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Giovedì, 28 Settembre 2017 00:00

Religioni di pace o di guerra?

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Si conclude la terza edizione del Festival delle Religioni, la manifestazione fiorentina che si pone l’obiettivo di parlare di religione e degli influssi che essa ha nella società, “ponendo una lente di ingrandimento non soltanto su ciò che unisce ma anche su ciò che divide, su ciò che spesso è motivo di scontro, affinché una più approfondita conoscenza delle differenze arricchisca il panorama culturale del nostro mondo” . Qui vi proponiamo una sintesi della conferenza pomeridiana “Religioni di pace o di guerra?” che ha visto la partecipazione di Michel Maffesoli, sociologo di fama internazionale e professore di Scienze Umane presso l’Università della Sorbonne di Parigi, e di Ernesto Galli Della Loggia, editorialista del Corriere della Sera e professore ordinario di Storia Contemporanea presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM). Ha moderato Alberto Negri, inviato speciale del Sole 24 Ore, esperto di politica internazionale e Medio Oriente.

Francesca Campana Comparini, organizzatrice del festival, ha introdotto la conferenza spiegando perché per la terza volta, il festival si svolge a Firenze: “Firenze, non solo la mia città, dove ho studiato e mi sono formata, ma città della libertà e della pluralità”. “Essere cittadini, in greco polìtes”, continua Campana Comparini “vuol dire non solo risiedere nella polìs, ma pensare al plurale, alla collettività; difatti polìs contiene la radice polloi che vuol dire molti. Le religioni sono il tema del nostro festival perché vogliamo capire che effetto hanno nella collettività. Da qui le mie domande che rivolgo ai relatori: come le religioni possono influenzare gli assetti politici? Partendo da quello che accade nel presente, cosa possiamo aspettarci nel futuro prossimo? In definitiva, le religioni portano pace o guerra?”

Prende la parola Alberto Negri: “Non siamo in grado di rispondere alla domanda se le religioni portano la pace o la guerra. Sicuramente, in molti casi, le religioni sono stati una bandiera, ma le ragioni erano altre. Se guardiamo alla storia le religioni sono state motivo di conflitto ma anche di unione, si guardi per esempio al dialogo interreligioso portato avanti da Papa Francesco – che proprio un mese fa è stato a Il Cairo, in uno dei più importanti centri di religione islamica. Manca una geopolitica delle religioni che ci indichi in che modo realmente la religione possa interagire nella nostra contemporaneità e nel nostro futuro”. In seguito rivolgendosi al professor Maffesoli chiede: “è possibile che stia avvenendo un ritorno al sacro? ”.

Il sociologo Michel Maffesoli, rispondendo alla domanda posta dal giornalista del Sole, definisce la natura umana come ambivalente, utilizzando l’ossimoro “chiarezza oscura”. Un’ambivalenza simile la si può riscontrare nelle epoche della storia, se per epoca utilizziamo appunto il significato etimologico dal greco “quello che sta nel mezzo a due parentesi”. Ci sono delle epoche dove è il dramma che prevale, cioè la sofferenza con una risoluzione (dal greco dramein, porre in atto, fare, risolvere), delle altre in cui è il tragico (dal greco aporein, esser privo di soluzione, soffrire la mancanza) a prevalere: “senza dubbio abbiamo lasciato l’epoca della drammaticità, che è la modernità per entrare in un’epoca tragica”. Anche se il sociologo francese afferma che prima di provare a fornire delle risposte occorre scandagliare le domande e discuterle, arrivando al nocciolo della questione. “Religioni di pace o di guerra?” riprende l’idea dei situazionisti secondo cui per iniziare a rispondere dobbiamo anzitutto partire dalle banalità.

Una di queste, prosegue Maffesoli, è che dipende da come si vivono queste religioni, da come si interagisce con il sacro. Riprendendo la distinzione fatta poco prima, il sociologo ribadisce che al contrario della visione della storia lineare di matrice hegeliana – l’umanità parte dalla barbarie per arrivare alla civiltà, al progresso, quindi da un punto A verso un punto B – il percorso della storia è scandito da fasi o epoche, o per meglio dire da parentesi: ci sono epoche in cui prevale la razionalità, altre in cui è dominante l’emozionalità. Come diceva Gian Battista Vico, esiste una oscillazione continua tra queste due fasi, che si scambiano ininterrottamente, usando i termini “corsi e ricorsi”. Weber, nel suo capolavoro “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, definiva la fase storica del capitalismo moderno come un’epoca strettamente legata alla razionalità, parlava di vera e propria razionalizzazione generalizzata dell’esistente: tutto deve avere una ragione e tutto deve fornire una ragione. Adesso tuttavia, quella che ci lasciamo alle spalle è la modernità, una forma di occidentalizzazione del mondo che ha visto evacuare il sacro dalla sua quotidianità, che ha prodotto un “disincantamento” del e nel mondo nel nome del contratto sociale di eco rousseauniana, per dare spazio a un riemergere delle culture, delle religioni, del modo di pensare orientale e medio-orientale. In contrapposizione alla razionalizzazione generalizzata, vi è un nuovo avvento dell’emotivo, dell’emozionale, dell’incosciente collettivo.

“Qual è il farmakòn, quello che Platone definisce come il rimedio a una situazione di grave malessere?”, incalza Maffesoli, “Per fare in modo, che questa situazione non sia motivo di conflitto dobbiamo rinunciare al dogma dell’uno.” Dobbiamo smetterla di pensare, come Sant’Agostino – e molti secoli dopo il positivista Comte – che la ragione umana riconduce all’unità, reductio ad unum. Il dogma dell’uno porta all’assolutismo, alla legge del dominio. L’unità e la linearità secondo il sociologo sono sempre messi in discussione dal perverso, la cui etimologia è per-via, il che implica un detournement, un dirottamento, un cambio di via dal percorso lineare e prestabilito. Esempio di questa per-versione è, rispetto alla religione islamica, lo Jiahdismo. Questo, così come altre perversioni sono il frutto del rullo compressore, proprio dell’epoca moderna, che ha fatto evacuare il sacro dall’esistente, in nome appunto della razionalità e del principio dell’unità. Se questa per Maffesoli, è la diagnosi, la sua prognosi è da riscontrare nella post-modernità, in cui assistiamo a una ri-orientalizzazione del mondo. Per affrontare questa nuova fase occorre assumere un punto di vista relativistico e non dogmatico, relativismo non nel senso dispregiativo con cui spesso è stato definito, ma nel senso, secondo le parole di Zimmel “relativizzazione della verità unica e allo stesso tempo messa in relazione”.

Relativismo e politeismo implicano un’accettazione dell’alterità, dell’altro. Alterità che nelle tribù era identificata con divino e con il sacro della natura, tema caro al sociologo francese che usa, per indicare questo rapporto con la natura, rapporto di rispetto e non di sottomissione, il termine ecosofia, una saggezza che parte e trova le sue radici nella casa comune, rappresentata in questo caso dalla natura stessa. Il politeismo lo si ritrova nella cattolicità stessa, per questo per Maffesoli essa è una forma di “politeismo omeopatizzato”: dal IV secolo – come si può leggere nel libro sui santi di Peter Brown – la Chiesa Cattolica ha cominciato a battezzare gli dei locali per santificarli, affermando così una “trascendenza immanente”, tanto per rimanere nel campo degli ossimori. Piccoli dei locali si “materializzano” per diventare religiosità popolana che mette appunto il suo accento sul culto dei santi. Lo stesso mistero della Trinità, secondo l’antropologo Gilbert Durand può essere interpretato come un simbolo della pluralità della cattolicità politeista, dato che annienta il fantasma dell’Uno, elimina la reductio all’unità, sebbene rimanga un mistero.
Per concludere, Maffesoli sintetizza la sua suggestiva relazione, ribadendo che quello che sta accadendo è una chiusura dell’unità “unicità” per entrare non nell’universalismo, ma nella pluriversità o in quella che San Tommaso D’Aquino chiamava “unicità” per indicare una coesione a partire da due differenze (o…, o….). Per poter fare buon uso della religione occorre capire che esistono varie pluralità che possono arrivare a un’unione, così da poter fare proprie le parole del filosofo contemporaneo De Chardin secondo cui “l’evoluzione conduce necessariamente a un mondo comune” pur accettando le reciproche specificità. Per rendere le religioni fonte di pace e non di guerra, la parola d’ordine deve essere quella di un “armonia conflittuale”, riprendendo con questa espressione ossimorica l’immagine della cattedrale gotica: le pietre si poggiano l’una contro l’altra e convivono nella loro specifica diversità, nella loro singolarità, e quella tensione che emerge dal gravare l’una sull’altra è necessaria proprio per dar vita alla bellezza armonica dell’intera cattedrale.

Negri commentando l’intervento di Meffesoli riprende la riflessione del sociologo sulla “trascendenza immanente” e aggiunge che anche l’Islam è ricco di culti di santi, contro cui si scagliano i Jiahdisti, che, attaccati all’ortodossia del monoteismo islamico li considerano pagani ed eretici. A proposito di questo, Negri ricorda l’episodio di Sidi Bou Said in Tunisia, dove i fondamentalisti islamici hanno profanato le tombe di alcuni santi locali. Il giornalista concorda inoltre con il professore francese ribadendo che indubbiamente vi è stato un ritorno del sacro, sebbene questo ritorno sia avvenuto e avvenga molto spesso in forme disarmoniche, discutibili, persino drammatiche. L’attaccamento alla religione da parte delle masse popolari islamiche ha causato il fallimento dei tentativi di formazione di stati laici in Medio Oriente. Fino a poco tempo fa il potere politico negli stati musulmani era sì legittimato dalla religione islamica (si trattava infatti di stati confessionali) ma rimaneva appannaggio delle dinastie e degli scià mentre adesso sono i rappresentanti della religione musulmana a vestire i panni non solo di guide spirituali ma di leader politici. È il caso di Khomeini in Iran: anche se lo sciismo era religione di Stato fin dal 1501, è con lui che per la prima volta, nel 1979 un’autorità religiosa sale al potere, fondando la Repubblica Islamica. La religione arriva pian piano ad erodere o a condizionare, se non determinare fortemente, il potere politico in Medio Oriente e, come detto sopra, porta al fallimento di qualsiasi tentativo di laicizzazione.

Ernesto Galli Della Loggia prende la parola dopo Alberto Negri e incomincia così il suo intervento: “Come ha fatto il mio collega Maffesoli, anche io inizio col dire delle banalità. Le religioni possono essere contemporaneamente e fonte di conflitto e fonte di unione. Questo dipende anche dalla natura stessa delle religioni.” Spiega infatti l’editorialista del Corriere che sono le religioni monoteistiche ad essere le più grandi fonti di conflitto, questo perché sono fucine di identità totali. Esse infatti non intervengono solamente sull’aspetto legato al culto, ma intendono dare precetti anche sul modo di vivere in società, producendo sistemi di valori complessi e articolati. Le religioni monoteistiche, in altre parole, forgiano e permeano la cultura e le tradizioni di una civiltà, determinano in qualche modo le identità collettive e quindi hanno in sé un carattere assoluto, tendenzialmente portatore di intolleranze e divisioni. “La situazione è diventata più drammatica” continua Della Loggia “alla fine del ventesimo secolo perché si è rivelata falsa la profezia che vedeva nella modernità la fine delle religioni. Questo non è vero per l’Islam, infatti nei paesi arabi vediamo una re-islamizzazione che fa presa a cominciare dalla classe media, come sta accadendo nel caso eclatante della Turchia, in cui dopo le riforme di Ataturk si era verificata una forte laicizzazione del Paese. Nei paesi islamici assistiamo a un risveglio politico anti-occidentale che si tramuta in un riflesso anti-cristiano e si manifesta quindi con un ritorno della fede.” Lo scontro tra cristianesimo e Islam c’è sempre stato e porta con sé ragioni storiche, proprio perché le due religioni sono lo specchio di due mondi e paradigmi politici e culturali diversi. Inoltre le religioni raramente sono intrinsecamente pacifiche, fin dalle loro origini storiche: l’Islam ad esempio è nato come religione militare, Maometto oltre ad essere una guida spirituale, era un capo militare, intento a guidare gli eserciti alla conquista di Medina. Il cristianesimo, che dalla sua certo non manca di veder scorrere molto sangue nelle sue origini e vicende storiche, ha però secondo Della Loggia, da una certo periodo in poi, acquisito delle consuetudini belliche volte ad “umanizzare” la guerra, rendendola, almeno formalmente, più civile. Queste misure – “modi civili di fare la guerra” – prima venivano adottati solo nei conflitti tra cristiani, poi sono stati usati anche in quelli verso contro altre fedi. Ritornando al tema del ritorno del sacro, Della Loggia afferma che il riemergere della religione non interessa solo l’islam, poiché anche in ambito cristiano c’è un importante riaffiorare del culto, come nei casi dell’America Latina in cui avviene un forte rafforzamento delle sette protestanti e nella Corea del Sud, in cui il 20% della popolazione ha aderito al cristianesimo; solo l’Europa conosce il fenomeno della scristianizzazione, altrove non è così.

Per lo storico vi è un elemento decisivo che riguarda la nostra attualità: il 25% dei paesi a maggioranza musulmana (che equivale a 2 miliardi di persone), ad esclusione della sola Tunisia, non possono dirsi democratici o comunque retti da regimi democratici, mentre tutti i paesi democratici che noi conosciamo, ad eccezione della Corea del Sud e del Giappone (che però sono strettamente e storicamente legati agli Stati Uniti), sono cristiani. Quindi possiamo dire che tendenzialmente il cristianesimo ha dato luogo a civiltà democratiche, mentre un simile processo l’Islam non l’ha avuto. Nel mondo islamico, per motivi intrinsecamente legati al tipo di religione – sostiene ancora Della Loggia – non si sono sviluppati elementi che caratterizzano le civiltà democratiche, come l’opinione pubblica o la libertà di espressione e di stampa (organo fondamentale per formare l’opinione pubblica), così come manca una conoscenza veritiera e storica del proprio passato: “i libri di storia scolastici tendono a mistificare e romanzare molto la realtà dei fatti, in maniera funzionale a quelli che sono i messaggi e i valori che devono essere trasmessi nel mondo islamico”.
Altra questione molto importante secondo lo storico è quella dei regimi interni degli Stati islamici: questi ultimi non hanno mai sperimentato lo Stato moderno con un’amministrazione centralizzata che è stato l’arma della laicità e della democrazia. Nel mondo musulmano nessun governo è invece riuscito a reggere senza l’appoggio religioso. E se esistono regimi laici come quello di Al Sisi in Egitto è perché fa uso della forza e della repressione proprio per tenere a freno l’elemento religioso. La religione altrimenti domina incontrastata, ha in pugno la legittimazione ultima di qualsiasi cosa, potere politico in primis. Quindi, per concludere, secondo Della Loggia il conflitto tra le religioni c’è ed è radicale non tanto perché sono religioni opposte ma perché a scontrarsi sono due mondi politici fortemente identitari e radicalmente diversi e secondo lo storico, concludendo il suo intervento in maniera abbastanza pessimistica, questo stato di tensione, di rivalità tra questi due mondi, è destinato a durare con forse un’unica variabilità: mentre l’Occidente continuerà a contare sulle sue armi tradizionali (esercito, nuove tecnologie belliche e satellitari…) l’Islam potrà contare su una nuova arma, il potere finanziario, che potrebbe determinare o condizionare in maniera massiccia l’esito del conflitto.

Prima di dare lo spazio agli interventi del pubblico Negri aggiunge che il rifiuto dell’occidentalizzazione da parte dei paesi musulmani deriva anche dalla colonizzazione e dal rifiuto di alcune idee guida democratiche, a cominciare dal principio di maggioranza, cosa che non può essere ammessa dalla religione che obbedisce solo ai suoi dogmi. In definitiva, conclude il giornalista, “la religione non sta in cielo, ma è ben radicata sulla terra, perché è fatta dagli uomini e per questo non può che essere, anche, causa di conflitto”.

Nell’ambito del festival occorre ricordare che la presenza del Ministro Marco Minniti, che avrebbe dovuto intervenire alla conferenza “Religioni: occasione od ostacolo all’integrazione” insieme a il Dott. Pietro Bartolo e Lilli Gruber al Cenacolo di Santa Croce delle ore 11:00, è stata annullata. Il numeroso e partecipato corteo, animato dal Comitato di Lotta per la Casa fiorentino e il Centro Popolare di Firenze Sud, potrebbe aver spinto Minniti a non presenziare motivando l’assenza "per un sopraggiunto ed inderogabile impegno del ministro". A portare molti attivisti in piazza sono state le misure del Decreto Minniti che, oltre a introdurre criteri ancora più rigidi e discutibili sulla questione dell’immigrazione come “l’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno fatto ricorso contro un diniego, l’estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari e l’introduzione del lavoro volontario per i migranti” , ha prodotto una vera e propria militarizzazione delle città, dando ai sindaci poteri speciali per agire repressione e confino urbano alle marginalità sociali. Comitato di Lotta per la Casa e Cpa Fi Sud rivendicano, al posto di soluzioni repressive e anticostituzionali, “una vera sicurezza, quella di un lavoro stabile e pagato, di una casa, asili e scuole, una sanità accessibile per tutti.”

Ultima modifica il Mercoledì, 27 Settembre 2017 16:09
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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