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Sabato, 22 Giugno 2013 00:00

Outsider: il mio lavoro, il mio percorso di realizzazione?

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Laureata in scienze politiche, con dottorato di ricerca in storia economica, da circa 20 anni ho fatto tanti di quei lavori che non riesco a fare l'elenco (in bianco e in nero, professionalizzati e non, più o meno lunghi, più o meno piacevoli), al momento vanto tre profili contrattuali diversi: un tempo determinato part-time, una collaborazione a progetto e da febbraio sono entrata nel grande mondo delle partite IVA.

Della mia indeterminatezza, del mio non riuscire a “entrare” da nessuna parte una volta e per tutte, del mio piacere nello “svolazzare” da un settore a un altro, fare ricerche, analisi, progetti ho deciso di farne un lavoro. Si chiama land – link&develop, perché connettere e sviluppare idee e progetti è quello che faccio nella pratica e perché finalmente... “terra”!

Questa è la soluzione che ho trovato per combattere la frustrazione delle porte che si chiudono, la preoccupazione di un futuro incerto e per non fuggire dal mio paese o dai miei sogni. Perché per me studiare è stato non solo piacere ma anche emancipazione, e lavorare è, per mia fortuna, azione creativa.

Il tema della realizzazione è tanto centrale quanto difficile da affrontare a sinistra, eppure concordo pienamente con Croatto e Palagi quando scrivono che alla base di quello che caratterizza i nuovi lavori,  i lavoratori del terziario avanzato sta proprio l'euforia della riapproprazione dei mezzi di produzione che significa nuovo rapporto, riconciliazione, con se stessi e con gli altri e la pretesa, come indica anche la ricerca di Sociolab di cui abbiamo già parlato qui, di poter imprimere al proprio lavoro, tra le altre cose, anche una valenza sociale, attivando energie e risorse per un fine alto.

In questo mio breve, recente percorso sono certa che un ruolo fondamentale hanno avuto i “buoni esempi” che ho incontrato per strada, da chi prima di me aveva intrapreso questo nuovo dialogo con il lavoro e con il mercato. Per questo, pur lavorando “da sola”, il collettivo, la dimensione di rete e le connessioni sono importanti tanto su un piano lavorativo quanto forse più su un piano di reciproco riconoscimento sociale, utile anche ai fini della definizione di una nuova appartenenza ancora tutta da costruire e per la quale il sindacato e la politica potrebbero avere un ruolo fondamentale. Indico, in estrema sintesi, alcuni temi, che a mio avviso giustificano e rafforzano la necessità di una rappresentanza sindacale e politica di queste nuove figure.

La prima: il riconoscimento. Serve un tema ogni volta che dobbiamo spiegare cosa facciamo e ancora di più serve per combattere il pregiudizio che offriamo “lavoretti”, quasi  fossero hobbies e dunque scarsamente riconsciuti sia su un piano sociale che economico.

La seconda: la condizione materiale, ossia la necessità di ricostruire un profilo economico e sociale della nostra condizione, che non necessariametne è temporanea in attesa del tempo indeterminato, ma che d'altra parte è per sua natura parcellizzata, intermittente e poco tutelata sia sul mercato che nella più ampia sfera dei diritti sociali, spesso con ampi costi di aggiornamento e formazione mai riconsciuti.

La terza afferisce più all'ambito economico e delle politiche di sviluppo, la accenno per brevità e mi riservo di tornarci in seguito.

Il declino economico (visto in una prospettiva di medio lungo termine), aggravato dalla crisi economica degli ultimi anni, hanno comportato un oggettiva restrizione delle opportunità, che per i giovani si traduce in un reale rischio di margianlità sociale, ma che per il mondo produttivo nel suo complesso (dalle istituzioni pubbliche al privato, al privato sociale) significa incapacità di qualsiasi processo innovativo profondo. In molti casi l'outsider, la partita Iva, l'alta professionalità acquistata costituiscono l'unica signifciativa iniezione di innovazione in contesti ormai consolidati (pensiamo alle pmi, ma anche a molte strutture pubbliche).

Dal momento che non credo che tutti i lavoratori debbano diventare partita iva, né che si possa intraprendere una guerra generazionale all'ultimo sangue, ritengo che le incursioni esterne siano vitali per il sistema produttivo italiano, purché riconsociute, favorite, incentivate adeguatamente e opportunamente orientate all'innovazione di sistema.

Immagine tratta liberamente da www.unurth.com

Ultima modifica il Sabato, 22 Giugno 2013 12:20
Sara Nocentini

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