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Giovedì, 04 Maggio 2017 00:00

L’urne de' forti si sono incrinate

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L’urne de' forti si sono incrinate

Il pomeriggio della domenica delle primarie del Pd mi sono trovato per caso a passare da un circolo Arci in cui era stato allestito un seggio, nell’occasione ho ritrovato alcuni vecchi compagni del PCI, tutti ultrasettantenni, con i quali mi sono intrattenuto. Com’era ovvio l’argomento della conversazione sono state le primarie, che intanto si stavano svolgendo in una sala attigua al bar dove eravamo.

Ho quindi colto l’occasione per chiedere se vi avessero partecipato. La grande maggioranza vi aveva in effetti partecipato e con convinzione. Alla mia successiva domanda ossia se la loro partecipazione fosse utile in qualche maniera per influire sulle politiche del Pd mi hanno risposta: “Le politiche del Pd le decide il segretario, quello che è importante è dimostrare che siamo tanti”. Questa è una risposta che, data in tutta sincerità e senza la mediazione di contorti ragionamenti politici, definisce in maniera appropriata il ruolo che le primarie hanno nella vita del Pd.

Le primarie sono essenzialmente un momento di mobilitazione, la giornata in cui, spesso con l’intera famiglia, ci si reca al Circolo, si ritrovano amici e conoscenti, si ha la percezione e si dimostra al mondo di essere tanti, si ribadisce la propria identità e l’appartenenza al partito. Per molti dei partecipanti è del resto l’unico momento, fuori dalle scadenze elettorali politiche ed amministrative e dalla visione dei talk show, in cui possano affermare di avere partecipato alla politica. Si potrebbe affermare che le primarie svolgono oggi la funzione che un tempo era assegnata al comizio conclusivo della Festa nazionale de l’Unità; “Un milione al comizio di Berlinguer” titolava a caratteri cubitali l’Unità, “Due milioni di votanti alle primarie” oggi raddoppia raggiante Matteo Orfini. Le primarie prima ancora che un fatto politico sono un fatto di costume, servono a costruire un senso (o una sensazione) di comune appartenenza, non molto dissimile da quella di una tifoseria.

E come una tifoseria l’importante è supportare la squadra, al di la e al di sopra delle simpatie per questo o quel giocatore, a meno che un giocatore non si ingaggi per altri e allora “… Baggio puttana l’hai fatto per la grana!”, anche quando questo era in precedenza il beniamino dei tifosi, in sostanza quello che è successo a D’Alema e Bersani. Ecco perché non mi appassiona la diatriba tra il gazebo e il clic, si tratta di due modalità che hanno a che fare più con il costume che con la politica, di due sistemi in cui partecipazione e decisione non sempre coincidono, chiamati a confermare le scelte dei vertici più che a decidere dal basso. In questo però dobbiamo ammettere che il metodo Pd è più dolce, in questo si nota il vecchio metodo democristiano appreso in anni e anni di corridoio e di sagrestia e trasmesso di padre in figlio come il DNA.

Il Movimento 5 stelle, o meglio Grillo in persona, semplicemente annulla le decisioni della rete che non sono in linea; il Pd al contrario mette in scena un primo attore (in tutti i sensi) con due generici, o se volete un pugile professionista con due sparring partner dilettanti se il paragone lo volete pugilistico anziché cinematografico, e voilà les jeux sont faits e sulla ruota esce il numero voluto. Ha voglia Orlando di contestare i risultati, il numero è quello di Renzi e tale resta. In ogni caso lo strumento primarie, checché ne dica Orfini, ai fini e per gli scopi descritti mostra la corda, le urne si sono incrinate, come dimostrano i numeri impietosi:

14 ottobre 2007: 3.554.169 votanti
25 ottobre 2009: 3.102.109 votanti
8 dicembre 2013: 2.814.881 votanti
30 aprile 2017: 1.848.654 votanti

Un dato su cui il gruppo dirigente del Pd dovrebbe riflettere, e sicuramente rifletterà fuori dai riflettori mediatici e a dispetto degli annunci trionfali. È evidente che mentre il calo dei votanti fra il 2007 e il 2013 può ritenersi fisiologico per l’affievolirsi della “novità” dello strumento, quello fra il 2013 e il 2017 è ben più corposo ed ha di conseguenza rilevanza e motivazioni squisitamente politiche. Se a questo dato si aggiunge la perdita di un terzo circa dei consensi ricevuti nel 2013 da Renzi (611 mila voti), nonostante il leggero incremento percentuale (dato su cui insistono i suoi sostenitori), e che il calo più consistente si sia registrato in Toscana, Umbria ed Emilia Romagna dovrebbe indurre i dirigenti democratici a meno autoesaltazione e più autocritica.

Infine una domanda alla quale rispondere in altra occasione: “E Pisapia?”.

Ultima modifica il Mercoledì, 03 Maggio 2017 22:10
Francesco Draghi

Francesco Draghi, nel Partito Comunista Italiano prima e dalla sua fondazione nel PRC, ha ricoperto in entrambi incarichi di direzione politica, è stato amministratore pubblico.

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