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Lunedì, 03 Novembre 2014 00:00

Un governo forte con i deboli e debole con i forti

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L'espressione, rivolta ai governi democristiani degli anni 50, fu del segretario socialista Pietro Nenni, ai tempi in cui sinistra e riforme non erano parolacce terrorizzanti perché la sinistra era di sinistra e non di destra come è oggi quasi tutta, e quindi va rifatta da capo. L'attacco squadrista di polizia ai lavoratori della Thyssen è una dichiarazione di fatto di ciò che è realmente il governo Renzi. Un'altra dichiarazione di fatto, avvenuta in contemporanea, è il calo delle braghe del governo Renzi di fronte alle pretese delinquenziali della Commissione Europea. In ciò si è trovato in compagnia con il governo francese, altro governo nominativamente di sinistra ma che fa una politica di destra.

Il capo del governo francese Valls qualche settimana fa dichiarò, rivolto alla Commissione Europea e al governo tedesco: state attenti a come trattate i paesi dell'Europa mediterranea, state attenti a come trattate la Francia. Sottinteso: la paghereste cara. La Francia stava preparando la sua “legge di stabilità” (la sua legge finanziaria, quella che regola entrate e uscite pubbliche per l'anno a venire), e in essa vi era un deficit di bilancio (un di più delle uscite annue rispetto alle entrate) del 4,3%: un deficit illegale stando a quel “Patto di stabilità” che vincola i paesi della zona euro addirittura al pareggio di bilancio, e in ogni caso, se ci sono gravi difficoltà economiche (come la crisi in corso), a non superare il 3%. Renzi applaudì. Da tempo tuonava di averne le tasche piene dei burocrati di Bruxelles, affermava che l'“austerità” di bilancio impedisce la ripresa della produzione e dell'occupazione, dichiarava che lo storico “semestre di presidenza italiana” avrebbe cambiato in profondità gli orientamenti europei a favore di politiche non più di “austerità” ma di sostegno agli investimenti, all'occupazione, alla scuola, di riduzione delle tasse, ecc. Prudentemente Renzi aveva voluto che la “legge di stabilità italiana” indicasse un deficit sotto al 3%, per evitare che all'Italia venisse contestato il debito (la somma storica dei deficit) altissimo, quindi venisse imposto un deficit verso il 2%: aveva quindi pensato di attestarsi sul 2,6%, che comunque dichiarava che l'Italia voleva fare di testa sua e respingeva l'austerità. Tutto il mondo quindi si aspettava fuoco e fiamme a Bruxelles da parte francese e italiana e il ritorno a casa di Valls e Renzi con lo scalpo della cancelliera tedesca Merkel e del tignoso commissario Katainen.

Ma (sorpresa!) il governo francese ha trattato sottobanco con Bruxelles il 4% di deficit, dopo averne discusso “segretamente” con la Merkel, che ha bisogno della Francia per continuare a dare ordini in Europa; e (sorpresa!) Renzi e Padoan, cappello in mano, hanno subito ceduto a Katainen concordando un deficit italiano al 2,9%. Si tratta così di poco meno di 5 miliardi di ulteriori tagli alla spesa pubblica o di tasse in più. Naturalmente la chiacchiera è sempre la stessa: la “legge di stabilità” per il 2015 è una “grande svolta”, finalmente non picchia sulle tasche della popolazione, finalmente tira alla ripresa dell'economia e dell'occupazione. Nel frattempo, via via che della “legge di stabilità” è possibile studiare i contenuti, si scopre che a tasse tolte di lì si aggiungono tasse di là, che i 5 miliardi abbandonati alle pretese di Bruxelles andranno a discapito delle riduzioni fiscali, e che tutte le speranze sulla ripresa economica guardano in realtà ai 300 miliardi di investimenti promessi dal nuovo capo della Commissione Europea Juncker. Una cifra che davvero appare enorme. Solo che: primo, riguarda l'intera Unione Europea, 28 stati; secondo, che si tratta di investimenti spalmati su un periodo di 5 anni; terzo, che non sono 300 miliardi ma 40, dato che Commissione Europea e Banca Europea degli Investimenti non sono in grado di andare oltre questa cifra e quanto manca a fare 300 miliardi dovrebbe venire da investitori privati. Cioè, data la crisi, non verrà per niente. In tutto l'Italia, se le andrà di lusso, porterà a casa, più o meno, 4 o 5 miliardi: i soldi appena regalati al commissario Katainen, e per di più in 5 anni. Insomma un'altra partita di giro (e di presa in giro) tra le tante.

Il problema italiano è molto semplice, ma la sua soluzione ha davanti a sé immensi ostacoli. Primo, si tratta di prendere i soldi in Italia, con una finanziaria che colpisca i grandi patrimoni e utilizzando adeguatamente i denari di Cassa Depositi e Prestiti, banca pubblica; secondo, di mandare a quel tal paese la Commissione Europea, non riconoscendone né l'autorità né le capacità e denunciandone i pregiudizio e le posizioni insensate. Ma tra i tanti danni del governo Renzi c'è anche questo: si è concesso a Katainen non solo di riscriverci la “legge di stabilità”, ma (e forse questo danno è superiore all'altro) gli si è riconosciuto il potere di continuare a fare il bello e il cattivo tempo riguardo ai poteri e alle possibilità di spesa dei paesi della zona euro, operando secondo le sue idee e le sue posizioni antipopolari di classe, cioè continuando a imporre quelle politiche di “austerità” che sono la causa prima del disastro economico e sociale europeo, ma che arricchiscono alla grande la sua classe.

E non basta: la storia della nostra “legge si stabilità” non è finita. Sulla base, a novembre, del quadro definitivo dei conti pubblici dei paesi membri potrà accadere (Katainen l'ha già dichiarato) che a Bruxelles si accerterà se effettivamente la “legge di stabilità” italiana (e francese, e di alcuni altri paesi) funzionerà secondo quanto vi è scritto, oppure occorrerà operare delle rettifiche, cioè ulteriori tagli alla spesa pubblica. Non solo: è più che probabile (Katainen l'ha già dichiarato) che alla Francia verrà contestato il deficit comunque troppo alto e all'Italia il debito troppo alto, e che verranno loro richieste misure (cioè tagli) che li riducano significativamente. Quindi altro che uscita dalla recessione e dalla deflazione! Altro che ripresa! Altro che occupazione! Tutto questo prelude solo a peggioramenti drastici di una situazione già pessima.

Il problema di un cambiamento valido della politica economica italiana può quindi essere affrontato e risolto solo dalla crescita della mobilitazione popolare. Ormai dovrebbe essere facile capirlo, cioè capire che con le forze politiche principali in campo e con i loro governi o le forme delle loro opposizioni non cambierà nulla se non in peggio. Concretamente, occorre prima di tutto una volontà politica diversa da quella di questi anni da parte sindacale, o meglio della CGIL. Ciò sta cominciando ad avvenire, ma va consolidato. Non è scontato che l'azione della CGIL continui nelle forme necessarie. Inoltre occorre che i motivi della mobilitazione addotti da parte della CGIL non siano soltanto difensivi rispetto agli atti del governo Renzi. Bisogna mettere in campo rivendicazioni e programmi generali, primo di politica economica, secondo capaci di unire l'intera popolazione. Una grande capacità in questo senso è senz'altro l'apertura generale di una vertenza in materia di pensioni. L'obiettivo di pensioni decenti e in età non senile riguarda quasi tutta la popolazione. È un tema che va lanciato subito e con forza.

Ultima modifica il Domenica, 02 Novembre 2014 23:29
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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