Venerdì, 03 Novembre 2017 00:00

Il privato è politico

Il privato è politico

Il privato è politico. Nulla di più semplice, diretto, veloce e rapido per comprendere una verità spesso ignorata: non esiste un “mondo fuori” dove funzionano certe idee, lotte, proteste e uno “dentro” il quale segue leggi particolari legate alla coppia, alla genitorialità, alla famiglia. Tutto si basa sui rapporti di classe e di forza che partendo dalla società, condizionano i legami personali. L’operaio politicizzato di Romanzo Popolare, ne è un esempio: compagno attivo nelle lotte, uomo che si reputa moderno, ma pronto a ristabilire la gerarchia nel rapporto di coppia quando la sua compagna esprime la sua infelicità e infedeltà. Questo è solo un piccolo esempio, ovviamente, ma la realtà ci mette davanti a queste storie ogni giorno. Uomini che usando la loro posizione privilegiata e il loro potere, costringono i sottoposti a umiliazioni e abusi. Siamo portati a ritenere che questo sia un problema che riguarda alcune categorie, che a ben vedere certe donne sanno a che vanno incontro, molto probabilmente sono anche complici se non istigatrici. 

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L'eleganza del tanuki: di appropriazione culturale e romanzi cult

L'idea di appropriazione culturale è uno di quei concetti teorici appartenenti alla galassia del politicamente corretto, un gruppo estremamente variegato che spazia da idee eccellenti di cui si era a lungo sentito il bisogno, ad altre che sono perlomeno opinabili, ad altre ancora che si stanno rivelando più dannose che utili per lo sviluppo di un discorso generale sulla cultura. Tra i tanti, il concetto di appropriazione culturale è uno dei più discussi, sia nel bene che nel male. Chi lo difende sostiene che sia uno strumento indispensabile per riequilibrare il discorso culturale in un mondo sempre più intensamente interconnesso, bilanciando il predominio indiscusso di cui negli ultimi due secoli almeno ha goduto la cultura genericamente occidentale e bianca (si potrebbe aggiungere, di segno anglosassone). Chi lo condanna, al contrario, denuncia come assurdo un approccio che ritiene completamente superato dalla cultura del cosiddetto melting pot, in cui elementi provenienti da diverse tradizioni e diverse aree geografiche devono necessariamente entrare in contatto e essere condivisi da tutti per poter generare qualcosa di nuovo.

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Mercoledì, 04 Ottobre 2017 00:00

Tempi di lavoro e tempi di vita

Tempi di lavoro e tempi di vita

Come si deve comportare il mondo del lavoro di fronte a l'annosa questione degli edifici che, per la loro stessa funzione, devono restare aperti anche nei giorni in cui l'uomo comune è libero di starsene a casa con la famiglia? Va da sé che nessuno penserebbe mai di chiudere un Pronto Soccorso perché è sabato oppure Natale. Ma, che fare in quei casi che non rientrano nella definizione di servizio essenziale?

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Di tempo e potere, una conversazione con Valerio Evangelisti

L'autore dell'intervista si assume la responsabilità per eventuali errori od imprecisioni nella trascrizione della conversazione.

(DP) Il ritorno al ciclo di Eymerich, dalla trilogia del Sole dell’Avvenire, ha un valore molto particolare per chi ti segue, ma offre l’occasione per tornare a chiederti del tuo rapporto con la storia. Lasciato alle spalle il Novecento hai riabbracciato il Medioevo e la dimensione distopica, scegliendo di andare molto in avanti con la dimensione del futuro, ma sempre rifiutando il fantasy. Grande attenzione per la ricostruzione del passato ed elementi fantascientifici ritornano insieme all’inquisitore... 

(VE) Per quanto riguarda il perchè ho ripreso il personaggio di Eymerich posso dire che ero arrivato ad una specie di punto morto. Non sapevo come andare oltre il Sole dell’Avvenire, in qualche modo. Poi c’è da dire che la nuova formazione del mio editore, che ha cambiato personale e quadri molte volte, non aveva amato affatto il Sole dell’Avvenire, non lo aveva promosso, sembrava un peso morto.


(DP) Comunque è andato bene!

(VE) Sì, sì, anche se si può notare il fatto che stanno ritardando la pubblicazione degli Oscar del terzo volume, che invece è richiestissimo, soprattutto nelle regioni di cui tratta il libro...

Quindi c’era questa svogliatezza da parte dell’editore e, da un’altra parte, c’era il mio desiderio di recuperare una parte del pubblico precedente che era rimasto perplesso rispetto all’operazione del Sole dell’Avvenire. Sentivo, al di là delle pressioni che ricevevo, l’impulso a tornare al mio personaggio più tradizionale, quasi come un ricominciare da capo. Ci sono stati poi altri motivi secondari, oltre a quelli monetari (ero sicuro che Eymerich avrebbe venduto più di ogni altra cosa).

Per quanto riguarda la concezione del tempo ed i vari piani che si intrecciano: è la continuazione di un discorso già avviato con i precedenti romanzi, che potrebbe riassumersi nel tema che tutto si tiene, tradotto dal francese tout se tientOgni cosa ha un precedente e delle conseguenze. A volte c’è come un girare su se stesso del tempo, per cui i riflessi di cose che sono state, o che verranno, li possiamo constatare nella nostra quotidianità.

La concezione della storia che metto in scena, malgrado questa circolarità, quasi mistica, in realtà è abbastanza strettamente materialistica. Nulla di quanto avviene è dovuto a circostanze esterne, ad un intervento divino od altre cose di questo tipo, bensì è frutto di rapporti materiali nelle diverse società. Io resto legatissimo al marxismo come concezione di interpretazione della storia e se uno legge bene si accorgerà che anche nei momenti più legati al passato c’è sempre un discorso di analisi delle classi, in qualche misura. Nell’ultimo romanzo c’è una classe di emarginati totali, ci sono lotte tra feudatari, la Chiesa e così via.

Dunque credo di essere rimasto coerente a quello che era il progetto originale. Adesso vedremo gli sviluppi, perchè poi io non li conosco. Li costruisco di volta in volta, ma a partire sempre da come vedo la storia e le cose.

(DP) Non so se sei d’accordo, ma mentre rispondevi mi veniva in mente come con il cristianesimo si superi in qualche modo l’idea di circolarità del tempo, mentre tu scegli di recuperarla senza il suo elemento mitologico del mondo antico. Mi verrebbe da dire che la tua visione del tempo recupera dal cristianesimo il portare la storia nel mondo terreno, mentre lo emancipa dalla religione attraverso il tutto si tiene, senza un Dio sovrastante, con noi come unici protagonisti.

(VE) Sì, va detto che la concezione del tempo, propria della Chiesa, era di derivazione aristotelica, sostanzialmente. Il pensiero aristotelico ha immobilizzato praticamente il pensiero ecclesiastico per tantissimo tempo, con qualche eccezione. Ad esempio io cito spesso Origene, che era un pensatore piuttosto anomalo fra i padri della Chiesa.

In ogni caso non è che io creda in una circolarità del tempo. Credo in una circolarità dei meccanismi di causa-effetto. Andrebbe visto non come un cerchio ma come una spirale, perché ogni volta si spinge un po più in là. Un fattore che in fisica è detto tau. Questo è molto importante per capire sia il libro che ho appena scritto, sia quello che scriverò.

Non è tutto così calcolato. Volendo evitare il genere fantasy e volendo invece rimanere ancorato alla fantascienza, pur mettendoci dentro tantissime cose, era inevitabile che mi interessassi alle evoluzioni del pensiero scientifico, anche se ritengo che siano tutte, per ora, approssimative e prive di prove sperimentali. La concezione del tempo nella scienza è cambiata molto più in fretta di quanto non sia cambiata nella Chiesa: il tempo diventa una dimensione, non è più esattamente lineare, sono teoricamente possibili anche balzi all’indietro, … Ma soprattutto è la questione causa-effetto, che diventa nel mio caso poco aristotelica

(DP) Non hai mai la tentazione di proporre richiami più espliciti e strumentali nei tuoi romanzi rispetto a situazioni contemporanee, a costo di ignorare l’effettivo svolgersi della storia? In Eymerich risorge il riferimento al Movimento No Tav è evidente, ma dopo il Sole dell’Avvenire avresti potuto volere un richiamo più macroscopico.

(VE) Non potevo farlo più esplicito, a meno di non falsare il corso degli eventi. In generale poi dirò una cosa: c’è una grande esaltazione da parte di alcuni di queste forme di eresia. La realtà è che l’eresia non avrebbe costruito praticamente nulla. Se fossero stati i valdesi a governare il cristianesimo, il tentativo di ricostituire l’impero romano in altre forme non sarebbe mai passato.

Alcuni teorici, piccoli teorici, della Val di Susa, vanno a recuperare queste esperienze antiche, pensando che siano i prodromi di quello che fanno loro. Il problema attuale, legato molto all’evoluzione tecnologica, non deve essere affrontato con lo spirito di ritorno a mitiche origini, che non ci sono mai state, ma con tutt’altro spirito. Io perchè ho inserito la Val di Susa? Per dimostrare in qualche modo simpatia verso quello che fanno, ma non è che io aderisca a tutto quello che ci costruiscono attorno. Soprattutto io sono lontano da forme di anarchismo, con tutta la simpatia possibile. Sono come le eresie, danno soddisfazione a chi le professa, ma della società non cambiano una virgola. 

(DP) Fra Dolcino reso grande da Dario Fo...

(VE) Fra Dolcino è grande per come è morto, grazie ai suoi nemici. I nemici erano senz’altro peggio di lui, però che proponesse di qualcosa di fattibile… Anche DeriveApprodi mise fuori una rivista dolciniana, che era simpatica, ma non se ne traeva molto di particolarmente significativo.

(DP) Rispetto alla categoria del potere ti faccio l’ultima domanda. Nel Medioevo la sua rappresentazione era più evidente, mentre oggi si è fatto tutto meno chiaro. Dopo i disastri del Novecento è passata l’idea, a sinistra, che sia bene rifiutare il potere, senza intenderlo come possibilità di incidere e mutare il presente. C’è una sorta di resa, per cui si contesta ma non si costruisce per timore di sporcarsi le mani?

(VE) In realtà ci si sporca le mani anche peggio. È un discorso complesso. Le forme di potere, oggi, non è che siano radicalmente difformi dal passato. Cambia l’assetto, perché il potere si distribuisce, diventa meno visibile e si sparge questa idea di democrazia, completamente diversa da quello che era il concetto originale di democrazia. Noi oggi vediamo quasi dappertutto delle oligarchie al potere. L’inganno pericoloso di questa cosa è che una parte del movimento antagonista ha assunto, senza accorgersene, degli aspetti di liberalismo, di pensiero liberale

In realtà senza un discorso preciso politico, tutto finisce semplicemente in cambiamenti di costume, che sono importanti ma non automaticamente portano a cambiamenti politici (anche se magari ci riescono nel tempo). Secondo me, anche se ha tanti aspetti sgradevoli, la politica resta necessaria. Io posso rifiutare totalmente le istituzioni, mettermici contro, ma se faccio così cambierò magari me stesso, ma ben difficilmente cambierò il contesto sociale.

Non bisogna finire per accantonare il problema di chi comanda sul lavoro e chi invece deve lavorare, cioè il problema di classe, magari mettendo avanti istanze peraltro giustissime (il femminismo, la parità sessuale in tutte le sue forme od altri aspetti certamente fondamentali). Se non parti da un problema di classe non vai da nessuna parte o rischi addirittura di finire dall’altra parte. Ad esempio, i cosiddetti rossobruni sembrano dire cose simili alla sinistra, ma non citano mai l’elemento delle classi subalterne. 

E nessuno mi venga a dire che tutto il lavoro è cognitivo, significa non vedere la realtà. Certe mansioni una volta tipiche dei ceti medi si sono proletarizzare, come gli stessi ceti medi. Ma questi non vuol dire che il meccanismo di fondo sia diverso da quello che il marxismo aveva identificato. Tu lo potrai raffinare il discorso marxista, adeguare, et cetera, ma non sostituirlo con una visione puramente liberale o libertaria. 

(DP) Rispetto a quello che dicevi sulla politica e le istituzioni, mi viene in mente la scelta di Socrate, nel rifiutare di fuggire dalla città pur essendo condannato a morte. Rigettare il modo in cui è organizzata la società vuol dire mettersi fuori dalla città (intesa come comunità politica), mentre per cambiarla occorre agire al suo interno...

(VE) Concordo totalmente con Socrate, ma anche con il buon senso.


Immagine liberamente tratta da it.pinterest.com

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Sabato, 23 Settembre 2017 00:00

Quale processo unitario a sinistra?

Quale processo unitario a sinistra?

1. L’incertezza culturale che sino a tutto agosto ha fatto perdere tempo

I due fattori culturali di quest’incertezza: la complessità della crisi sociale e politica italiana, la vischiosità del rapporto tra posizioni liberal-democratiche ed élites della sinistra politica.

Il primo fattore dell’incertezza è dato da qualità, determinazioni e vissuti popolari della crisi sociale italiana (ma, si dovrebbe aggiungere, dell’intera Europa mediterranea e degli Stati Uniti). In breve, si tratta del quesito se questa crisi risalga semplicemente a una caduta delle condizioni di vita popolari causata dalla perdita di posti di lavoro, dalla precarizzazione della condizione lavorativa, dall’abbattimento dei diritti del mondo del lavoro, dalla gigantesca disoccupazione del Mezzogiorno, dunque risalga un po’ alla storia e un po’ a trent’anni di neoliberismo e di libero scambio incontrollati; oppure se a questa caduta si unisca un ulteriore fattore altrettanto decisivo, quello (recuperando a figure di studiosi che di ciò si occupano anche da tempo) della dissoluzione dei “mondi di vita” popolari e dell’impossibilità di ricostituirli, poiché ogni tentativo in questo senso è automaticamente contrastato dalle condizioni sistemiche create da neoliberismo e libero scambio.

Pubblicato in Sinistre

Non sono passate che poche settimane dalla pubblicazione dei dati che certificano l'incremento in Italia della povertà assoluta (leggi qui) e il governo, senza pensarci su troppo, riesce a imbarcare il Paese in una nuova guerra, nonostante a marzo le piazze italiane abbiano chiaramente espresso la contrarietà a qualsiasi coinvolgimento militare dell'Italia.

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Mercoledì, 04 Maggio 2016 00:00

Sulla verticalizzazione del governo delle cose

Leonardo Croatto per il numero cartaceo È la libertà che guida il popolo, dicembre 2015

La scuola

Recentemente è stata approvata l'ennesima “riforma” della scuola, su linee leggermente diverse da quanto era circolato nelle bozze che circolavano nei mesi passati. Ci eravamo già occupati, in un articolo pubblicato sul nostro sito web, della versione embrionale di questa “riforma”, partendo proprio dall'abuso del termine “riforma”, che caratterizza ogni atto normativo di importanza anche modesta degli ultimi governi.

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Venerdì, 08 Gennaio 2016 00:00

La solitudine dell'ascoltatore globale

La solitudine dell'ascoltatore globale

Le persone leggono meno libri, vanno meno ai musei, ma sicuramente continuano ad ascoltare tantissima musica. La loro vita è circondata dalla musica. La musica si trova nei negozi, nei supermercati, nelle piazze. Nelle nostre abitazioni, poi, abbiamo sempre più dispositivi tecnologici che ci consentono l'accesso alla musica e la riproduzione di brani musicali.  Il numero di persone che si accosta a uno strumento musicale è in continua espansione. Inoltre, nonostante la crisi del mercato discografico, la musica è ancora il settore dell'industria culturale, insieme al cinema, con maggiori potenzialità di business.

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Sono venuto a New York perché è il più miserabile, il più abietto di tutti i luoghi. Lo sfacelo è dovunque, la disarmonia è universale. Le basta aprire gli occhi per accorgersene. Persone infrante, cose infrante, pensieri infranti. La città intera è un ammasso di rifiuti. […] Trovo che le strade siano una fonte infinita di materiale, un inesauribile emporio di cose frantumate.
P. Auster

Cosa resta del luogo metropolitano quando lo spazio è ormai compresso nel millesimo di secondo che occorre per portare a termine una transazione finanziaria da New York a Hong Kong? Cosa resta del tessuto urbano quando le relazioni concrete, i contesti locali di interazione vengono ristrutturati su infinite estensioni spazio-temporali? Cosa resta della prossimità cittadina quando un viaggio internazionale è più veloce di uno spostamento regionale? La neutralizzazione dello spazio, figlia di trasformazioni epocali nei trasporti e nelle telecomunicazioni, sembra aver reso il territorio insignificante e la densità demografica una variabile trascurabile.

Pubblicato in Società

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