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Venerdì, 08 Novembre 2013 00:00

Giustizia, Eguaglianza e Libertà. Il caso Cancellieri fotografa il Paese

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La scorsa settimana, mentre divenivano di pubblico dominio le intercettazioni che ritraggono il ministro della Giustizia italiana nel pieno del suo “intervento umanitario” in favore di Giulia Ligresti, i licenziamenti politici e le denunce ai lavoratori in sciopero si attuavano con costanza e spietata freddezza.

Mentre emergeva che il ministro e la compagna di Salvatore Ligresti entrarono in contatto diretto fin dai primissimi giorni dell'arresto e che l'anoressia della detenuta diveniva un problema grave a tal punto da mobilitare il ministro della Repubblica, giunto a spendersi personalmente per monitorare le condizioni dell'arrestata Ligresti; l'inedia tra i lavoratori che negli scorsi mesi rivendicarono i propri diritti rimettendoci il posto di lavoro ha cessato di essere un problema di competenza della politica.

A nessun ministro importa se costoro perderanno il permesso di soggiorno per aver rivendicato un diritto, e ancor meno importa che rischieranno l'incarcerazione. Tanto per loro carceri ce ne sono a sufficienza e se non bastassero, se ne possono sempre ergere di nuove, come puntualmente si è fatto.

Dunque, vediamo ancora in questi giorni immediatamente seguenti le giornate dello sciopero generale la mannaia del padrone calare sulle teste degli operai: in seguito allo sciopero del 25 ottobre nei magazzini Dhl e Tnt di Fiano Romano e Via di Salone è scattato il licenziamento di 17 lavoratori, altri 179 lavoratori che avviarono la lotta nel settore della logistica si trovano con una denuncia sul capo e il permesso di soggiorno aggrappato ad un filo, ma la lista è in realtà ben più lunga e a raccogliere informazioni si scopre che in molti magazzini (l'ultimissima è di Padova) i delegati sindacali vengono licenziati e si attuano forme di repressione del diritto di sciopero anche tra chi solidarizza.

Se da un lato è possibile far fronte a queste situazioni con delle reti di solidarietà come la cassa di resistenza, per i lavoratori migranti l'emergenza diventa ancora più complessa da fronteggiare poiché si attiva il diabolico meccanismo della Bossi-Fini. Dunque, i lavoratori non vengono più  presi solamente per fame (come se già fosse poco), ma anche perseguiti sul piano legale. Così lo Stato, garante supremo del diritto civile di Giulia Ligresti (ricordo che Napolitano è tornato a fare un breve accenno al problema delle carceri solamente nel week-end, intervenendo puntualmente sul dramma ogni volta che il problema non sembra dover riguardare solo gli ultimi) e celebratore di piagnistei di massa per i massacri sulle nostre coste dettati dall'indifferenza, cessa di mobilitarsi, guarda caso, proprio quando i diritti iniziano a riguardare il mondo del lavoro.

Anzi, si eclissa in un mutismo ancor più grave, poiché nella vicenda dei licenziamenti politici che hanno trovato il culmine solo nelle scorse settimane, ma che in realtà si esercitano da tempo (vedi caso emblematico del Bennet di Origgio. Locandina riassuntiva dei Cobas), rientrano una pluralità di diritti che travalicano il diritto di sciopero e arrivano a interessare princìpi cardine della nostra Repubblica come la libertà di associazione. E' evidente che per il padronato la tessera di un sindacato conflittuale è molto più scottante di quella di un sindacato confederale, per lo meno nella fase attuale, dunque quale modo più morbido e indiretto per sgonfiare un'organizzazione sindacale che procedere ad azioni punitive? Inutile dire che l'indispensabile ruolo di terzietà dello Stato è assente nel tutelare un basilare diritto che nessun liberale autentico negherebbe.

È infatti la stessa professoressa Chiara Saraceno, non certo sospettabile di comunismo, ad affondare il dito nella piaga aperta dalle intercettazioni: “La ministra Cancellieri afferma di essere intervenuta per motivi umanitari e di averlo fatto in un altro centinaio di casi rimasti sconosciuti e riguardanti sconosciuti. Sarà sicuramente vero. Ma proprio per questo preoccupante, soprattutto se messo insieme alle argomentazioni del perito del caso Ligresti. Segnala che, nel girone infernale delle carceri italiane, la possibilità che i detenuti continuino a essere considerati esseri umani con diritto alla dignità e integrità personale e alla cura è affidato — come nell’ancien régime — alla discrezionalità di chi ha il potere di accogliere una supplica o ai privilegi riconosciuti alla ricchezza e allo status sociale — incluso il privilegio di vedersi riconosciuto un plus di vulnerabilità e sofferenza (...) Se non affronta l’ineguale diritto all’umanità dei detenuti nelle carceri italiane, il diritto alla propria umanità rivendicato dalla ministra non è altro che la rivendicazione del diritto alla discrezionalità benevola in assenza di diritti e garanzie per tutti”  (vedi articolo completo).

 Il richiamo all'Ancien régime sta proprio a indicare che i princìpi basilari violati sono quelli classici del liberalismo: eguaglianza davanti alla legge e, consequenzialmente, libertà e giustizia. In questa deriva della democrazia che definiamo post-democrazia, nell'impossibilità di trovare un termine più appropriato per spiegare una fase che configura un ritorno all'autoritarismo in forme inedite, il sovrano cessa di essere “il popolo” e diventa qualcun altro. In questo caso il ministro che “accoglie la supplica” a sua discrezionalità. Inutile appellarsi al diritto, poiché in una situazione tanto degradata l'unico status collettivamente riconosciuto torna ad essere il privilegio, ed il perno dell'eguaglianza su cui s'innesta la democrazia si scardina. Per dirla con le parole della professoressa Saraceno riferite al caso: “Ne deriva, per seguire fino in fondo la logica di questo ragionamento, che l’istituzione carceraria deve essere particolarmente attenta ai bisogni e alle difficoltà di chi arriva in carcere da una vita di privilegi. Una attenzione che invece non è necessaria nei confronti dei poveri cristi che ci arrivano da vite modeste”. 

Ma d'altra parte cosa aspettarsi da un ministro che un anno fa lasciava che dai palazzi del ministero venissero lanciati razzi su una manifestazione pacifica (e al quale oggi si vorrebbe affidare la riforma dell'istituzione carceraria)? Cosa aspettarsi da un governo che, dopo quell'increscioso episodio e nonostante la bocciatura elettorale della lista con la quale la candidata Cancellieri si era presentata alle urne, premia il suo operato affidandole un altro ruolo centrale? Nulla di più di quello che quotidianamente vive chi cerca di resistere sulle barricate della difesa dei diritti, ossia: ordinaria repressione. 

Immagine tratta da contromaelstrom.com

Ultima modifica il Giovedì, 07 Novembre 2013 23:59
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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