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Sabato, 01 Giugno 2013 00:00

Le elezioni amministrative e la sinistra, una lettura

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Dunque, come era prevedibile, il M5S è stato un taxi per l'astensionismo. L’astensionismo può essere un fenomeno preoccupante, ma può anche non esserlo affatto. Dipende dal punto di vista. Dal punto di vista della trasformazione sociale, lo è. Altrimenti si vive anche senza troppi elettori, anzi forse meglio, perché il sistema politico diventa meno sovraccarico di domande (come ricordava qualcuno a San Francisco alle ultime elezioni comunali ha votato il 15% e non è successo proprio niente) – e quindi per le élite dominanti va anche meglio.

È preoccupante anche, nello specifico, perché contribuisce a rendere meno credibile l’anello locale della politica, che secondo molti è così vitale nella ripartenza di un discorso di sinistra. Ma l’astensionismo nella scelta degli amministratori locali è anche conseguenza della loro crescente, imposta e codificata, incapacità di gestire alcun processo reale.

Qualcosa, nell'insieme dei flussi, il M5S ha restituito forse anche al PD. Quest'ultimo paga un prezzo, modesto e forse reversibile, a SEL, che si consolida ma non riesce certo ad essere un attrattore per il complesso della sinistra. Che SEL voglia mantenere l’alleanza con il PD mi sembra necessitato dallo stato dell’elettorato che si sente “a sinistra” più che un calcolo per “chiudere a sinistra” come sostiene Medici.

Gli elettori sembrano muoversi spesso in direzione diversa dai loro partiti di riferimento. Gli elettori del PD vogliono bene al loro partito certo più del gruppo dirigente; come dichiarava un esponente renziano “i nostri elettori non vogliono nessuna scissione”: credo che in questo abbia ragione, anche se questo a medio termine non potrà che peggiorare gli equivoci. Rifondazione viaggia su un binario ormai lontanissimo dal PD, ma gli elettori la premiano invece ostinatamente quando è alleata al PD (almeno nel Centro Italia) -  altrove è su percentuali di non-esistenza (meno di 1%). ALBA esalta il risultato intorno al 10%, dove c'erano, delle liste più movimentiste; però mi sembra che questo risultato ci sia stato solo in Toscana (potenza dei substrati geologici...); altrove il segnale di cui parla Medici potrebbe essere anche controproducente.

Il PDL frana alla grande, meno nel Lombardo-Veneto, dove forse ha un sistema di potere un po' più articolato. Però è chiaro che nessuno dei suoi candidati sul territorio è così furfante, ribaldo e sfrontato come Berlusconi, quindi non è credibile alle amministrative (quindi non ne trarrei purtroppo un giudizio diretto sulla tendenza alle elezioni politiche nazionali). Il PDL avrà bisogno di più un po’ più di tempo per rimpostare un efficace ricatto elettorale (e difenderà a tutti i costi il Porcellum), ma non mi sembra che cambi le sue coordinate strategiche di fondo.

Non so se M5S abbia perso definitivamente il treno (per diventare un attore incisivo); in ogni caso è condizionato dal carattere molto labile, provvisorio e estemporaneo del consenso raccolto a febbraio. Può darsi che il treno l’abbia perso, in ogni caso non si può passare la vita a mandare affanculo tutti. Non sono sicuro che sia un buon fatto: un quadro intermedio sociologicamente di sinistra non avrà forse più la possibilità (vaga, lontana, contraddittoria….)  di educare un elettorato un tantino superficiale.

Sembra quasi che in queste elezioni l’elettorato sia tornato al tradizionale girovagare fra un emisfero politico e l’astensione (per cui non c’era mai un luogo si commistione, in cui lo “elettore marginale” sceglieva destra o sinistra); alle elezioni di febbraio il M5S aveva per la prima volta rotto questa dinamica, il che poteva anche essere positivo, ove mai qualche forza della sinistra si fosse posta l’obiettivo di fare politica nell’area grillina e sui temi grillini.

I risultati del PD non mi sembrano tutti esaltanti, anche non considerando l’astensionismo. Nelle città toscane maggiori le liste di partito sfiorano il 25%, dove un tempo il PCI si muoveva fra il 35% e il 45%. È vero che ci sono le liste dei sindaci, ma è anche vero che il loro successo è un segnale di minor attaccamento dell'elettorato al partito cardine del centrosinistra. Se ci si abitua a votare la lista del sindaco, può anche darsi che in qualche caso lo si seguirà quando romperà con gruppi dirigenti o cordate locali, cosa che può sempre succedere, e poi... Da questo punto di vista anche i due successi fiorentini sono a doppio taglio. A Impruneta e Campi il PD non supera il 33% come lista (nella tradizione politico-elettorale toscana il PCI era intorno al 50%). A Impruneta ha rischiato di perdere contro una lista tendenzialmente un po' più a sinistra ma piuttosto eterogenea; a Campi al risultato di partito si affianca una sfolgorante lista del sindaco (semirenziano), con un risultato complessivo di coalizione molto elevato, ma con molti pochi elettori (nel paese di Verdini il PDL non arriva al 10%). Nel complesso la colonizzazione renziana del PD procede, e i risultati di lungo periodo sono imprevedibili ("costruire sulla sabbia" poterebbe essere une esigenza vitale del renzismo, e questo è in assoluta rotta di collisione con le idee di Barca -  ma è una contraddizione non ricomponibile che ha tempi lunghi). Mi sembra che il gruppo dirigente PD (quello di provenienza PCI) continui a sottovalutare la perdita verticale di credibilità dei suoi amministratori locali (non so quanto fosse serio l’ex sindaco PD di Campi nel suo endorsment per un candidato del PRC, che comunque non ne ha tratto nessunissimo vantaggio fermandosi intorno all’1% o giù di lì), perdita di credibilità di cui già era stata significativa espressione la vittoria renziana alle primarie. Credo che la crisi sociale (e la nebbia assoluta con cui affrontare la crisi economica a livello governativo) abbia molto a che vedere con questo.

Franco Bortolotti

Coordinatore Scientifico dell'IRES (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali) CGIL Toscana ed economista.

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