Partiamo dal dato quantitativo e cioè quale è la reale dimensione del patrimonio (o dei debiti secondo quanto sostenuto da molti) dei, a questo punto mai disciolti, Democratici di Sinistra? Come si è formato e da cosa è composto?
Una premessa breve è necessaria: documenti liberamente consultabili, sul punto, ce ne sono pochi e sono ormai piuttosto datati, per cui ogni indicazione dev'essere presa con beneficio di inventario. Nella relazione - del 26 giugno 2008 - allegata al bilancio Ds del 2007, il tesoriere Ugo Sposetti aveva dato qualche numero sul censimento delle sedi Ds: 2399 immobili, di cui 670 da verificare e 1729 censiti. Nella relazione 2011 - del 8 giugno 2012 - Sposetti dava conto di 1819 immobili utilizzati dalle organizzazioni territoriali del Pd "nella maggior parte dei casi con contratti di comodato d'uso gratuito", altri 206 usati da altri partiti o associazioni locali (in comodato d'uso gratuito), 217 locati a privati e 157 allora inutilizzati (immobili inagibili o fatiscenti, o anche terreni usati per le feste dell'Unità).
Qualcosa peraltro è cambiato, almeno quanto alla gratuità dell'uso delle sedi, visto che nell'estate scorsa su varie testate ha tenuto banco la polemica sui sostanziali "sfratti" intimati dalle fondazioni ex Ds ai circoli del Pd che non riuscivano a pagare l'affitto; negli anni, poi, alcuni immobili certamente sono stati venduti.
Oltre agli immobili, occorre considerare il patrimonio dei beni mobili di cui erano proprietarie le federazioni locali (e che ora, probabilmente, appartengono alle singole fondazioni), nonché tutti i beni riconducibili alle fondazioni CeSPE (operante dal 1984, ma nata come centro studi nel 1966 per volontà del Pci) e Gramsci Onlus: si tratta soprattutto di una collezione sterminata di documenti di archivio, materiali di propaganda, migliaia di volumi e riviste e faldoni d'archivio, di valore storico, politico ed economico notevole.
Poi ci sono le opere d'arte - la relazione 2011 di Sposetti ne citava 137, comprese opere di artisti importanti, come Marino Mazzacurati, Renato Guttuso e Mario Schifano - di cui nel 2012 erano titolari i Ds e ora non so se siano rimaste in mani loro o siano state trasferite ad altro soggetto giuridico. C'è chi ha valutato tutto questo all'incirca 500 milioni di euro, ma non è saggio avventurarsi in stime.
Il patrimonio, per usare le parole di Sposetti del 2008, "è frutto della passione politica, del lavoro oscuro, silenzioso di tante donne e tanti uomini di diverse generazioni"; si è formato negli anni, in particolare, in seguito a donazioni (per quanto riguarda i beni mobili) e agli sforzi delle varie realtà locali, che hanno costruito le sedi o le hanno acquistate.
Accanto a questo, tuttavia, c'erano - e verosimilmente ci sono ancora - molti debiti, in particolare nei confronti di alcune banche, ma anche verso altri soggetti (compresi alcuni dipendenti del partito). Una parte significativa era stata saldata con il pignoramento - nel 2011 - degli ultimi rimborsi elettorali da parte delle Camere, ma alla fine del 2011 restavano ancora oltre 143 milioni di euro di debito verso una dozzina di istituti di credito e ora non è dato conoscere la situazione. Proprio la coesistenza di un ricco patrimonio immobiliare e di un pesante debito hanno portato a percorrere la strada delle fondazioni.
I simboli, da quello del PCI ai due uilizzati dai DS, di chi sono?
Qui la risposta è più facile: delle due versioni dei simboli dei Ds (con rosa di varie dimensioni e Pse indicato in sigla o per intero) è titolare l'associazione - non ancora sciolta - Democratici di sinistra.
Quanto ai simboli del Pci e del Pds (stesso soggetto giuridico, solo con il nome cambiato nel 1991; i Ds, invece, erano un'associazione nuova), la titolarità dovrebbe essere dell'associazione Berlinguer, che dovrebbe avere ricevuto ciò che era nella titolarità del Pci-Pds.
Non a caso, quando a giugno dello scorso anno è stato ricostituito il Partito comunista italiano (essenzialmente con l'apporto del "vecchio" Pdci), qualcuno si era chiesto se ci potesse essere il rischio di azioni legali da parte degli "eredi" del Pci "storico" per l'adozione di un simbolo non uguale, ma molto simile a quello tradizionale; in quell'occasione era intervenuto Ugo Sposetti, quale presidente dell'associazione Berlinguer, dicendo che avrebbe seguito la vicenda, ma "se c’è qualche variazione sul simbolo non gli puoi dire nulla". Lo stesso Sposetti, peraltro, mantiene la carica di tesoriere e di legale rappresentante dei Ds.
Veniamo alle fondazioni: 56 (o 62, non è chiaro) sparse in tutta Italia e coordinate dall’associazione Berlinguer. Come funziona in dettaglio questo sistema? Chi ha il reale potere decisionale? E che ruolo ha l'associazione Berlinguer rispetto alle singole fondazioni?
In realtà, scorrendo la pagina enricoberlinguer.org/home/fondazioni, si trovano 68 fondazioni aderenti all'associazione Berlinguer; nell'ultimo bilancio pubblico dei Ds (quello del 2011), si parlava di 61 fondazioni e 8 associazioni afferenti "alla eredità politico-culturale della nostra storia".
Fondazione Gramsci Onlus (Sposetti è membro del cda, presieduto da Silvio Pons) e Fondazione CeSPE non sono parte di quell'elenco: questi due soggetti ora hanno sede in via Sebino 43/A, luogo in cui operava la federazione romana dei Ds e che oggi risulta sede degli stessi Ds e dell'associazione Berlinguer.
Lo scopo originario della "rete" di fondazioni si ritrova, ancora una volta, nella relazione al bilancio 2007, "operare una separazione tra attività politica e gestione del patrimonio immobiliare".
L'operazione, però, era stata fatta anche (e soprattutto) in vista della nascita del Pd, con il preciso intento di difendere il patrimonio dai creditori e di far sì che il matrimonio con la Margherita - il cui tesoriere era Luigi Lusi, poi inquisito - prevedesse una rigida separazione dei beni. La metafora matrimoniale la usava lo stesso Sposetti nel raccontare la vicenda: "Luigino e Ughetta, che sono io, vanno all'altare poveri in canna. Ma se Ughetta ha un po’ di patrimonio e Luigino ha un po’ di soldi, quel che devono dire al sindaco è: facciamo la separazione dei beni". In sostanza, i due partiti che maggiormente hanno contribuito a far nascere il Pd avevano una situazione economica speculare: i Ds, come dicevo, avevano molti immobili, ma anche molti debiti; la Margherita, dalla storia indubbiamente più recente, aveva ben pochi immobili (anche la sede di Sant'Andrea delle Fratte, il "Nazareno" che ora ospita il Pd, era in affitto) ma un discreto patrimonio grazie ai rimborsi elettorali. Su questa base, si voleva evitare che il Pd nascesse già con debiti, in un periodo in cui vendere gli immobili già non era facilissimo (e avrebbe comunque comportato il depauperamento di un patrimonio storico): Lusi avrebbe preferito mettere in comune tutto, ma vinse la linea di Sposetti.
Ogni fondazione ha un destino autonomo: qualcuna è più attiva (sul piano culturale come su quello economico), altre sono invece molto più in difficoltà. Gli scopi di ciascuna - come si legge nel sito dell'associazone Berlinguer - sono "valorizzare il patrimonio culturale nato e cresciuto con la storia del PCI, PDS, DS, nonché di salvaguardare il patrimonio immobiliare che faceva capo al partito stesso".
Lo stesso sito, peraltro, riporta come sia emersa in fretta la necessità di "costituire un coordinamento delle fondazioni a livello nazionale, con il compito di razionalizzare e coordinare le iniziative culturali", in particolare con riguardo alla "salvaguardia e tutela del patrimonio artistico e culturale", ai rapporti con le altre fondazioni affini e alla formazione: per questo, alla fine del 2013 è nata l'associazione Berlinguer, di cui Sposetti è presidente.
A guidare le fondazioni sono generalmente ex dirigenti o iscritti Ds; il fatto che siano soci Pd non avvicina i beni che amministrano al patrimonio del partito. La soluzione non piace molto a vari dirigenti Pd (sia quando si tratta di pagare gli affitti, sia pensando al calo di risorse rispetto al passato), ma nemmeno alle banche creditrici dei Ds, che hanno provato ad aggredire quei patrimoni, contestando la cessione dei beni prima della nascita del Pd, ma finora l'operazione non è riuscita.
Sappiamo che il tesoriere del PD Bonifazi ha reclamato il patrimonio degli ex DS: cosa dovrebbero fare gli scissionisti per tenerselo e cosa ha intenzione di fare il PD per intestarselo?
La situazione ora sembra essere meno tesa, specie dopo che Sposetti ha dichiarato che non lascerà il Pd e sosterrà Orlando come candidato alla segreteria: si era parlato di una causa civile collettiva (degli ex Ds che non avevano condiviso lo "spostamento" del patrimonio) proprio nel timore che l'ultimo tesoriere Ds fosse parte della scissione dem e allontanasse definitivamente gli immobili dal partito del Nazareno. In ogni caso, gli esperti consultati da Francesco Bonifazi sostenevano che le fondazioni, nate per perseguire scopi filantropici o culturali, non potessero essere uno strumento per "blindare" un patrimonio e notavano che in base alle delibere dell'epoca il trasferimento degli immobili alle fondazioni doveva essere temporaneo, non definitivo (la controparte, evidentemente, sosterrà altro). Certamente gli eventuali scissionisti - pochi o tanti che fossero - non potrebbero essere assimilati ai "vecchi" Ds (partito da cui, peraltro, lo stesso Bonifazi proviene).
Chi attualmente amministra quei patrimoni dovrebbe solo difendersi in tribunale, se dovesse arrivare un'azione legale; la parte più difficile, in realtà, in questo momento riguarda la gestione, con gli immobili che perdono di valore e sono più difficili da vendere, mentre gli affitti sono sempre più difficili da riscuotere.
Si parla poco del patrimonio dell'altro soggetto fondatore del PD, la Margherita, ed ancor meno di quello della DC. Quale era l'entità di quel patrimonio e dove è finito adesso?
Quanto alla Margherita, l'assemblea del 16 giugno 2012 che ha deliberato lo scioglimento del partito ha anche approvato il rendiconto 2011, dal quale risultava un disavanzo - per l'esercizio di quell'anno - di quasi 10,2 milioni di euro; in compenso, in quella stessa riunione si era deciso di restituire allo Stato eventuali residui attivi (alla fine del 2011 in cassa c'erano almeno 15 milioni di euro, anche se varie obbligazioni erano ancora da pagare) e i soldi eventualmente recuperati dai risarcimenti pagati dall'ex tesoriere Luigi Lusi. In particolare, risulta che la Margherita abbia direttamente restituito al Ministero dell'Economia 6,5 milioni di avanzo, mentre i beni di Lusi che erano stati sequestrati nell'ambito del processo penale (che lo ha visto condannato anche in appello nel 2016 per appropriazione indebita) sono stati confiscati lo scorso anno.
Quanto al patrimonio della Dc, la sua storia è stata a dir poco travagliata e ha coinciso, almeno in parte, col destino del partito: tracciarne il percorso, per chi non ha documenti in mano, è un'impresa difficile.
Gli immobili della Dc erano di proprietà di varie società legate al partito: alla fine del 1994, quando la Dc aveva già cambiato nome in Partito popolare italiano, L'Immobiliare Spa era titolare di 102 immobili, la Società edilizia romana di altri 286 e altri avevano diverse intestazioni.
Nel 1995, quando il Ppi si spaccò e nacquero due partiti distinti, Ppi-gonfalone e Cdu, il tribunale di Roma decise che la gestione del patrimonio che era rimasto comune doveva essere portata avanti congiuntamente dai tesorieri dei due partiti: nel bilancio del "Ppi - ex Dc" da loro redatto, gli immobili figuravano ancora, anche se in misura minore (97 per l'Immobiliare, 282 per la Ser), visto che qualcosa nel frattempo era stato venduto per far fronte agli ingenti debiti che erano stati accumulati. Quel bilancio è l'ultimo pubblicamente consultabile, ma la cogestione del patrimonio è proseguita fino al 2002; in quel lasso di tempo, per pagare altri debiti, gli immobili sono stati venduti ad altri soggetti e in non pochi casi di queste operazioni si è occupata la magistratura o se ne sta tuttora occupando. Si è avuto infatti il fallimento delle vecchie società immobiliari e anche la società che aveva acquistato gli oltre 200 immobili rimasti all'inizio degli anni 2000 è finita sotto l'attenzione dei magistrati, con tanto di sequestro delle proprietà (che, tra l'altro, erano state intestate per qualche tempo a soggetti croati). Alcuni immobili, nel frattempo, erano stati acquistati da ex dirigenti del partito, mentre il pezzo più prezioso, palazzo Sturzo a Roma, ha avuto una sorte complicata, ben difficile da ricostruire.
Veniamo alla politica: con la scissione le quotazioni del proporzionale (magari con un'armonizzazione delle soglie di sbarramento) salgono? E' la fine, prima della sua rinascita, del mattarellum?
In un sistema politico come quello italiano, le quotazioni del proporzionale sono sempre alte: il maggioritario, ovviamente, conviene solo alle forze maggiori, non certo a quelle minori, che hanno sempre tentato di cautelare la loro presenza, almeno chiedendo di attribuire il premio di maggioranza alla coalizione (il male minore), se proprio il proporzionale non era possibile.
Certamente il Mattarellum metterebbe in difficoltà alcune forze piccole, che ben difficilmente potrebbero correre da sole con qualche speranza; potrebbero comunque, se particolarmente forti in certe aree, cercare di imporre i loro candidati in quei collegi, mostrando anche il simbolo sulla scheda (aggiungendo anche i soggetti eleggibili nella parte proporzionale della Camera, a patto di superare lo sbarramento).
Di certo, un sistema come quello attuale - nell'ipotesi che nessun partito arrivi al 40% - premia le formazioni minori, per lo meno alla Camera: a loro basterebbe raggiungere il 3% per essere rappresentate (certo non è conveniente quanto il Porcellum. che per le forze che si coalizzavano prevedeva addirittura il ripescaggio della migliore lista attestatasi sotto il 2%).
Conviene assai poco, invece, al Senato: lì infatti, dopo la sentenza della Corte costituzionale che nel 2014 ha cancellato il premio di maggioranza, è ancora possibile stringere accordi di coalizione e, di conseguenza, sono rimaste le soglie di sbarramento differenziate. In quelle condizioni, un partito medio-piccolo per ottenere seggi deve raggiungere l'8% a livello regionale, ma gli basta il 3% se entra in una coalizione (a patto che questa arrivi almeno al 20%): è chiaro che l'ingresso in coalizione, dunque l'abbassamento significativo dell'asticella, è tutto nelle mani e nell'arbitrio dei partiti maggiori. Questo, oltre che essere sgradito alle forze minori, è anche del tutto irragionevole e dovrà assolutamente essere corretto in questi mesi.
Eliminando coalizioni e soglie differenziate, i due sistemi si somiglierebbero abbastanza, al di là del premio di maggioranza alla Camera, che però sembra fuori dalla portata di tutti, anche di eventuali cartelli elettorali.