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Martedì, 16 Giugno 2015 00:00

Da quando la Costituzione non è più di moda?

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La Costituzione Democratica è un mezzo per impedire che singoli governanti cedano alle tentazioni, oltremodo pericolose, che nascono quando troppo potere si concentra in troppe poche mani.
Aldous Huxley

Un’iniziativa molto interessante e ricca di acceso dibattito quella organizzata dall’ANPI di Lastra a Signa, Radio Cora e l’Auser e che si è tenuta presso la Biblioteca Comunale di Lastra a Signa. Il tema era la Costituzione, che non smette mai di essere attuale, dato che da vent’anni a questa parte molti governi sembra passano volentieri il tempo a cercare di riformarla, o meglio a s-formarla. A parlarne sono stati Domenico Gallo, magistrato impegnato attivamente nella difesa della Costituzione e autore di numerosi libri e Francesco Baicchi, coordinatore della Rete per la Costituzione, con la moderazione (ma non solo) e le ottime domande di Domenico Guarino, direttore di Radio Cora. Senza dimenticare il contributo satirico e visivo apportato dalle vignette della giovane e promettente fumettista Olga Mazzolini che hanno colto in maniera sorprendentemente pungente ed efficace e a volte anche ferocemente ironica, i punti salienti della Riforma Costituzionale. Anche se credo, ahimé, che il riso suscitato dalle simpatiche “incursioni fumettistiche”sia stato un riso piuttosto amaro.

Dopo i dovuti ringraziamenti agli enti già citati che hanno reso possibile l’evento e anche al patrocinio del Comune di Lastra a Signa, Guido Zini, della sessione Anpi Bruno Terzani, introduce la discussione facendo notare che a distanza di 20 e più anni da Mani Pulite, oggi viviamo più o meno gli stessi problemi, come si può ben notare dall’emblematico caso di Mafia Capitale. Ciò dimostra come in questo lasso di tempo, la nostra democrazia, anziché uscirne rafforzata, risulta sempre più indebolita o comunque messa costantemente sotto attacco. La Riforma Costituzionale, insieme all’Italicum va ad aumentare i problemi sia sul piano della tutela della democrazia, sia su quello della tutela dei diritti di garanzia, che sono la base per far crescere la coscienza civile. Lo scenario che i recenti provvedimenti governativi hanno aperto è cupo e pericoloso per la salvezza della nostra vita civile e democratica. Per questo, ancora oggi, è così importante parlare di Costituzione e impegnarsi nella sua difesa, prima che venga stravolta e debellata del tutto.

Guarino, presa la parola, ritiene che il connubio tra la Riforma Costiuzionale e una legge elettorale nefasta come l’italicum porti verso un presidenzialismo di fatto, verso la fine della democrazia rappresentativa. Sono 15 anni, continua il direttore di Radio Cora, che discutiamo di Costituzione e continui attacchi ad essa. E nel frattempo il mondo è cambiato. Eppure continuiamo a parlarne, dimenticando però il fatto che essa è un tipo di promozione sociale, culturale ed economica e che dunque, anziché sfrangiarne i contenuti, basterebbe forse applicarli. Invece a giudicare dalle modifiche che negli ultimi hanno sono state apportate dai governi, sembra proprio che a qualcuno essa dia fastidio, costituisca un ostacolo al proprio potere, in modo che questo possa crescere senza limiti o controlli derivanti da diversi articoli costituzionali. Le sfide che la nostra contemporaneità ci impone si vincono la maggior partecipazione possibile, che è il contrario di quello che verrebbe fuori dal binomio legge Costituzionale-legge elettorale. Ci viene detto che esse nascano con l’intento di risparmiare. Ad esempio l’abolizione del Senato, dovrebbe portare a ridurre le spese. Ma ciò non è vero, in quanto non viene abolito, bensì diviene un organo si secondo livello, composto da consiglieri regionali che in ogni caso andranno pagati. Insomma la massa critica andrebbe riportata sul piano della politica e non confinata a ruolo di mera spettatrice che assiste al tetro spettacolo di un governo che sarebbe espressione di una minoranza del popolo e che senza organi di garanzia e ruolo forte del parlamento diverrebbe sempre di più proprietà di un uomo solo al comando. Dobbiamo quindi diventare cittadini attivi e partecipi, dobbiamo agire tutti, nel proprio piccolo, per difendere e promuovere la Costituzione. E proprio con questo obiettivo nasce anche il progetto di Radio Cora, la web radio (www.radiocora.it) nata nel 2014 e che, come si legge nel suo programma fondativo, si ispira “in ogni sua attività ai valori espressi nella nostra Carta Costituzionale”, con il fine di essere “prima di tutto una grande operazione culturale, indirizzata, attraverso la puntuale informazione a (ri)creare un immaginario condiviso e popolare che abbia al centro i valori della Resistenza e della Costituzione che delle lotte partigiane fu l’esito probabilmente più alto”. Se non c’è il filtro dell’informazione (quella vera, non “di regime”), della comunicazione questi valori rimangono lettera morta, per questo è così importante veicolarli, attraverso i mezzi che possiamo avere a disposizione, come appunto, una web radio che sia autonoma e indipendente dal controllo dei grandi giornali e delle grandi agenzie di stampa. Per questo è così importante parlarne e portare certi temi a confronto, per poterli promuoverli, affermarli cercando un sempre maggior coinvolgimento e partecipazione possibili.

Concluso l’intervento e tornato nella veste di moderatore, Guarino passa la parola a Domenico Gallo.
Quand’è che la Costituzione non è andata più bene? Questa lunga storia di “attacchi costituzionali”, esordisce il magistrato, si potrebbe dire esser nata nel 1991, con un messaggio di Cossiga alle camere in cui più o meno c’era scritto: “la guerra fredda è finita, quindi dobbiamo cambiar la Costituzione”. Sembrava che la Costituzione risentisse troppo della Guerra Fredda presentando un eccesso di garantismo. Con Berlusconi poi la Costituzione non andava bene perché, essendo stata scritta dopo la caduta del Fascismo, risentiva troppo di ideali antifascisti o comunque era condizionata dall’obiettivo primario di arginare qualsiasi eventualità di derive verso poteri fascisti e dittatoriali. Ma, sembrava dire l’ex Cavaliere, “il pericolo del fascismo così come quello di ricreare una dittatura, non esiste più, dunque anche la costituzione va rivista!” col governo Letta abbiamo assistito poi a una sorta di meta riforma costituzionale, ovvero una riforma che indicasse il modo per modificare la Costituzione.
Insomma, sembra che il male della nostra Carta Costituzionale risieda in quell’interpretazione fortemente antiautoritaria e antitotalitaria. Essa mira (o mirerebbe se continuano a snaturarla) a impedire l’ascesa di un uomo forte e solo al governo e prevede una serie di strumenti che tagliano le ali a chi voglia creare una politica forte a autoritaria, minando la partecipazione pubblica e il ruolo di organi di garanzia, per aver nelle proprie mani i dispositivi di potere, che diverrebbero legali, modificando qualche articolo costituzionale, per prendere da solo tutte le decisioni. È la tutela di diritti e il controllo sul potere che spaventano ad alcuni governi che di questo potere vorrebbero diventare unici titolari e avere le mani sciolte, libere da impedimenti. Che poi siano pulite o meno non avrebbe importanza! Ciò che dà fastidio dell’ordinamento costituzionale è la sua capacità di poter correggere gli eventuali abusi da parte della politica e di essere in grado di limitare l’onnipotenza di chi vuole esercitare il comando politico.

Da qui, prosegue Gallo, nasce anche la polemica contro il parlamentarismo, una volta appannaggio del movimento sociale – si pensi che negli anni ’90 il parlamento era paragonato a un parco di buoi! – e non fatta propria dal governo. Oggi l’esigenza di cancellare il Senato è veicolata da un discorsi sugli enti parlamentari: questi costano e quindi occorre tagliare un ramo. Questo provvedimento, che parrebbe mosso da un discorso di tipo economico, ma nasconde un reale intento di delegittimazione parlamentare. I senatori non devono avere indennità, ci dicono, ma tanto, dato che al Senato approderebbero sindaci e consiglieri regionali questi prenderanno comunque lo stipendio dalle regioni, per cui non si tratta realmente di un taglio che andrebbe a risparmiare. Dietro c’è invece questa polemica antiparlamentare: il reale obiettivo è rendere il governante meno controllato e meno mediato dal parlamento perché altrimenti non può fare le riforme, il suo comando deve essere svincolato da “inutili” impedimenti e ritardi. Nel progetto di legge Costituzionale ci sono dei punti non modificabili, come il non poter accettare un senato elettivo. Su questo punto non si può neanche dialogare, non si può mettere in discussione. Perché? Perché se il Senato fosse elettivo, i Senatori avanzerebbero delle proposte e comprometterebbero o interdirebbero o comunque rallenterebbero l’azione di governo. La soluzione trovata è quindi la sua abolizione, o meglio la sua relegazione a sorta di “dopo lavoro”, dei consiglieri comunali. La seconda camera diventa mero simulacro, qualcosa che esiste ma svuotata di ogni funzione, fungerebbe solo da “raccordo tra lo Stato e, esiste ma senza poter dar noia al governo. La sinistra in realtà l’aveva già chiesto diverse volte di creare una sola camera ma quello che con la riforma del Senato rimane, connessa con la nuova legge elettorale, è una camera (quella del parlamento)esautorata anch’essa dei suoi poteri e delle sue funzioni e che non è più rappresentativa, schiaccia la partecipazione dei cittadini e la loro possibilità di rappresentanza. Infatti l’Italicum prevede che se al primo turno la lista più votata supera il 40%, otterrebbe 340 seggi, ma questo avverrebbe comunque anche nel caso che nessuna lista ottenesse il 40, perché in tal caso si andrebbe al secondo turno (ovvero al ballottaggio delle due liste che hanno preso di più, anche fossero pochi voti a entrambe, tipo un 24% e un 23%) e la lista vincente (anche avesse ottenuto solo un 20% di voti) avrebbe comunque un premio di maggioranza altissimo, tale da ricevere quegli stessi 340 seggi. Quindi avremmo un’agevole maggioranza assoluta ma che rappresenterebbe soltanto una piccola fetta di elettori. Insomma la camera che uscirebbe da riforma costituzionale e legge elettorale, viene posta sotto lo schiaffo del governo perché vengono diminuiti i poteri costituzionali. Il governo si impadronirebbe, con questa riforma, del’agenda stessa della camera e vi detterebbe legge. Le regole per emettere i decreti legge dovranno “recar misure di immediata applicazione” e oltretutto il parlamento perderebbe anche il potere di emendamento, che verrebbe praticamente cancellato, in quanto verrebbe imposta la cosiddetta tagliola per legge: un decreto legge (ddl) ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione può essere adottato in casi straordinari di urgenza e necessità dal governo ma i suoi effetti son provvisori perché i ddl perdono efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione; con la riforma costituzionale si stabilirebbe per legge che finito il termine previsto si deve votare per forza quel testo di legge senza dover apportarvi delle modifiche, prassi che perciò verrebbe imposta costituzionalmente. Scaduti i 60 giorni, in pratica i provvedimenti governativi saranno messi a votazione senza modifiche di sorta. Tale situazione attraverso la nuova legge elettorale assume uno scenario ancor più pericoloso per la tenuta democratica e l’arginamento delle derive autoritarie, dato che una delle conseguenze dell’Italicum è che un premio di maggioranza così alto garantisca la fine delle coalizioni; viene introdotto così per legge il regime di un partito unico al governo. Precedente in tal senso fu la legge Acerbo del ’23, voluta da Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare, con un premio di 2/3 seggi al partito che avrebbe superato la soglia del 25%: “la riforma fornì all’esecutivo lo strumento principe - che gli avrebbe consentito di introdurre, senza violare la legalità formale, le innovazioni più traumatiche e più lesive della legalità statuaria sostanziale, compresa quella che consisteva nello svuotare di senso le procedure elettorali, trasformandole in rituali confirmatori da cui era esclusa ogni possibilità di scelta“ (Alessandro Visani).

Prende poi la parola Francesco Baicchi che dichiara immediatamente che la nostra Costituzione è per definizione antifascista. Uno dei suoi punti cruciali sta nell’articolo 3 che affida un compito, una missione altissimi alla Repubblica: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Se io do un compito di questo genere ho in mente un arbitro che non sia neutrale poiché collettivamente, noi cittadini vogliamo che la società, come si legge negli articoli della Costituzione sia giusta, egualitaria, pacifista e solidale e affidando la realizzazione di questa società alla Repubblica già pretendiamo che tale arbitro si impegni in tal senso e quindi stia da quella parte, dalla parte di una società delineata in quei termini sanciti dalla nostra carta. La nostra Costituzione presenta dunque principi e valori , se venissero effettivamente applicati, imporrebbero una reale promozione dell’individuo e delle sue possibilità umane, una sua partecipazione attiva, garantirebbero “i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art.2), che stabiliscono la pari dignità sociale e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, indipendentemente da sesso, religione, etnia e lingua, opinioni pubbliche e condizioni personali e sociali (art.3) , che riconoscono il diritto al lavoro a tutti i cittadini e “promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art.4), imporrebbero la pace, promuoverebbero lo sviluppo della cultura ecc... eppure anziché impegnarsi in una effettiva applicazione di tali punti i governi alternatisi negli “ultimi” tempi, si prodigano a renderli sempre più priva di efficacia la nostra Carta Costituzionale, degradandola a vacua lettera morta quando addirittura non arrivano, come abbiamo visto, a modificarla, senza che spesso neanche ce ne accorgiamo. Tale è il caso dell’articolo 81, la cui modifica è passata sotto totale ( o quasi) silenzio. Quel che ne risulta è l’introduzione del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale e che diviene più importante e impellente dell’intervento dello Stato in senso egualitario e solidale.

A Roma Rodotà ha sottolineato, prosegue Baicchi, che la Costituzione pone dei vincoli al Parlamento perché ha degli obiettivi espliciti. La sua parte programmatica non è solo descrittiva ma anche prescrittiva. Negli articoli 3, 36, 41 ricorre una parola e questa parola è dignità. Articolo 3: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale […]”; Art. 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.”; Articolo 41: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” Se ci limitassimo ad applicare la Costituzione, per questi articoli l stipendio di 300/400 euro del lavoratore del call center o simili sarebbero illegali!
Ed è una colossale scusa quella che ci srotolano ogni volta i governi, cioè che “ce lo chiede l’Europa”. Ogni scelta non è una scelta tecnica ma politica. Comprare gli 535, ad esempio è una scelta di chi governa non una richiesta dell’Europa, che al massimo ci chiede il pareggio di bilancio ma non di usare i soldi per acquistare cacciabombardieri! Anche Baicchi evidenzia il fatto che le modifiche apportate alla Costituzione insieme con la nuova legge elettorale profilano un quadro assai preoccupante in cui viene tradito quell’obiettivo fondamentale di una società più giusta, egualitaria, e che garantisca a tutti la piena dignità in ogni ambito umano. In un momento in cui il nostro ambiente è divenuto intollerabile, in un momento di movimenti finanziari sulla terra di pura speculazione; in un momento in cui la si stanno comprando i beni essenziali come l’acqua; in un momento in cui il lavoro ha perso qualsiasi dignità..abbiamo bisogno di ricominciare a parlare della Costituzione e semmai ad estenderla anche ad altri paesi dove quei principi non esistono. Viviamo in un momento, continua il costituzionalista, in cui ci sarebbe davvero bisogno di partecipazione allargata e rinnovata fiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni e nella loro speranza di potersi sentir rappresentati, di sapere di poter contare qualcosa. Invece si sta andando sempre di più verso una drastica riduzione della possibilità stessa da parte dei cittadini e di loro sempre maggior distanza se non disinteresse o apatia dalla politica, di radicale sfiducia nelle istituzioni. La parte peggiore della Riforma Costituzionale e della Legge elettorale è la visione di un potere che una volta ottenuto colui che va al governo non ha più nessun tipo di controllo.

Guarino riprende la parola e incalza i relatori: nel mondo esistono modelli di governo con forte o solo potere esecutivo. Perché il cittadino dovrebbe avere paura di questo modello di Stato che viene fuori dalla legge elettorale e dalla riforma Costituzionale?

Il professor Gallo ammette che qualcuno è d’accordo con l’idea dell’ “uomo solo al comando”. Metà popolazione italiana non crede che gli istituti previsti per garantire partecipazione e rappresentanza possano realmente modificare le loro esistenze. Un cittadino su due sembra pensare che la propria condizione rimarrebbe comunque uguale, se non al massimo lottando individualmente contro tutti gli altri in una sorta di stato di natura hobbesiano. Viviamo in una condizione in cui siamo disaggregati: non esiste più un ruolo forte del sindacato; non ci sono più associazioni che avevano un ruolo di forte aggregazione sociale (le Arci, le Acli ecc..); il luogo del lavoro non è più un luogo in cui si costruisce una coesione forte, una solidarietà, un’aggregazione o una lotta politica. Anzi esso ormai si è frammenta rizzato, esistono mille situazioni diverse in cui ogni lavoratore viene messe contro l’altro. Crescono in maniera esponenziale l’individualismo e la competitività sfrenata. C’è una totale scompaginazione, una forte liquefazione e una pericolosa precarizzazione di ogni dimensione umana, dalla dimensione sociali, a quella lavorativa, culturale ed esistenziale. Bisognerebbe perciò provare a ricostruire luoghi di aggregazione e organizzazione come facevano i partiti politici. Il problema però oggi è che non c’è più un’osmosi propizia tra popolo organizzato e istituzioni perché i canali sono chiusi, non c’è più possibilità di tutelare nemmeno i propri diritti (sanità, istruzione…), non c’è più agibilità politica per i cittadini.

Per Baicchi il problema sta nella caduta della politica stessa, la politica come cosa pubblica. Se tutti i problemi si fanno passare come problemi tecnici che perciò richiedono una risposta univoca è la more della politica stessa, delle scelte politiche, del confronto politico, della discussione politica. Se viene detto che non c’è alternativa possibile non vale la pena neanche discutere, siamo nel liberismo scientifico. La politica è degradata a mera mano esecutrice delle istanze e delle dinamiche proprie dell’economia neoliberista eretta a paradigma culturale e sociale, eleva pensiero unico cui qualsiasi decisione deve sottostare. Invece non è così, ogni scelta ha sempre un’alternativa. Ad esempio è una scelta politica e non tecnica, quella di non tener conto del risultato del referendum sull’acqua che fa passare l’idea che non conti nulla neanche la partecipazione dei cittadini. Prima che questa idea si espanda a macchia d’olio sempre di più, secondo Biacchi dobbiamo reimpadronirci di certi strumenti di partecipazione politica e pubblica: il popolo è il titolare della sovranità e non esprimendo quest’ultima solo attraverso il voto ma attivandosi, usando gli strumenti che ha a disposizione per far sentire la sua voce, per non rimanere confinato in un angolo a rimuginare su come ogni sua lotta sia inutile.

Gallo aggiunge che la scomparsa dei partiti accelerata dalle riforme elettorali ha creato una barriera più alta tra i cittadini e un ceto politico ormai sentito come casta, termine che accentua ancor di più questa abissale distanza perché sottolinea la sua diversità, qualcosa di lontano e totalmente dissimile da me cittadino. Nello stesso tempo sembra non ci sia né più tanta possibilità di partecipazione ma neanche l’interesse a partecipare proprio perché il cittadino avverte questa netta discrasia tra la sua capacità di poter esser protagonista e il ceto di rappresentanza ma da cui non si sente rappresentato perché sentito come inaccessibile e alieno, distante, una casta ovattata totalmente distinta e separata da lui. Questa situazione nasce anche da scelte politiche internazionali che hanno istituzionalizzato la globalizzazione facendo sì che la politica non possa più intervenire o avere voce in capitolo nell’economia e nei suoi meccanismi di finanziarizzazione selvaggia e incontrollabile. Si è così creato, sempre di più, un senso di inutilità e vuoto del potere e del ruolo dello Stato, svilito a mero servo del potere economico, a suo braccio ausiliario. Il ceto dirigente diviene il guardiano di quei poteri finanziari globali e subordina ogni decisione politica, sociale, culturale, economica ecc.. alla tutela di quei poteri. Si arriva perciò a una sorta di forbice ossimorica che mostra un governo sempre più debole e impotente nei confronti dei poteri finanziari e dei diktat internazionali imposti dai problemi economici ma nello stesso tempo sempre a livello nazionale questo stesso governo si stringe sempre di più in una morsa autoritaria e “totalitaria”, nelle risposte che offre alle richieste e ai bisogni del suo popolo, che quindi, citando il titolo di uno degli ultimi lavori di Gallo (“Da suddito a cittadino”) finisce per essere un popolo di sudditi anziché di cittadini, coloro che non si limitano ad ubbidire ma che vogliono anche poter decidere.

Ultima modifica il Domenica, 14 Giugno 2015 22:31
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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