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Giovedì, 20 Giugno 2013 00:00

Niente giochi al massacro: una questione di metodo

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Carlotta Sorrentino, Daniele Quatrano, Diego La Sala, Dmitrij Palagi, Enrico Pellegrini

Il dibattito prosegue, i contributi aumentano, ma il tutto seguendo una logica che ci preoccupa e che ci costringe ancora una volta a rimettere a tema il problema di metodo, ancora più che quello di merito. 

Ci preoccupa in primo luogo perché rischia di mettere in serio pericolo quel patrimonio di compagni che  generosamente in questi anni hanno dato il loro contributo fatto di esperienze e intelligenze, senza le quali Rifondazione non sarebbe sopravvissuta. Ci preoccupa poi, perché riteniamo che possa diventare l’ennesima prova di quanto ormai sia rimasto veramente poco del progetto e dello spirito con cui la nostra organizzazione era nata nel 1991. Un dibattito che dovesse svolgersi con queste modalità non farebbe altro che mostrare, ancora una volta, la nostra incapacità di parlare agli altri, a coloro che sono fuori, a coloro che abbiamo la presunzione di rappresentare. 

Un dibattito che si dovesse svolgere incentrato su temi che riguardano dinamiche non aderenti alla realtà di quelle classi che oggi sono le più colpite dalla crisi, non solo non sarebbe percepito e quindi del tutto ignorato, ma ci porrebbe in una condizione residuale e ci vedrebbe troppo impegnati in una lotta intestina, deviando la nostra attenzione da quello che dovrebbe essere il nostro reale obiettivo, ovvero riuscire a rappresentare un’opposizione vera nei confronti di un “capitalismo” che tenta di rigenerarsi, diventando sempre più aggressivo. 

Siamo convinti che sia indispensabile mettere le nostre energie a servizio di un processo di rinnovamento che parta da un confronto chiaro e limpido che, per una volta almeno, tenti di evitare barricate e lotte all’arma bianca, su cosa significa oggi essere comunisti, sul loro organizzarsi e sul loro ruolo nella costruzione di una vera sinistra di alternativa anche in Italia che, per chi non lo avesse notato, continua ad essere l’anomalia, rispetto a quanto sta accadendo negli altri Stati europei. 

Vorremmo che questa volta, non ci siano accelerazioni in avanti o ritirate strategiche ognuno nel proprio fortino, che abbiano come conseguenza collage che, nella migliore delle ipotesi, assomigliano più ad un quadro dadaista, che ad un soggetto politico credibile, in grado di dare voce agli ultimi, facendoli tornare  protagonisti della vita pubblica del paese. 

Ci piacerebbe tornare a parlare di Politica, non di tatticismi e posizionamenti, interni ed esterni, che non fanno altro che indebolire la nostra credibilità e la nostra immagine, sempre che qualcosa da indebolire ci sia rimasta.

La nostra speranza è che i comunisti in Italia tornino ad essere riferimento per quelle classi che oggi pagano a caro prezzo, il tentativo dei potentati finanziari internazionali di preservare i propri privilegi. Ma siamo anche assolutamente convinti che per far questo non si possa prescindere dall’aderenza alla realtà che viviamo, non possiamo esimerci dal comprendere il presente, interrogandoci su quali siano i mutamenti che hanno coinvolto il mondo del lavoro e la realtà italiana. 

Dovremmo tornare ad interrogarci su quali siano le nostre classi sociali di riferimento, ma soprattutto su quale sia la loro composizione, tenendo presente i cambiamenti che hanno investito il mondo del lavoro. Per fare qualche esempio pratico basta ricordare come le ultime riforma del mercato del lavoro abbiano destrutturato le forma di impiego classico, facendo nascere quella selva sconfinata di lavoratori atipici che difficilmente trovano nelle forze politiche di sinistra un interlocutore credibile. Oppure basta pensare a quell’esercito di lavoratori a partita iva, che difficilmente vengono rappresentati ne tanto meno riescono ad organizzare il proprio disagio. 

È fondamentale per noi iniziare a riattualizzare il nostro dibattito e la nostra analisi della realtà, trovando anche nuove forme e nuovi metodi di fare politica,  se vogliamo tornare ad essere riconoscibili e incisivi, riconquistando spazi di agibilità che per troppo tempo abbiamo dato per scontati, quando non abbandonati.

Dobbiamo avere come obiettivo strategico quello di riuscire ad avere la forza di incidere sui processi decisionali e, se così non fosse, rappresentare la vera opposizione al populismo dell’“anti politica”, da un lato, mentre dall’altro, costituire un argine forte e duraturo contro le politiche reazionarie e neoliberiste delle destre, ma anche di alcune anime del centrosinistra.

Pensiamo che se i comunisti hanno ancora un senso, il loro senso debba essere allora quello di avere la capacità non solo di offrire un’alternativa che ponga al centro il lavoro e la giustizia sociale, ma anche quella di essere forza propulsiva di un processo di aggregazione di tutte le forze di sinistra, che siano in grado di essere il motore vero del cambiamento “dello stato di cose presenti”. 

Tutto questo ovviamente nell’ottica di ricostruzione di un fronte unico di opposizione, composto da quei blocchi sociali i cui interessi coincidono e che, troppo spesso ormai, ci considerano residuali se non addirittura inesistenti. 

Siamo disposti a confrontarci e a dibattere quindi su questioni di merito, siamo disposti a ragionare collettivamente sul quale debba essere oggi il ruolo di un’organizzazione comunista nel nostro paese, ma non siamo più disposti ad affrontare un gioco al massacro che ci rende assolutamente marginali e che non ci permette, perché in altre faccende affaccendati, di rapportarci nemmeno con i nostri vicini di casa, per non parlare di quello che tradizionalmente dovrebbe essere il nostro popolo, ne tanto meno le forze  sociali in campo, sia a livello nazionale che europeo. 

Immagine liberamente tratta da latavolainbiancoenero.wordpress.com

 

Ultima modifica il Lunedì, 24 Giugno 2013 12:47
Comunisti oggi?

La firma collettiva di un articolo di più autori che hanno ancora la presunzione di ritenersi comunisti...

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