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Giovedì, 02 Maggio 2013 21:53

Senza lavoro l'Italia muore?

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La ricorrenza del 1° maggio imporrebbe a tutti, prima di invischiarsi nella battaglia politica, una seria e profonda riflessione sul lavoro e sul senso del lavoro nella nostra società e nel mondo globalizzato.

Purtroppo, e qui faccio anche autocritica, spesso si parla sull'onda dell'emotività e non si riesce ad avere un punto di vista quanto meno rispettoso. L'esempio negativo in questo senso arriva ancora una volta da Grillo che, non so quanto intenzionalmente, si fa prendere dalla verve polemica e confonde la storia gloriosa del 1°maggio con la polemica politica e sindacale.

Certo è che dovremmo a George Engel, August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fielden e Oscar Neebe ben più rispetto di quello dimostrato ieri dalla nostra politica in generale: nessun ricordo per i “martiri di Chicago”, nessun ricordo per il senso di quella festa. La commemorazione degli scioperi per la conquista delle 8 ore lavorative.
D'altra parte è anche vero che guardando i palchi commemorativi ufficiali di ieri era difficile intravedere il senso della “giornata internazionale dei lavoratori”. La II Internazionale socialista che nel 1889 avviò le commemorazioni del 1°maggio vista da quei palchi affollati sembrava davvero lontanissima, quasi impercettibile. Le forze politiche che governano con e per le banche, unite agli imprenditori strozzinati dalle medesime e impotenti di fronte all'ira di quanti si riconoscevano come soggetti principali di quella festa, ossia i lavoratori quasi detronizzati.

Il governo di unità nazionale di Letta come sappiamo dalle tristi cronache è partito malissimo, con tanto di ennesima tragedia degli ultimi, ma i sindacati confederali sono riusciti ad accompagnarlo degnamente trovando una convergenza sindacale e con Confindustria che, nonostante la retorica, non ha nulla a che vedere con il “Patto di Roma”. Si è così attuata una sorta di pacificazione sociale – l'ennesima – in nome del Paese, col rischio di non aver nulla da dare né ai lavoratori né agli imprenditori, ma che è dettata solamente dal capitale speculativo.
Come se non bastasse, il tutto è stato accompagnato pure dall'epurazione delle poche voci dissidenti, ormai neppure più interne ai sindacati confederali (vedi ignobile censura verso Cremaschi). Il motto lanciato per commemorare la giornata dei lavoratori ha poi del paradossale per un sindacato: “l'Italia senza lavoro muore!”. Grandiosa scoperta delle rappresentanze confederali, le quali, all'improvviso, dimostrano di aver le più basilari nozioni del materialismo storico sotto mano! Peccato non siano arrivati neppure a leggere “La conquista del pane” di Kropotkin.
Se l'avessero fatto, capirebbero che l'assalto padronale si sta esprimendo in forme per cui è proprio col lavoro che si muore. E' proprio il Paese, l'Italia, che sta morendo per un lavoro che toglie garanzie e tutele, che inquina all'inverosimile ammazzando chi si limita a pretendere di vivere in prossimità dei luoghi di produzione. Allora è meglio passare un 1° maggio senza ricordare che il lavoro in Bangladesh uccide chi vende le proprie braccia, per 12 ore al giorno per una paga di 28 miseri dollari al mese, alla faccia della suddetta “giornata internazionale dei lavoratori”. E' poi inutile l'impresa tentata da Landini il giorno prima a Bologna di ricordare ai sindacati confederali cosa sia il fenomeno del working poor, loro ci ribadiscono in coro che “senza lavoro l'Italia muore”, dunque o si mangia questa minestra – quella del lavoro imposto dall'assalto del Capitale - o ci si getta dalla finestra: i disoccupati disperati, avendo finito la minestra, prontamente eseguono.

La rappresentanza dei subalterni parla dai palchi, davanti alle piazze ed è talmente stridente con la realtà materiale dei disoccupati, dei casseintegrati, degli esodati ecc. che risulta impossibile non assistere a tensioni e scontri: da Torino a Bologna, fino a Napoli nella serata. La giornata più tesa penso di poterla raccontare da Torino, dove la rappresentanza del PD in piazza Vittorio Emanuele è stata accolta da un fitto lancio di uova cariche di vernice. Le parole del sindaco Fassino, giunte poco dopo dal palco in piazza San Carlo, hanno cercato di riportare alla ragione i manifestanti, ma la divisione in quel corteo era ben più trasversale di quanto rappresentato dai media. In realtà, ragionando a mente fredda sull'accaduto, la divisione è facile da ricostruire: è dovuta all'implosione dell'ultimo partito di massa (inteso nella forma classica, quindi non populistica) sopravvissuto in questo Paese. Dopo l'elezione del Presidente della Repubblica il Partito Democratico, o meglio, quel che ne resta, è fratturato da una profonda faglia tra la base e i vertici che è ben riassunta dalle parole di Diego Simioli (responsabile sicurezza del Pd): “questa mattina al corteo i dirigenti del partito dovranno contare e affidarsi soltanto alle forze dell'ordine”, "oggi noi ci saremo, soltanto che non ci preoccuperemo della sicurezza della dirigenza di un partito, soprattutto onorevoli e senatori, che hanno contribuito a queste scelte". A quali scelte politiche si riferisse è del tutto evidente.

Tuttavia, c'è un'altra città dove le contraddizioni di questo 1° maggio istituzionale diventano insanabili, pur non sfociando apertamente in scontri. Questa città è situata esattamente dall'altra parte del Paese unito dai governi di “unità nazionale” rispetto a Torino ed è Taranto. Laggiù, troviamo la classe proletaria più smarrita e scoraggiata di questo Paese, intrappolata nella morsa della crisi tutta interna al Capitale: dare da mangiare ai propri figli e curarli di cancro o tenerli “sani” a pancia vuota? I sindacati confederali a tali interrogativi non sanno rispondere, dimostrando di non aver sfogliato, non dico Marx, ma neppure il sopracitato Kropotkin che nel suo “La conquista del pane” profetizzava già un progresso non a servizio del potere e del profitto, bensì dell'ambiente e del lavoro.

Certo, sto citando autori “estremisti” o peggio “utopisti” (anche se in realtà ricadevano spesso nell'eccesso opposto, ovvero nel determinismo scientifico), potrebbe obiettare il Pd. Peccato che c'era un noto estremista di sinistra, appartenente a quel Pds revisionista – un partito che ancora conservava la falce e martello (seppur in calce alla quercia) – che, nel recente 2012, lanciava dalle pagine di un altro bel libro il pesante monito che grava come un macigno sulla nostra democrazia monca: “Il diritto di avere diritti”. Questo estremista rivendicava sia il “diritto alla salute” che il “diritto al lavoro”, ponendo il “diritto” su un piano superiore rispetto al Capitale, e cercando così di riportare all'ordine democratico un paese che è preda della più fredda speculazione. Era candidato a fare il Presidente della Repubblica, bastava votarlo. I “moderati” “antiutopisti”, inoltre, avrebbero mantenuto la rassicurante certezza di non veder instaurato il regno del comunismo in terra.

Immagine tratta da: www.ecoblog.it

Ultima modifica il Giovedì, 02 Maggio 2013 22:10
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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