Domenica, 17 Maggio 2015 00:00

È Bene! Quando è comune.

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È Bene! Quando è comune.

La redazione di questo personale contributo non vuole, nelle intenzioni di chi scrive, portare alla solita riflessione esegetica sul significato dei beni comuni oggi declinandolo sul piano nazionale, o essere l’ennesima pagina di un dibattito aperto da tempo e mai (purtroppo) concluso.
La riflessione prende spunto dall’avanzata in questi ultimi anni di azioni umane determinate da quello che si può perfettamente classificare come turbocapitalismo, un processo di totale smembramento delle collettività. La storia, del resto, ha insegnato; chi detiene il potere sia politico ed economico deve necessariamente dividere. Dividi et Impera dicevano i romani, a cui seguiva la frase pre-confenzionata: Parcere subiectis et debellare superbos (in soldoni “buoni” con i sottomessi, e cattivi fino a debellarli con i superbi). Non è mia intenzione partire seguendo un’iperbole storica lunga duemila anni, del resto il nostro mondo si basa ovviamente, su presupposti completamente differenti.

Il nuovo millennio, fin dal suo inizio, ha rappresentato un punto di non ritorno da questo punto di vista; a causa dell’erosione di tutto quello che precedentemente era comune si è vista la crescita di associazioni movimenti che perseguono questo nobile ideale.
Innanzitutto è necessario capire qual è il nemico. Il nemico oggi è assolutamente l’”alto”. La finanza internazionale, le lobbyes che determinano tramite ricatti forti e non verso interi stati. Ma è realisticamente possibile creare alternative? C’è spazio per le “utopie”? Potenzialmente tutti gli individui, all’interno di una comunità sono creatori e ideatori di alternative è un punto necessario, perché da sempre movimenti validi i quali si sono aspramente battuti per la difesa del comune si sono scontrati contro il realismo degli sconfitti della storia.

Quante volte all’interno di processi partecipativi ci siamo sentiti dire: “Sì bello, ma non ci sono soldi”. Sembra quasi un mantra, una formula apotropaica, in realtà è una museruola sociale. Spesso chi ha proposto alternative, ha proposto con se altri modelli di sviluppo, forse però a volte peccando di settarismo. L’interconnessione delle lotte su scala locale regionale nazionale ed internazionale resta la chiave di volta per battaglie comuni, per le battaglie sui beni comuni. Si sta assistendo in questa fase, dominata dall’arrogante sistema neoliberista, un’aspra resistenza da parte dei soggetti “d’alternativa” e poi?
Mi permetto di “scimmiottare” un famoso detto oggi infatti è necessario introdurre una forma di pensiero che guardi al pensare locale ( che non deve escludere un pensiero globale), ma si rivolga assolutamente all’azione globale.

Guardiamo al caso dell’Europa, terra dove la speculazione finanziaria è ormai arrivata alle stelle.
La vittoria di Syriza lo scorso Gennaio, deve assolutamente convolare a nozze con altri processi figli dello stesso sentore partecipativo. Parlo di Podemos in Spagna, del Portogallo e perché no (lo spero fortemente ma la strada resta lunga) in Italia. Ognuno declini a secondo delle proprie caratteristiche senza mai dimenticare un piano d’azione che deve essere necessariamente internazionale. Beni comuni e fronte comune a braccetto perché le politiche non possono essere scorporate completamente dai contesti. I beni comuni e le comunità sono le due coordinate da seguire in questo grande processo, il difficile resta proprio questo punto mettere al centro questi due paradigmi, temi trattati forse con troppa superficialità da partiti e movimenti del passato. È necessario partire dalla comprensione reciproca e interconnessa delle loro posizioni soggettive, per creare reti vere e proprie di “produzione sociali”, mix perfetto in grado di elaborare veramente e finalmente un nuovo modello di sviluppo. La contaminazione tra lotte, movimenti e nuovi soggetti politici nati sotto la spinta di riflessioni “comuni” diventa l’operazione fondamentale, quella che potrebbe riuscire forse a scardinare gli ingranaggi

Si sta provando a mettere in campo una sorta di ricostituzione di soggetti sociali coesi che quantomeno provano a comunicare tra loro. Forse sta emergendo il DNA sociale di una nuova epoca, i naturali anticorpi per provare a resistere ma anche a “attaccare”, forse è in embrione una nuova concezione di spazio politico determinato da politiche d’austerità che restano assolutamente funzionali alla crisi e non riusciranno mai a debellarla. Il rischio tangibile riguarda l’avanzata di populismi in salsa nera, i quali vanno assolutamente in contrapposizione con quanto espresso fino ad ora. Certo gli errori di chi sta dall’altra parte sono notevoli in quanto spesso non si è mai riusciti a superare dualismi come quello storico tra movimento e partito. Perché però continuare con questa lotta “fratricida” quando molto spesso le istanze portate avanti combaciano? Abbiamo bisogno di una casa comune, vera e autentica se non vogliamo cadere nell’oblio, nelle forme più disperate di corporativismo.
Abbiamo il dovere di redistribuire ricchezze, il dovere di redistribuire i sogni di un avvenire un po’ più giusto.

Ultima modifica il Venerdì, 15 Maggio 2015 22:31
Andrea Incorvaia

Nato a Locri (RC), il 28 Febbraio 1988, attualmente vivo per studio a Pisa. Sono un allievo specializzando presso la scuola di specializzazione in beni archeologici dell’Università di Pisa, dopo essermi laureato in Archeologia nel 2012. I miei interessi spaziano dall’ambito culturale (beni storico-archeologici soprattutto), alla tutela e alla salvaguardia del paesaggio. Svolgo attività politica nella città che mi ospita e faccio parte di un sindacato studentesco universitario.

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