCI.

Per questo, dire oggi “meno Macron” è delirante, perché meno Macron significa più Le Pen, più Orbán, più Salvini. Però è delirante anche voler scavare un fossato tra chi sostiene Macron e chi no, o tra chi sostiene Corbyn e chi no. Il fascismo lo si batte – lo dimostrano, oltre che la logica, i fatti storici – costruendo un ampio fronte nazionale, esteso a tutto lo schieramento costituzionale.
Per compiere questa operazione non sono sufficienti il solo Macron o il solo Corbyn. Il primo, in Francia, deve fare a meno del supporto della sinistra radicale; il secondo, nel Regno Unito, non può contare né sui liberaldemocratici né sui verdi né sui conservatori che si sentono più vicini ai democristiani tedeschi che ai nazional-populisti polacchi (coi quali, invece, i Tories condividevano l’affiliazione all’Europarlamento).
L’alleanza necessaria non può coinvolgere soltanto Macron, il PSE e Tsipras, ma deve includere a pieno titolo anche i liberali, i verdi, i popolari e la Sinistra europea, e avere propaggini a destra, tra i conservatori europeisti, e a sinistra, tra i comunisti europeisti.
Il mese scorso Manfred Weber, il conservatore bavarese capogruppo del PPE, ha teso la mano ai partiti sovranisti dicendo che per il bene dell’Unione Europea è necessario scendere a compromessi con loro20. Questo perché egli dà voce a un interesse capitalistico che in parte coincide con quello difeso da alcuni fascisti: mantenere la UE come una mera area di libero scambio, senza alcuna integrazione politica e con un’ampia libertà (di dumping) salariale.
Ma questo interesse, appunto, coincide solo in parte: anzitutto perché alcuni “sovranisti” vogliono effettivamente una UE minimale per poter continuare a lucrare sul basso costo del lavoro rispetto all’Europa occidentale, ma altri sono invece propensi a uscirne. Ma soprattutto perché molti liberali o conservatori credono sinceramente negli istituti democratici e non sono propensi a rinunziarvi. Il fascismo e la destra neoliberista, il trumpismo e il reaganismo, sono in ultima analisi, è vero, due facce della stessa medaglia, perché entrambi impongono il dominio incontrastato del capitale senza alcuna cura di altri interessi sociali. Prima di arrivare, però, allo stadio della “ultima analisi” vi sono numerosi gradi intermedii di coscienza psicologica: e in tale coscienza troviamo molti liberali e liberisti che hanno in genuino odio il fascismo e la sua violenza. Essi non riescono a capire che liberare le forze del mercato non accresce la ricchezza, ma in ultimo la distrugge; né comprendono che conservare i rapporti sociali non conserva la società, ma la distrugge. Solo per questi abbagli possono essere infine condotti all’integrazione nella base di massa fascista, giungendo a credere di ravvisare in essa il male minore rispetto al “pericolo rosso”.
Eppure, perfino il ragionamento di Weber non è, di per sé, sbagliato: anche lui vuole che siano i moderati, e non i fascisti, a presidiare la borghesia moderata. Sbagliata è la tattica che impiega, trattando direttamente con i fascisti invece che costruendo un fronte possente per reprimerli, compiendo cioè il medesimo errore che condusse i Salandra e i Von Papen a sostenere Mussolini e Hitler con l’idea di poterli controllare e dirigere.
Se poi il centro-destra e la destra democratica non dovessero essere d’accordo con la prospettiva frontista, allora e solo allora si dovrà ripiegare su un fronte di mero centrosinistra.

Per tornare al punto di partenza, che riguarda la lotta antifascista nel caso italiano: per conciliare le esigenze, complementari e non contrapposte, espresse dai macroniani-calendiani e dai corbynisti-zingarettiani, serve un esercizio di razionalità e di maturità da parte del gruppo dirigente.
La buona partecipazione alla manifestazione del 30 settembre, e ancor più il clima che vi si è respirato, sono una buona cosa anche su un versante meramente organizzativo: impediscono di dilapidare energie nello smantellamento e ricostruzione (ipotesi che è stata avanzata da diverse teste) del principale partito progressista italiano, ossia del perno di una auspicabile alleanza antifascista.
Rileggere la citazione di Togliatti riportata in apertura fa comprendere in tutta la sua urgenza la terribile posta in gioco nella necessità di prevalere sugli avversari sul campo delle alleanze sociali, in cui i settori meno saldi e più esposti ai colpi di vento (appunto, la piccola borghesia e gli orientamenti moderati) siano integrati nel fronte antifascista invece che nella base di massa fascista.


1 Lezioni tenute nel 1935 da Palmiro Togliatti alla scuola quadri del Comintern, dedicate allo studio del fascismo italiano.
2 Durante la crisi del governo Gentiloni i fautori di un accordo M5S-PD insistevano su questo luogo togliattiano. A mie richieste di come la lotta contro le organizzazioni fasciste potesse giustificare un accordo con esse, mi fu risposto che Togliatti invitava a lottare non solo contro, ma nelle organizzazioni fasciste. Tuttavia, ciò che nel 1935 era una necessità del regime monopartitico, ci è al momento risparmiata ed è possibile lottare contro di esse, fuori da esse.
3 È interessante notare come la giustificazione ideologica del fascismo che Dimitrov prendeva polemicamente di mira al VII Congresso del Comintern sia sostanzialmente la medesima ancora proposta dal M5S e dalla Lega: «il fascismo non è né un potere al di sopra delle classi, né il potere della piccola borghesia o del sottoproletariato sul capitale finanziario. Il fascismo è il potere dello stesso capitale finanziario.».
4 Peppino Caldarola, https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2018/09/26/matteo-renzi-nicola-zingaretti-movimento-cinquestelle-lega/223919/
5 https://www.corriere.it/politica/18_maggio_29/pd-crei-fronte-repubblicanocon-lista-altro-simbolo-786f43ae-6374-11e8-9464-44779318d83c.shtml
6 https://www.ilfoglio.it/politica/2018/06/27/news/il-manifesto-politico-di-carlo-calenda-202545/
7 https://www.ilbecco.it/diecimani/item/4470-il-manifesto-calenda-la-proposta-che-non-salver%C3%A0-il-paese.html
8 http://www.askanews.it/politica/2018/02/19/bologna-casini-non-esiste-sfida-con-errani-ma-con-m5s-e-lega-pn_20180219_00105/
9 https://www.ilfoglio.it/politica/2018/03/20/news/zingaretti-manifesto-per-un-nuovo-pd-185028/
10 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/08/31/meno-macron-e-piu-equita-il-mio-pd-non-sta-con-lelite13.html
11 http://www.adnkronos.com/fatti/politica/2018/09/02/zingaretti-non-voglio-allearmi-con_bjSB7UzBr0qGyACXjFSNGN.html
12 https://www.repubblica.it/politica/2018/10/09/news/pd_partito_democratico_segretario_congresso-208509500/
13 https://www.repubblica.it/politica/2018/10/10/news/pd_zingaretti_renzi_segreteria_partito_democratico-208655946/?ref=RHPPBT-BH-I0-C8-P7-S1.8-T1
14 https://www.repubblica.it/politica/2018/10/01/news/pd_partito_democratico_renzi_delrio-207865578/
15 http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/10/06/gentilonida-macron-a-tsipras-si-vince_e2445911-85c9-4556-b9d2-19bed92d7001.html
16 https://www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2018/06/25/13/martina-da-macron-a-tsipras-alle-europee-progressisti-uniti_U43510286440251Jl.shtml
17 https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-09-03/europee-renzi-serve-alleanza-macron-tsipras-184918.shtml?uuid=AEULG2iF
18 https://www.partitodemocratico.it/partito/intervista-pittella-no-a-sciogliere-pd-serve-grande-lista-da-macron-a-tsipras/
19 Impiego il termine “populista” in quanto il più breve per identificare posizioni conservatrici nei diritti civili e corporative in economia.
20 http://www.lastampa.it/2018/09/07/esteri/manfred-weber-dobbiamo-coinvolgere-orban-e-salvini-serve-un-compromesso-con-i-sovranisti-RiRFlIRjz5NPBWFUStmKYP/pagina.html


Immagine liberamente tratta da www.pixabay.org

Ultima modifica il Giovedì, 11 Ottobre 2018 11:45
Jacopo Vannucchi

Nato a Firenze nel 1989. Ho conseguito la laurea triennale in Storia con una tesi sul thatcherismo e la magistrale in Scienze storiche con una ricerca su Palazzuolo di Romagna in età risorgimentale. Di formazione marxista, mi sono iscritto ai Democratici di Sinistra nel 2006 e al Partito Democratico nel 2007.

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